Non ho tradito nessuno
- Autore: Fausto Coppi
- Genere: Sport
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Neri Pozza
- Anno di pubblicazione: 2019
Fausto Coppi, poche sillabe che significano sport, vittoria, mito, leggenda, ma anche sudore, fango, guance scavate dalla fatica. Il “Campionissimo”, “l’Airone”, il re della stagione d’oro del ciclismo mondiale. Appena 40 anni di vita e 20 di carriera ciclistica professionistica gli sono bastati per entrare nell’immaginario di tutte le generazioni anche a venire.
Si legge il suo nome in copertina, ma è il giornalista lombardo Gabriele Moroni ad avere curato l’autobiografia del ciclista-monumento, realizzata attraverso i suoi scritti e pubblicata col titolo “Non ho tradito nessuno”, dalle edizioni Neri Pozza (aprile 2019, 344 pagine, 13.50 euro).
Il campione delle due ruote, ch’è tuttora sinonimo di ciclismo eroico anche per chi non l’ha mai conosciuto, nacque a Castellania, in provincia Alessandria, il 15 settembre 1919, in una famiglia umile e morì nel 1960, a quarant’anni, per una malaria non rilevata dai medici in Piemonte e contratta in un breve soggiorno sportivo e ricreativo in Africa. Intanto, l’ex garzone di fornaio che andava e tornava dal lavoro in bicicletta (venti chilometri da Castellania a Novi Ligure) aveva scritto la storia dello sport del pedale e della fatica, vincendo cinque edizioni del Giro d’Italia, due Tour de France, un Campionato del mondo su strada e due titoli mondiali nell’inseguimento su pista.
Coppi scrive in prima persona, in diretta (che nel libro diventa una franca differita), attraverso il montaggio in sequenza cronologica delle sue testimonianze, dichiarazioni, interviste su riviste e rotocalchi, tra il 1940 e il 1960. Molti sono articoli a sua firma, realizzati con la collaborazione di qualche redattore, perché Fausto era unico anche in questo: sapeva raccontarsi giornalisticamente, era un ottimo cronista di se stesso. E tutto durante la carriera agonistica, non dopo, come hanno fatto invece tanti campioni di altri sport.
Avversari, duelli, successi, sconfitte amare, ma niente gossip rosa. Vivendo della testimonianza diretta del ciclista e dell’uomo, uscendo nel centenario della nascita e limitandosi agli aspetti strettamente ciclistici, questa autobiografia non soddisferà nessuna curiosità morbosa sulla relazione con la Dama Bianca, perché Coppi non ne accenna. In compenso, è prodigo di particolari – dal suo punto di vista – della storica rivalità con Gino Bartali, il campione toscano, più vecchio di cinque anni.
Il ciclismo epico si nutriva di coppie in conflitto, di dualità incompatibili, che spaccavano i tifosi, come avviene nel calcio. È quello che manca al ciclismo di oggi: tante immagini, qualche dichiarazione polemica per episodi controversi, nessuna antipatia esternata a mezzo stampa. E il gruppo mantiene uno stretto riserbo, come sempre del resto.
Gli ultimi contrasti caratteriali, perché tali erano oltre alla contrapposizione sportiva, risalgono a qualche generazione ciclistica fa, a Moser-Saronni. Oggi il fair play è totale. Armstrong, è vero, aveva tanti nemici, ma non erano all’altezza della sua fama di star planetaria dello sport e nell’ambiente ciclistico imponeva una dittatura ferrea.
Coppi era passato professionista nel 1940, nella Legnano, la stessa squadra del popolarissimo Bartali, ma nel 1946 la rivalità con Ginettaccio era troppo evidente perché potessero continuare a correre insieme. Era stato il suo primo capitano e Fausto dice di aver cercato d’essere sempre leale nei suoi riguardi. Sentiva però di dover percorrere la strada da solo, “senza di lui, anzi contro di lui”. Da allora il toscano “tutto sbagliato, tutto da rifare” è stato l’avversario numero uno, il più pericoloso, più irriducibile. In alcuni momenti, altri corridori risultarono in forma, più difficili da battere, “ma nessuno dava battaglia così tenacemente, per tanto tempo, senza riposo”.
È quindi dalla penna-voce dello stesso Coppi che i lettori potranno seguire i momenti più significativi della sua vita, cogliere il modo di vedere e di pensare. Spicca l’incontro con un uomo decisivo nella sua vita, il massaggiatore-allenatore Biagio Cavanna, uno scopritore di talenti, rimasto privo della vista. L’avevano accompagnato da lui e toccando il corpo di quel dilettante dal fisico agile ma tremendamente magro, l’ex pugile piemontese aveva intuito la stoffa del campione, un super campione.
Straziante il ricordo della morte del fratello Serse, anche lui ciclista, morto per un trauma alla testa riportato in una caduta nel Giro del Piemonte del 1951. Fausto confessa ch’erano state le ore più “spaventose” della sua vita quelle passate a vegliarlo, a vederlo immobile, senza vitalità, giovinezza e voglia di vivere. Aveva pensato di lasciare, poi aveva sentito di non poterne fare a meno: spingere sui pedali era tutta la sua vita.
Un triste destino ha accomunato i due fratelli Coppi. Uno è morto in due ore, l’altro è spirato in due giorni, senza che per il primo si potesse fare niente e per l’altro si sapesse cosa fare.
Anche Giulio Bartali, minore di Gino, era morto a vent’anni investito in corsa da un’auto, nel 1936. Li univa pure questo, oltre allo sport comune. Fausto riconosceva di ammirare l’avversario.
Non siamo nemici, sono la stampa e i tifosi a volerci vedere l’uno contro l’altro. Si ostinano a presentarci come due uomini in odio perenne.
Non ho tradito nessuno. Autobiografia del Campionissimo attraverso i suoi scritti
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