Nella notte tra il 1 e il 2 giugno 1970 moriva a Milano il poeta Giuseppe Ungaretti, a causa di una broncopolmonite. Aveva ottantadue anni. I suoi funerali si sarebbero svolti a Roma il successivo 4 giugno nella chiesa di San Lorenzo Fuori le Mura; non vi avrebbe partecipato nessun rappresentante del governo italiano.
Lo ricordiamo con il discorso pronunciato pubblicamente in occasione dei suoi ottant’anni che è il testamento di una vita interamente dedicata alla poesia. Il testo in questione è spesso conosciuto anche con il titolo di Testamento di un uomo, ed è contenuto nella raccolta Vita d’un uomo che contiene tutti i testi ungarettiani.
“Il testamento di un uomo” di Giuseppe Ungaretti
Non so che poeta io sia stato in tutti questi anni.
Ma so di essere stato un uomo: perché ho molto amato, ho molto sofferto, ho anche errato cercando di riparare al mio errore come potevo, e non ho odiato mai. Proprio quello che un uomo deve fare: amare molto, anche errare, molto soffrire, e non odiare mai.
La vita di un uomo di Ungaretti
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Ungaretti ha sempre attribuito alla poesia una funzione salvifica, come testimoniano i suoi versi spezzati scritti dal fronte di guerra tra il fango e il sangue delle trincee. A quelle poesie, scritte su fogli di carta slabbrati, soluzioni di fortuna rimediate al momento spinto dall’urgenza di scrivere e di dire, aveva affidato quello che fu il suo sogno eterno: la ricerca di un “paese innocente”.
Tuttora i suoi versi minimi, che riducono la parola a pura essenza di suono e di senso, sono tra i più popolari della poesia italiana: in Ungaretti la parola è il verso, non c’è studente che non conosca per intero l’essenzialità luminosa della poesia Mattina. “Mi illumino d’immenso”: così Ungaretti ancora oggi salva dall’incubo di scena muta innumerevoli interrogati.
Durante la sua vita Giuseppe Ungaretti fu un poeta-personaggio, capace di stare al centro della scena. Ancora oggi lo ricordiamo come il poeta-soldato per i suoi versi celebri dedicati alla guerra, ma forse conosciamo meno l’ultimo Ungaretti e i suoi componimenti struggenti del calibro de La pietà, contenuta nella raccolta della piena maturità Sentimento del tempo (1931), una poesia scritta sotto forma di preghiera che avrebbe anticipato i temi dell’ultima fase della poesia ungarettiana consacrata da Il dolore (1959).
Visse mille esistenze in una sola vita: fu giovane anarchico, poi fascista (spesso in ambito scolastico viene taciuto che la prima edizione de Il porto sepolto fu corredata da una prefazione di Mussolini), Ungaretti fu anche tra i firmatari del Manifesto fascista cui si sarebbe opposto l’Antimanifesto di Croce, infine democristiano. Fu critico letterario, professore universitario, oltre che poeta nomade, sradicato, libero da qualsiasi scuola e categorizzazione.
Come poeta seppe ribaltare la metrica tradizionale, svincolare il verso dalla forma che gli era propria sino a creare la parola nuda, una poesia nuova e libera da qualsiasi pretesa formale: ebbe molti imitatori, tra cui Pasolini che era un suo grande ammiratore.
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Ungaretti ci ha fatto dono anzitutto dell’intensità: un’intensità così totale, così radicale, da ridursi a puro termine, a puro suono, cristallizzata nella parola che è in gradi annientarti - o di redimerti. Scriveva che le parole erano scavate nella sua vita “come un abisso”: lui è sempre stato in grado di farle emergere dal silenzio. E, sempre lui, ci ha insegnato che nel mezzo dell’odio c’è un invincibile amore, come le lettere da scrivere, piene di vita, accanto al cadavere di un compagno con la bocca digrignata in un grido senza suono rivolto al plenilunio.
Forse Ungaretti non sapeva che poeta fosse stato, non riusciva, o non voleva, definirsi. Preferiva ridursi di nuovo all’essenzialità, giudicarsi semplicemente “un uomo”, del resto era la cifra propria della sua poetica in grado di farsi pura essenza, parola nuda. Allora lui ritornava all’essenza del genere, alla matrice individuale, corporea: “un uomo”, nient’altro che “un uomo”.
Forse Ungaretti non sapeva che poeta fosse stato; noi, per fortuna, ora lo sappiamo.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Non so che poeta io sia stato”: il testamento letterario di Giuseppe Ungaretti
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