Nulla si perde
- Autore: Cloé Mehdi
- Genere: Gialli, Noir, Thriller
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: E/O
- Anno di pubblicazione: 2020
Nulla si perde, è un romanzo della scrittrice francese non ancora trentenne Cloé Mehdi, un noir tra le strade poco rassicuranti delle banlieue, preceduto da quattro premi e riconoscimenti della critica francese prima di approdare nelle librerie italiane alla fine dell’anno scorso, per la collana dal Mondo delle edizioni e/o (286 pagine, 18 euro), nella traduzione di Giovanni Zucca.
Pur cresciuta in un quartiere residenziale, Cloé è nata in una delle periferie di Lione, un agglomerato di casermoni popolari, Venissieux, abitato soprattutto da famiglie di ex coloni del Nord Africa, francese fino agli anni Sessanta. Nei primi anni Ottanta, giovani residenti vi hanno inscenato proteste e decretato il successo della Marche de beurs, la prima marcia contro il razzismo, per l’uguaglianza e per sensibilizzare sui temi dell’immigrazione e dell’integrazione in Francia, che si svolse dal 15 ottobre 1983 ai primi di dicembre, partendo da Marsiglia e arrivando a Parigi, davanti all’Eliseo.
Nei mesi precedenti, tra i discendenti degli immigrati dal Magreb si era sviluppato un movimento di denuncia di crimini di stampo razzista ai danni di ragazzi di origine magrebina. Si contestava soprattutto l’intervento violento della polizia a Des Minguettes, nel sobborgo lionese di Venissieux, dove un colpo d’arma da fuoco delle forze dell’ordine aveva seriamente ferito il giovane presidente di un’associazione locale per l’uguaglianza e il futuro delle nuove generazioni di immigrati.
Da questi episodi era nato, a opera in particolare di un sacerdote cattolico e di un pastore della Chiesa Riformata, il progetto di una manifestazione di protesta pacifica, sul modello della lotta non violenta di Martin Luther King negli USA, per la parità dei diritti della gente di colore.
Avviato dalla periferia di Marsiglia, nella Francia del Sud, il corteo si mosse nel disinteresse generale fino proprio a De Minguettes, dove a fine ottobre incontrò invece l’adesione di migliaia di giovani, cominciando ad attirare l’attenzione dell’opinione pubblica e della stampa, che la battezzò Marche de beurs, da beur (allitterazione di arabe, arabo), che nel gergo delle banlieu indica le comunità residenti in Francia ma originarie del Magreb (Zinedine Zidane è un classico beur).
Sono cittadini francesi che individualmente vivono il contrasto tra l’educazione familiare di tradizione conservatrice musulmana e l’ingresso in una società occidentale di cultura e costumi moderni qual è quella francese, mentre collettivamente subiscono la mancata accettazione da parte degli strati più retrivi della società transalpina.
Nel suo noir, Cloé Mehdi interpreta i loro sentimenti e davanti al suo attivismo non si resiste alla suggestione di considerarla la Carola Rackete della letteratura, per l’affinità ideologica e perché appartengono alla stessa generazione movimentista sui grandi temi sociali ambientali contemporanei.
La realtà delle banlieue pulsa come un diesel in tutte le sue pagine, quando non si accende a fiammate.
“Giustizia per Said”, il graffito spruzzato con la vernice rossa sulla facciata di una fabbrica ricorda un ragazzo morto quindici anni prima e a Mattia rammenta le migliaia di ritratti uguali che ha visto tracciare da alcuni e ricoprire di bianco da altri, sui muri di Verrieres, quartiere di una città imprecisata. Mattia Lorozzi ha solo 11 anni, ma tanti pesi addosso e pene dietro le spalle quante ne potrebbe avere un adulto. La famiglia è esplosa dopo il suicidio del padre, nell’ospedale psichiatrico dov’era ricoverato. Anche la madre ha lasciato il piccolo, prima affettivamente poi anche fisicamente, portandosi via la sorella. Un fratello maggiore vive per i fatti suoi, nato dalla prima unione della mamma.
Il bambino è stato affidato dal Tribunale a un tutore legale, Zé, un ragazzo di appena 24 anni, fatto a modo suo ma non cattivo e non del tutto negativo, che si accompagna a Gabriella, una che non ci sta con la testa e ha pure tentato il suicidio, tagliandosi le vene. Così a Zé tocca badare a due persone, un minore e una depressa autolesionista, ma è convinto di potercela fare, basta impegnarsi, alla malora il lavoro.
Mattia frequenta la quinta elementare, nel senso che raggiunge la scuola, siede al suo posto in un angolo e si chiude nella sua testa. Non gli importa niente, non partecipa. Se non altro non dà fastidio a nessuno.
Tutto è precipitato quattro anni prima che Mattia nascesse, alla morte di Said, ucciso da un poliziotto nel corso di disordini scoppiati per un motivo banale, nei pressi del centro sociale dove il padre lavorava come educatore. Ragazzo morto, poliziotto responsabile assolto, papà che va in crisi, davanti agli sguardi dei ragazzi assistiti nel centro dove sono seguiti dai servizi sociali. È per quello ch’è crollato ed è finito a Charcot.
Giustizia per Said e per papà Lorozzi, che Mattia non ha mai conosciuto. Ma non è lo Stato a impegnarsi per assicurarla, anzi l’ha rinnegata. A darsi da fare per ottenerla sono gli spiantati, i difficili, quella corte dei miracoli degli ultimi ma non vinti delle banlieue.
Mattia è un piccolo già adulto che gioca a fare il bambino davanti agli altri, perché sa di avere il diritto d’essere spensierato, ancora per qualche anno, finché non potrà più fingere di non vedere.
Nulla si perde
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