L’autunno ha i colori caldi di un quadro dipinto olio su tela e il suono di una sinfonia malinconica nella poesia di John Keats.
In inglese è meglio conosciuta come To Autumn. L’ode all’autunno è il canto del cigno di Keats, una della sue ultime poesie. Leggenda narra che il poeta la scrisse il 19 settembre 1819, ispirato da una passeggiata autunnale nei pressi di Winchester.
L’autore l’avrebbe pubblicata un anno dopo, nel 1820, in un volume di poesie che comprendeva Lamia e The Eve of St. Agnes dal titolo Lamia, Isabella, La Vigilia di Sant’Agnese e altre Poesie, sarebbe stata inoltre la lirica conclusiva di una raccolta nota come 1819 Odes.
L’ode di Keats è intrisa di realtà - una descrizione perfetta dei colori e dei suoni autunnali - e al contempo conserva una dimensione immaginifica, sembra trasfigurarci in un imprecisato altrove. La forza di questi versi è nella capacità di farci toccare l’intangibile mostrandoci, a tutti gli effetti, il visibile.
I critici hanno interpretato Ode all’autunno come una rappresentazione della morte che il poeta, da tempo malato di tubercolosi, sentiva ormai vicina. John Keats sarebbe morto a Roma il 23 febbraio 1821 a soli venticinque anni.
Ma non era solo al presagio della propria morte che Keats pensava: la poesia To Autumn, a giudizio della critica, può anche essere letta come una reinterpretazione del Massacro di Peterloo avvenuto quello stesso anno, la sanguinosa repressione operata dall’esercito britannico nei confronti di una rivolta popolare scoppiata a Manchester nell’agosto del 1819. Forse era su questo che John Keats meditava nel corso della sua passeggiata serale nei pressi di Winchester; tuttavia pensare che il poeta abbia scritto la sua ode all’autunno spinto dalla volontà di farne un’allegoria storica o biografica è senz’altro un errore. John Keats fu travolto dall’ispirazione del momento, dall’aria dolce e sognante di una sera domenicale di inizio autunno, come avrebbe scritto in una lettera all’amico J.H. Reynolds:
Non mi sono mai piaciuti tanto i campi di stoppie come ora - sì, meglio questo colore del verde freddo della primavera. In qualche modo, una pianura di stoppie in autunno sembra calda, nello stesso modo in cui sembrano calde alcune immagini. Questo mi ha colpito così tanto nella mia passeggiata domenicale che ne ho scritto di getto un componimento.
A testimoniare la natura ispirazionale dell’ode all’autunno di John Keats è un manoscritto senza titolo, scritto febbrilmente e in seguito sottoposto a numerose revisioni e correzioni. In quella sera autunnale Keats aveva avuto una sorta di visione, vissuto un momento di epifania che ci restituisce appieno attraverso questa poesia perfetta - ritenuta una delle migliori della poesia inglese - in cui mescola dolcezza e malinconia, dischiudendo davanti ai nostri occhi un paesaggio che tutti noi possiamo vedere, sentendoci più che mai vivi nella dorata luce autunnale in grado di posarsi sulle cose come un incanto.
“Ode all’autunno” di John Keats: testo e analisi
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Stagione di nebbie e morbida abbondanza,
tu, intima amica del sole al suo culmine,
che con lui cospiri per far grevi e benedette d’uva
le viti appese alle gronde di paglia dei tetti,
tu che fai piegare sotto le mele gli alberi muscosi del casolare,
e colmi di maturità fino al torsolo ogni frutto;
tu che gonfi la zucca e arrotondi con un dolce seme
i gusci di nocciola e ancora fai sbocciare
fiori tardivi per le api, illudendole
che i giorni del caldo non finiranno mai
perché l’estate ha colmato le loro celle viscose.
Nella prima stanza del poema Keats descrive l’atmosfera dei primi giorni d’autunno. L’incipit nell’originale inglese è meraviglioso, perché interamente basato su frusci e assonanze che sembrano evocare il respiro del vento:
Season of mists and mellow fruitfulness
Close bosom-friend of the maturing sun
Il poeta rievoca tutti gli elementi cardine della stagione autunnale, compresi quei frutti che ne costituiscono il sapore: l’uva con i suoi bei chicchi maturi, la zucca con la sua bella forma arrotondata, i gusci scriocchiolanti delle noci e le mele tonde, lucide, ormai mature.
L’aria si fa più tiepida, pronta a dare l’addio all’estate che ancora permane nell’aria in un sole dorato che getta sulle cose la luce languida di un lento abbandono. In questi versi Keats evoca un senso di benessere e di abbondanza, che tuttavia conserva una strana malinconia, perché sembra esistere sull’orlo della morte.
Chi non ti hai mai vista, immersa nella tua ricchezza?
Può trovarti, a volte, chi ti cerca,
seduta senza pensieri sull’aia
coi capelli sollevati dal vaglio del vento,
o sprofondata nel sonno in un solco solo in parte mietuto,
intontita dalle esalazioni dei papaveri, mentre il tuo falcetto
risparmia il fascio vicino coi suoi fiori intrecciati.
A volte, come una spigolatrice, tieni ferma
la testa sotto un pesante fardello attraversando un torrente,
o, vicina a un torchio da sidro, con uno sguardo paziente,
sorvegli per ore lo stillicidio delle ultime gocce.
Nella seconda stanza Keats personifica l’autunno, parlando alla stagione nuova come a una contadina che riflette guardando lontano con i capelli scompigliati dal vento. La donna è stanca per il duro lavoro nei campi, ma c’è nel suo sguardo anche una sottile malinconia, un senso di stordimento - dovuto alle esalazioni dei papaveri, scrive il poeta, fornendoci un altro elemento del quadro. Con pazienza e rassegnazione la giovane donna attende che la pioggia passi, che torni il sereno.
A questa figura malinconica è associata l’attività contadina della mietitura, che si pratica nella stagione autunnale per raccogliere i cereali ormai maturi. Quest’attività è raffigurata anche nel celebre quadro di Bruegel, che reca proprio questo titolo La mietitura ed è conservato al Metropolitan Museum of Art, il cui paesaggio dai colori caldi e malinconici richiama la poesia di Keats come in una visione.
E i canti di primavera? Dove sono?
Non pensarci, tu, che una musica ce l’hai.
Nubi striate fioriscono il giorno che dolcemente muore,
e toccano con rosea tinta le pianure di stoppia:
allora i moscerini in coro lamentoso, in alto sollevati
dal vento lieve, o giù lasciati cadere,
piangono tra i salici del fiume,
e agnelli già adulti belano forte del baluardo dei colli,
le cavallette cantano, e con dolci acuti
il pettirosso zufola dal chiuso del suo giardino:
si raccolgono le rondini, trillando nei cieli.
Nell’ultima stanza dell’ode John Keats propone un paragone tra l’autunno e la stagione opposta e complementare, ovvero La primavera, che è per definizione il tempo della rinascita. In questa strofa il poeta passa dal piano visivo a quello uditivo, narrandoci la musica e i suoni dell’autunno, che sono diversi da quelli primaverili.
È come se ogni strofa di Ode all’autunno fosse legata a una diversa percezione sensoriale: la prima è dedicata al gusto, ci vengono descritti i sapori; la seconda alla vista; ci vengono descritti i colori e, infine, l’ultima all’udito: si ode il pettirosso che zufola e il trillo della rondine.
Anche l’autunno ha un suono, ci dice John Keats, una musica tutta sua, se la sappiamo ascoltare somiglia al suono di un’arpa. È il belato degli agnelli, il coro dei moscerini: un suono malinconico, a tratti lamentoso, triste, assomiglia quasi a un pianto. Ma è anche la stagione del pettirosso che zufola sul ramo e delle rondini che si raccolgono pronte a partire in vista dell’arrivo dell’inverno. Proprio nell’immagine finale delle rondini, simbolo di primavera, è racchiusa la promessa di rinascita e la sintesi del concetto espresso da Keats attraverso i suoi versi: l’infinito ciclo di morte e rinascita della vita.
“Ode all’autunno” di John Keats: un commento
In Ode all’autunno il poeta coglie la stagione della caducità nella sua più sfolgorante ed effimera bellezza: ce la mostra nel momento in cui risplende di più, proprio nel presagio della sua imminente scomparsa. Tutto sembra sul punto di finire, vortica nell’aria un principio d’inverno. Eppure quello che John Keats sembra dirci in questa poesia, mentre coglie l’ultimo bagliore di un giorno che declina nel tramonto, è che esiste solo il presente: quest’attimo fuggevole in cui siamo vivi, nient’altro, e dovremmo farne tesoro e apprezzarne le sensazioni, gli odori, i colori, tutto questo infinito che è racchiuso in un attimo che già se ne va. In quella sera d’autunno, camminando su un strada lastricata di foglie morte nei pressi di Winchester, John Keats aveva avuto la sua visione.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Ode all’autunno” di John Keats: una poesia - visione
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