“Bellezza è verità, verità è bellezza”, cosa intendeva dire John Keats con queste parole? Nell’anniversario della scomparsa del poeta inglese, morto a Roma il 23 febbraio 1891, vi proponiamo un’analisi della sua poesia più celebre Ode on a Grecian Urn, scritta in quell’anno epifanico della vita di Keats che fu il 1819, nella quale è contenuta la celebre frase:
Beauty is truth, truth beauty.
Questi versi sono un elogio all’arte e alla sua sempiterna capacità di trascendere le nostre piccole (e tutto sommato trascurabili) vite mortali. L’affermazione - divenuta ormai un aforisma celebre - fu ispirata a Keats dalla contemplazione estatica di un’urna greca. Osservando la perfetta superficie dell’urna antica di millenni, il poeta realizza che quella bellezza rimarrà per sempre e potrà essere contemplata anche dalle generazioni future, sarà una sorta di risarcimento e di consolazione ai mali del mondo e ai dolori della vita umana persino quando Keats - e gli uomini del suo tempo - saranno ormai morti da secoli.
Negli ultimi versi della poesia Ode a un’urna greca, l’autore dava parola all’urna stessa che affermava la sua verità:
Beauty is truth, truth beauty,—that is all
Ye know on earth, and all ye need to know.
In definitiva: “bellezza è verità, verità è bellezza”, questo è tutto ciò che sapete sulla terra, questo tutto ciò che occorre sapere.
Questi versi sono l’epifania della poesia di Keats e, al contempo, racchiudono lo straordinario mistero dell’arte: un rapimento senza ragioni e senza spiegazioni, che non richiede di essere svelato perché in quel segreto prodigio, racchiuso nella tangibile perfezione marmorea dell’urna, vi è il motivo del suo esistere.
Bellezza e verità: cosa significa la frase di Keats?
Con questa affermazione dalla conclusione sibillina, Keats sembra anche alludere alla limitatezza della vita mortale: il segreto dell’urna greca - dunque dell’arte - non ci può essere svelato nella dimensione terrena, poiché non appartiene a questo spazio né a questo tempo, esiste in un altrove, forse nel piano celeste ed etereo cui accederemo dopo questa vita. L’urna greca custodisce una conoscenza così elevata che resterà per sempre ignota all’uomo, gli rivela una verità eterna, una bellezza inscalfibile; solo questo ci è dato sapere.
La stessa totale dedizione di Keats all’arte la troviamo espressa nella celebre lirica Endimione in cui appare un verso non dissimile dalla profezia espressa dall’urna greca:
Una cosa bella è una gioia per sempre.
La bellezza eterna dell’urna greca riflette anche questa affermazione “A thing of beauty is a joy for ever”, precedentemente espressa da Keats in Endimione, composto nel 1817. Non è la “bellezza in sé”, di fatto, a essere eterna, ma il potere di trascendenza che l’essere umano le attribuisce attraverso l’immaginazione. L’arte, in questo modo, ci permette di valicare i nostri limiti umani accedendo, anche se solo per i pochi istanti della contemplazione, a una sfera altra, intangibile, appartenente a un non meglio specificato “altrove”.
L’osservazione dell’urna greca ribalta la percezione stessa del tempo, dischiudendo agli occhi del poeta una dimensione eterna, immortale.
“Ode on a Grecian Urn” di John Keats: un’analisi
In questa lirica John Keats fa propria la tecnica retorica dell’ekphrasis, ovvero la descrizione verbale di un’opera d’arte. Il poema Ode on a Grecian Urn ha inizio proprio dalle descrizioni delle immagini ritratte sulla superficie del vaso che stimolano l’immaginazione del poeta-osservatore, sollevando diverse domande nella sua mente.
Le cinque strofe di cui si compone Ode on a Grecian Urn sono scritte in pentametri giambici, seguendo una rigida struttura metrica che conferisce all’intero testo un’atmosfera solenne. Ogni singola strofa, inoltre, presenta una precisa bipartizione: i primi versi espongono l’argomento - quindi il quesito che l’urna ha sollevato nella mente del poeta - mentre i versi finali ne analizzano il significato. Infine, nell’ultima strofa, la lirica raggiunge la sua climax rappresentando l’immortalità dell’arte che si contrappone al perenne fluire della vita umana verso l’oblio: l’arte esiste per sempre, sopravvive persino alla morte dell’artista che l’ha creata.
L’urna greca di Keats si anima dinnanzi agli occhi del poeta, dando vita a varie scene narrative che lui sollecita attraverso il potere dell’immaginazione: ecco che assistiamo a un episodio di caccia, a un folle inseguimento, a un sipario amoroso.
Le figure ritratte permettono al pensiero del poeta di elevarsi e, infine, lui osserva che le immagini raffigurate sull’urna non saranno mai sottoposte al deterioramento dato dall’invecchiamento o dalle mode. Keats rimane attonito di fronte alla concezione di questa bellezza immortale.
Lo stesso, osserva il poeta nella terza strofa, accade ai sentimenti: gli amanti ritratti nell’urna si ameranno per sempre, mentre la passione umana si spegne come un fuoco nella cenere oppure languisce. I legami e i rapporti umani spesso stancano e affaticano, mentre l’urna greca ne conserva il valore elevato e spirituale che si colloca molto al di sopra della natura mortale della vita.
Nelle ultime strofe tuttavia John Keats ci propone anche un inatteso capovolgimento: dopo aver celebrato la perfezione immortale dell’arte, ecco che si sofferma sullo straordinario prodigio della vita umana. L’opera d’arte ha un limite: è fredda, statica, immobile, non possiede quella qualità vitale, le passioni e le motivazioni che invece rendono uniche e irripetibili le vite delle singole persone. D’improvviso l’osservatore avverte come opprimente la staticità delle figure, la loro immobilità, l’assenza di cambiamento.
“Ode on a Grecian Urn” di Keats: spiegazione finale
Riportiamo di seguito il gran finale di Ode on a Grecian Urn, sicuramente la parte più citata della poesia e l’autentico capolavoro, il vertice assoluto della poesia di Keats:
O Attic shape! Fair attitude! with brede
Of marble men and maidens overwrought,
With forest branches and the trodden weed;Thou, silent form, dost tease us out of thought
As doth eternity: Cold Pastoral!
When old age shall this generation waste,
Thou shalt remain, in midst of other woeThan ours, a friend to man, to whom thou say’st,
Beauty is truth, truth beauty,—that is all
Ye know on earth, and all ye need to know.
Nella conclusione la bellezza dell’urna appare fredda al poeta, la sua apparenza silenziosa gli comunica una forma di indifferenza alle sorti umane.
Dopo questa presa di coscienza che in un certo senso interrompe l’estatica contemplazione, l’urna greca prende parola, dando all’uomo il suo eterno messaggio:
Beauty is truth, truth beauty,—that is all
Ye know on earth, and all ye need to know.
“Bellezza è verità, verità è bellezza”: l’urna greca comunicherà questo suo messaggio sibillino a ogni osservatore umano, per l’eternità.
Parlerà all’uomo di ogni tempo, senza tuttavia condividere il suo doloroso destino mortale.
In definitiva la contemplazione incantata di John Keats cede il passo a una riflessione più profonda. Il poeta che, lo ricordiamo, morì giovanissimo, a soli venticinque anni, comprende che la perfezione dell’opera d’arte non potrà mai eguagliare la ricchezza della vita umana.
L’estatica ode all’urna si conclude inaspettatamente con il suo rovescio, una sorta di antitesi: dopo averne celebrato la perfezione, il poeta ne rimarca i limiti.
Celebrando l’immortalità, Keats sembra accettare e accogliere la propria mortalità, che avrebbe impresso persino sulla propria tomba con un’epigrafe enigmatica:
Here lies one whose name was writ in water.
Il nome scritto sull’acqua di John Keats si contrappone all’eternità marmorea dell’urna greca, eppure ne invoca il medesimo mistero: la capacità dell’arte di valicare un confine ignoto alla vita umana. La poesia di Keats sarebbe sopravvissuta al poeta stesso e ancora oggi comunica con noi al presente, proprio come le immagini raffigurate sull’antica urna che prendono vita dinnanzi agli occhi umani.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Ode on a Grecian Urn” di John Keats: analisi e significato
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