Operation Shingle. Lo sbarco anfibio di Anzio e Nettuno
- Autore: Enrico Canini
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2018
Operation Shingle. Lo sbarco anfibio di Anzio e Nettuno, un volume bilingue in italiano e inglese, del quarantaduenne ricercatore romano di storia militare Enrico Canini è stato edito in selfpublishing, con la collaborazione delle Associazioni culturali Operation Shingle 1944 di Aprilia e Linea Gustav di Cassino, no profit molto attive nello studio e ricerca storico militari e nel recupero, salvaguardia e divulgazione degli eventi bellici nel Lazio durante la seconda guerra mondiale, fino alla liberazione di Roma. Gestiscono raccolte di reperti, organizzano mostre, incontri, eventi, manifestazioni, con visite guidate a campi di battaglia, musei, cimiteri di guerra, promuovono e partecipano a rievocazioni storiche con la ricostruzione fedele di uniformi, armi e veicoli. Gli associati figurano in costume, come comparse filologicamente perfette nei documentari realizzati sulla campagna d’Italia e non solo (uniformi e dotazioni angloamericane e tedesche sono perfette anche per il Dday in Normandia).
Il libro, reperibile nelle principali librerie e online, è talmente illustrato con centinaia di fotografie, soprattutto a tutta pagina, che rappresenta un vero documento visivo, oltre ad averne ispirato uno autentico, il docufilm Shingle 1944 del produttore e regista Pierfrancesco Fiorenza, che si è avvalso dell’Associazione omonima come referente.
La parte iniziale di testo illustra le fasi militari dell’Operazione. In sintesi ottimale, imprime una cadenza serrata agli eventi e ricostruisce tutti i reparti che hanno operato, compresi i marò del Barbarigo-X Mas del principe nero Borghese. Da pagina 36 alla fine delle quasi 250 complessive, lascia poi spazio alle buone riproduzioni di cartine, tabelle e soprattutto scatti di corrispondenti di guerra e degli addetti alla propaganda delle truppe impegnate.
La sorpresa tattica riuscì, l’operazione mancò il suo obiettivo. Nelle intenzioni del primo ministro inglese Churchill, lo sbarco sugli arenili del Lazio meridionale (nome in codice “Shingle”, ciottoli di spiaggia), aggirando la linea Gustav arroccata a Cassino avrebbe dovuto accorciare la campagna alleata in Italia, se non l’intera seconda guerra mondiale. Colse i tedeschi non presenti in forze e costretti a lunghe ore febbrili per fare affluire truppe. Minacciò per qualche giorno di tagliare le linee di rifornimento germaniche del fronte dall’Adriatico al Tirreno, che si ancorava agli Appennini e alla valle del Liri. Ma l’eccessiva cautela dei comandanti angloamericani finì per limitare il secondo fronte italiano alla testa di ponte nel settore ristretto tra Anzio, Nettuno e poco più di 25 ettari di territorio laziale. Un teufelgarten, un giardino del diavolo - come i tedeschi chiamavano i campi minati - nel quale si entrava col cuore in gola e non si usciva. Un sanguinoso campo di battaglia totale, costoso da eliminare per la Wehrmacht, altrettanto da tenere per gli Alleati. E i costi si calcolano in vite umane e giovani combattenti segnati per sempre da mutilazioni e ferite.
Nella storia fatta con i se, un’immediata puntata corazzata sulle vie di comunicazione interne tra Roma e Cassino avrebbe messo fortemente in dubbio l’Alto Comando germanico sulla possibilità di poter mantenere la Gustav, inducendolo a flettere indietro le linee. Un effetto puramente psicologico, perché un altro “se” vedrebbe i tedeschi vincenti in una controffensiva contro le linee alleate tanto allungate, dalla costa alle colline ciociare, visto che nella realtà, dopo il fallimento della puntata dei rangers USA su Cisterna la pressione sulla testa di ponte ha quasi raggiunto il risultato di costringere le forze alleate a reimbarcarsi, con le ossa rotte.
Ma lasciamo la storia ipotetica e veniamo allo svolgimento reale dei fatti.
La notte del 22 gennaio 1944, una flotta di oltre 250 navi, difese da 5 incrociatori, 24 cacciatorpediniere e numerosissime unità minori, si presentò al largo di Anzio e Nettuno e dopo un cannoneggiamento di preparazione avviò lo sbarco della prima ondata, senza quasi nessuna reazione dei Tedeschi, con grande meraviglia dei soldati. Nella prima giornata presero terra circa 36mila uomini (27mila americani, 9mila britannici) e 3.200 veicoli, con perdite minime, 13 morti e una novantina di feriti, per mine e incidenti. In compenso il gen. Lucas non inviò pattuglie verso l’interno e attese per giorni di consolidare il settore di sbarco, prima di raggiungere la via Casilina.
Alle 6 del mattino Kesselring attuò il “Caso Richard”, che prevedeva di trasferire in zona quante più unità dal centro-nord Italia e dai Balcani. Non ritenne di sguarnire la linea di Cassino, convinto che gli Alleati si sarebbero mossi con molta cautela (come avvenne). Il 23 gennaio il gen. Von Mackensen assunse il comando delle forze, che già il 29 superarono gli avversari: 95.000 contro 76.000. Allo stallo, i generali Clark e Lucas ordinarono a Truscott di trincerare le truppe.
Fino a quasi tutto maggio, vennero sviluppate tre offensive germaniche contenute con difficoltà dagli angloamericani (le Operazioni “The thumb”, il pollice, 3-11 febbraio; “Fischfang”, cattura del pesce, 16-20 febbraio e “Seitensprung”, scappatella, 29 febbraio-3 marzo), con l’intermezzo dei combattimenti nelle grotte di Aprilia.
Il 23 maggio 1944 scattò l’Operazione alleata “Buffalo” verso Cisterna (con quattro mesi di ritardo) e il 26 maggio “Turtle”, tartaruga, condusse verso Roma, sorpassando il 6° Corpo d’Armata sui colli Albani, perché Clark voleva entrare per primo nella capitale, dalla strada più breve, a costo di non ostacolare la ritirata tedesca dalla Gustav lungo la Casilina. Egoismi di comando che costarono altro sangue, nei messi successivi.
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