L’ospite perfetta. Sonetti italiani
- Autore: Alessandro Agostinelli
- Categoria: Poesia
- Anno di pubblicazione: 2020
L’immagine di copertina è una tecnica mista, tempera e matite di Cristina Gardumi: God Save the Beauty Queen (2016); raffigura una scimmia incoronata, con il busto a forma di cuore. E siamo già in piena parodia, con il rovesciamento di senso che il genere suggerisce. Feroce questa piccola raccolta di Alessandro Agostinelli, L’ospite perfetta con sottotitolo Sonetti italiani (Samuele Editore, 2020, p. 57), prefazione di Alberto Casadei. L’ospite è la poesia, in un paese di croci e di tragedie durante il Coronavirus. Feroce, dissacrante e a tratti urticante, come le medicine cattivissime che però depurano e probabilmente guariscono o inducono il corpo-mente a un processo di metanoia, conversione. Processo necessario affinché la vita compia un salto e trovino uno sbocco l’ingorgo e la stasi.
Il poeta ha voluto realizzare un’operazione intelligente, scegliendo dalla storia della nostra letteratura otto celebri sonetti per adattarli in modo caricaturale al tempo della pandemia. A questo seguono le Ricordanze leopardiane, utilizzate nella stessa maniera.
Ci chiediamo perché, e in parte nelle righe di cui sopra il perché è stato detto. Ma perché proprio il sonetto? Solo perché si trattava, e si tratta, di una delle forme stilistiche canoniche della poesia? Quindi che cosa dobbiamo rivedere di quanto consideravamo canonico, fondante della vita pre-Covid? Sono domande importanti da sottoporsi alla nostra riflessione.
Ma forse c’è dell’altro da considerare. Sonetto è parola romanza provenzale, nata in Sicilia allo sbocciare della nostra letteratura presso la corte del grande Federico II . Il suo significato è quello di canzone, suono, un bel suono dolce (ma esistevano anche i sonetti scuri, atra, dolenti, che qui sono pure rappresentati). Per reazione Agostinelli fa del sonetto il territorio del suono amaro caustico e infelice. Non può essere che così, infatti in tempi di cattività come cantare? "E come potevamo noi cantare" si chiede Quasimodo in Alle fronde dei salici, in tempo di guerra e dittatura. Come? "dentro l’affannarci quotidiano nelle società del capitalismo avanzato" scrive Casadei nella prefazione attenta e indagatrice. Perché quando tutto crolla come un castello di carta, l’esistenza rivela smaccatamente il suo vuoto.
Così, ecco 8 rifacimenti poetici "da cabaret", cominciando da Cecco Angiolieri e il suo S’i’ fosse foco arderei ’l mondo (sonetto LXXXVI), che diventa S’i fosse virus invaderei lo mondo. Seguono gli altri 13 versi da leggere con un sentimento di distruzione di ciò che non va, con la potenza di un angelo sterminatore, se si esclude l’elogio per l’immensità di R.L. Sevenson a Upola.
E poi le rime di Guido Cavalcanti (Rime XIII, XII) “ucciso” dall’amore, divengono oggi virus "Che il risultato mi infilò in un fosso". Che l’amore a volte sia simile a una malattia è noto, il mal d’amore compie stragi e l’assenza del dio alato diventa la causa occulta della pandemia. Si tratta di uno dei cardini della psicosomatica, secondo la quale l’infelicità abbassa automaticamente le difese immunitarie. Lo sguardo "clinico" del poeta sa creare similitudini adeguate, è diagnosta del corpo sociale. L’amore mancante riguarda il denaro, feticcio del lavoro mal ricompensato (Marx). Sono considerazioni implicite scaturite dalla metafora.
Ugualmente il sonetto scelto di Petrarca (Canzoniere XXXV) apparenta le sue vie "selvagge" testimoni del dolore amoroso nascosto alle cellule "selvagge" catturate dal virus "Che ’intorno a me morte si fa signora".
Ariosto nel sonetto 20 (XVII) è salvato da due occhi belli; oggi ugualmente gli stessi occhi tolgono la solitudine della quarantena, distanti appena un terrazzo di fronte, ma accade "come per magia", creando un ponte con una nuvola. La poesia crea ponti... la parola poetica diventa compagnia.
Per Alfieri in Misogallo la parola è sprone e "furor celeste"; oggi invece l’inno nazionale, come sappiamo cantato "a sera dai nostri balconi", oltre che stimolare la speranza ha rinfocolato divisioni nazionalistiche "per parlare male". Ritorna il cattivo vezzo di diffondere polemos, la guerra insensata della lingua “taglia e cuci” di cui, pare, non possiamo fare a meno.
Foscolo (Sonetti IX) e "l’illacrimata sepoltura" del suo funerale immaginato, fanno tristemente il paio con il soggiorno mortale in terapia intensiva dei malati; la "materna terra" del Foscolo si trasforma tragicamente in modo surreale nella "ricca farmaceutica alla mano" che sfrutterà il male planetario per porre il "suo portafogli in sicurezza". Infatti i brevetti farmaceutici fanno la ricchezza di pochi, intanto le medicine non arrivano nei luoghi miserrimi purgatoriali della terra e in Africa si muore sempre ancora di polmonite, senza antibiotici.
Non manca Leopardi, topos delle illusioni perdute, a cui fa riscontro, per Agostinelli in modo tutto personale e tenerissimo, la sua ingenuità infantile di sognare meraviglie, mentre ora attende, invano, le mascherine introvabili, ricordando la maschera indossata dal padre operaio in acciaieria, eroe anonimo aureolato di affetto da parte del figlio.
In Guido Gozzano (Domani III) "l’anima trema sull’enigma eterno", la morte, con un verso finale "attendo un’Alba e non so dirti quale"; nella chiosa di Agostinelli:
"L’anima vaga in paranoie peggiori / Di un’ansia che si legge pure in foto. / S’attende un’alba senza esser fraintesi".
Gli endecasillabi di ieri e di oggi raccontano di noi, lungo i secoli, attanagliati dalla crisi, uguali e diversi. La fiducia nell’alba resta un punto fermo, sebbene gravida di interrogativi e di mistero, perché il futuro è nella sorte inviolata, ma anche nelle nostre mani, nella misura in cui saremo uomini fraterni di buona volontà, senza fraintendimenti appunto, furbizie, ingiustizie e sfruttamento.
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