Paola Masino moriva a Roma il 27 luglio 1989, dimenticata. La scrittrice aveva dedicato gli ultimi anni della propria vita a curare l’opera del suo unico amore, Massimo Bontempelli, creando un maestoso monumento di carta all’imperitura memoria di lui. Si era eclissata dopo la morte del compagno, dedicando la sua intera esistenza a perpetuarne il ricordo; dalla revisione dei romanzi e dei saggi alla cura dell’archivio storico. Era come se una parte di lei fosse morta con lui.
La sua originale autobiografia, Album di vestiti, scritta tra il 1958 e il 1963, avrebbe visto la luce solo nel 2015, pubblicata dalla casa editrice romana Elliot con la curatela di Marinella Mascia Galateria.
Nel libro, scritto a mano sui quaderni di scuola che componevano i suoi cosiddetti “Appunti”, Paola Masino ripercorreva le diverse tappe della sua vita ricordando gli abiti da lei indossati nelle varie occasioni, seguendo l’ispirazione data dalla commedia Nostra Dea (1925) di Bontempelli in cui una giovane donna acquisiva una diversa personalità sulla base dell’abito da lei indossato.
In quel collage modaiolo e curioso si delineava l’affresco di un’epoca e dei suoi indimenticabili personaggi: ecco che prendevano vita lei, Massimo Bontempelli - l’amato “Mino” - nell’eterna stagione del loro amore, ma anche Pirandello, Picasso, Toscanini, André Gide e Paul Valery.
Il “guardaroba dei ricordi” di Masino è un viaggio nelle memorie, ma soprattutto il ritratto vivo e variopinto di un mondo ormai scomparso.
Vestito dopo vestito Paola cresce, prende coscienza del suo corpo, da ragazza diventa donna. Ma gli abiti riflettono anche i colori del tempo che passa: dal taffetà rosa dei giorni felici con Massimo, al nero inoppugnabile del lutto che tutto inghiotte.
Sotto quelle sete e quelle stoffe, quel taffetà, quegli estrosi cappellini si nascondeva una donna tenace e in netto anticipo sul proprio tempo. Poetessa, giornalista, scrittrice, traduttrice, Paola Masino fu molte cose; ma incarnò soprattutto il prototipo di una femminista ante litteram che non ebbe mai paura di scandalizzare pur di vivere la vita a modo suo “io la guerra la faccio da me, nella mia gola, con gli urli”, scriveva.
La sua è una voce ancora attuale, trascinante e spumeggiante, capace di realizzare una miscela perfetta tra realismo e surrealismo. Una voce che non temeva di dire “io”, oggi ingiustamente dimenticata.
Paola Masino: la vita
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Nel foyer del Teatro Argentina, a Roma, una liceale si avvicina a Luigi Pirandello: è giovanissima, ma ha un piglio sicuro e stringe in mano un plico di fogli. Una volta arrivata al cospetto del grande autore e drammaturgo siciliano glielo porge senza indugio. Si tratta di un’opera teatrale in tre atti, Le tre Marie, l’ha scritta lei: il suo nome è Paola Masino.
Pirandello non rappresenterà il dramma, ma sarà ugualmente colpito dall’audacia della ragazza e la incoraggerà a continuare nella strada della scrittura.
Paola Masino ha sedici anni, due anni dopo ne compirà diciotto e incontrerà un altro scrittore Massimo Bontempelli, che letteralmente le stravolgerà la vita.
Bontempelli ha trent’anni più di lei, è sposato e ha un figlio; ma tra i due sarà amore a prima vista. Una relazione scandalosa che incontra subito la disapprovazione della società. La famiglia di Masino, di estrazione borghese, decide di spedire la figlia a Firenze per allontanarla da quella passione negativa e inaccettabile. Il padre di Paola è Enrico Masino, funzionario del Ministero dell’Agricoltura, e la madre è la nobile Luisa Sforza: la giovane Masino è stata cresciuta secondo le regole rigide e la condotta irreprensibile della gente benestante.
Il soggiorno fiorentino però non porta i risultati sperati; Paola è più determinata che mai a persistere, non ha dimenticato Massimo.
Nel 1928 pubblica alcune prose sulla rivista 900 e con Bontempelli avvia anche una collaborazione professionale. Scrivono insieme un dramma dedicato alla tragedia del Titanic. L’anno successivo Masino è a Parigi per lavorare come segretaria di redazione della rivista L’Europe nouvelle. L’amato Massimo la raggiunge saltuariamente e insieme vivono la vie bohémienne frequentando i maggiori artisti della capitale francese, da Picasso a Kiki de Montparnasse.
Terminata l’esperienza parigina, Masino si trasferisce con Bontempelli a Milano dove nel 1931 conclude il suo primo romanzo, Monte Ignoso (Bompiani, 1931), in cui narrava la storia di una donna, Emma, geniale e talentuosa che, in seguito a un matrimonio sbagliato, scivola in una sorta di abisso mentale. Una trama gotica, labirintica e gravida di riflessioni metafisiche, in cui si riflette la maledizione che grava sulla protagonista.
L’esordio di Masino vince il Premio Viareggio, ma sarà stroncato da una recensione di Gadda che non gradisce la storia né gli elementi di “realismo magico” introdotti dall’autrice. Paola non si scoraggia e poco tempo dopo pubblica un secondo libro, Periferia, una fiaba nera sul passaggio dall’infanzia all’età adulta, che vince il secondo premio Viareggio.
Le sue opere entrano nel mirino della censura fascista e la critica non la elogia, anzi la definisce una “scribacchina”. Il critico Leandro Gellona stronca il romanzo e Gaetano Serventi sulle pagine di Secolo fascista lo definisce un libro: “moralmente deprimente”, insinuando che volesse insidiare il valore più alto della società, ovvero la “famiglia”.
È il primo tradimento letterario della vita di Paola Masino.
Nascita e morte della massaia: Masino e la censura fascista
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Nel 1934 la coppia Masino-Bontempelli si trasferisce a Roma, nel quartiere Trieste. In questo periodo Paola si dedica alla stesura di racconti, abbandonando la forma romanzo. Molte di queste opere confluiscono nella raccolta Racconto grosso, recentemente riedita da Rina Edizioni nel 2021.
Nel 1938 la rivista Grandi firme viene condannata dal regime per aver pubblicato il suo racconto Fame, la storia di un padre che durante la crisi economica del ’29, decide di uccidere i suoi figli pur di non vederli morire di stenti. Il fascismo fu un nemico funesto dell’attività letteraria di Masino, condannandola all’oblio già in vita.
Recensione del libro
Racconto grosso
di Paola Masino
Quattro anni dopo la vertiginosa ascesa del fascismo costringe la coppia alla fuga; si rifugiano a Venezia, perché Bontempelli è perseguitato dal regime. Nella laguna veneta Masino torna, su consiglio di Massimo, a dedicarsi di nuovo al romanzo.
Scrive Nascita e morte di una massaia, in cui narra le vicissitudini di una ragazza- cresciuta a pane e libri, vivendo dentro un baule - che non trova realizzazione nella vita da donna sposata e sviluppa un’autentica ossessione per la pulizia. La Massaia di Masino trova la liberazione solo dopo la morte quando può finalmente riabbracciare la dimensione spirituale che le era sempre appartenuta. In quel personaggio la scrittrice rifletteva una visione del femminile e dell’essere donna in cui non si riconosceva; lei che aveva messo in discussione da sempre ogni valore prestabilito e, anche nella sua relazione con Bontempelli, aveva sempre cercato una libertà morale, ma soprattutto artistica. In un passaggio di Periferia, il suo secondo libro, fa dire a uno dei personaggi:
Io farò la donna famosa, dunque devo sposare un re
Nello stesso paragrafo ribadiva l’intenzione di non avere figli, poiché intuiva che sarebbero stati un ostacolo alla sua libertà - e al desiderio viscerale di scrivere romanzi.
Il libro Nascita e morte di una massaia era un aperto atto d’accusa nei confronti della donna “moglie e madre” celebrata dal regime, dunque incontra subito l’opposizione della censura fascista. Sarà pubblicato a puntate sulla rivista Tempo a partire dal 16 ottobre 1941 fino al 1942.
Il romanzo vedrà la luce solo nel 1945, edito da Bompiani nel primo dopoguerra. In Italia è stato riedito nel 2019 dalla casa editrice Feltrinelli.
Con l’instaurazione della Repubblica di Salò iniziano anni duri per la coppia: sulla testa di Bontempelli pende una condanna a morte e su Masino la minaccia dell’esilio. Entrambi sono costretti a rifugiarsi e a stare nascosti, clandestinamente come due criminali, nelle case di amici. Condurranno un’esistenza da rifugiati fino al giugno 1944, per poi fare ritorno a Roma nella casa di famiglia di lei, a viale Liegi, una zona periferica del quartiere Parioli.
Paola Masino e la morte di Bontempelli
Gli anni romani sono prolifici per Paola Masino. Si dedica alla traduzione dal francese dei romanzi di Balzac, Stendhal, Jean Cocteau e alla stesura di libretti d’opera.
Dal 1953 inizia a progettare la sua singolare autobiografia, Album di vestiti, che sarà pubblicata postuma. Diventa una figura di spicco nella società letteraria, intrattiene corrispondenze epistolari con Maria Bellonci, Alba de Céspedes, Livia De Stefani, Anna Banti, scrittrici di cui frequenta assiduamente le case e i salotti. C’è una bella foto in bianco e nero che ritrae lei in primo piano accanto ad Alba de Céspedes mentre sorridono e applaudono un anziano Bontempelli, che si alza imbarazzato da tavola per ringraziare.
Paola continua a vestirsi con eleganza, a indossare i suoi bizzarri cappelli, ad aderire ai canoni della moda da lei tanto amata che aveva dovuto suo malgrado trascurare durante i lunghi anni di guerra. Leggende narrano che fosse elegante persino nella povertà; si dice che a Parigi indossasse strane collane d’edera realizzate da lei stessa.
È una donna frizzante, volitiva, un po’ stregonesca, che si porta dietro come un profumo l’aria bohémienne di Montmartre e la visione scomposta dei surrealisti.
Nel 1960, dopo una lunga malattia, muore Massimo Bontempelli e Paola Masino precipita nel buio. Avevano vissuto una vita insieme, si erano conosciuti nel 1927 quando lei aveva appena diciotto anni: come si supera una perdita del genere?
A partire da quel momento Paola si ritira dalle scene votandosi a un culto da vestale per il compagno scomparso. Non le si addiceva quel ruolo; lei che era stata sempre definita una presenza audace, controcorrente, “maschile”, ora si eclissava nel dolore per la perdita del suo uomo.
Nel 1970 il suo romanzo Nascita e morte di una massaia viene riscoperto dalla casa editrice “La Tartaruga” di Laura Lepetit e conosce una fase di nuovo splendore, sull’onda del movimento femminista. Ma ormai a Paola Masino non importava più; l’ultimo testo che aveva scritto era il poema Ninna nanna, nel 1966. Da allora più un rigo, se non per revisionare le pagine di Bontempelli, cui si era prefissa di restituire gloria eterna.
Non possiamo dissociare il nome di Paola Masino da quello di Massimo Bontempelli, la sua storia di scrittrice, in fondo, è anche una storia d’amore; ma dobbiamo ricordarci la forza prorompente della sua voce, della sua individualità, che ha sempre ritagliato uno spazio tutto per sé e meriterebbe di figurare tra le grandi scrittrici del nostro Novecento, al pari di Ginzburg e Morante. Se non altro per la sua visione rivoluzionaria che seppe svincolare la donna dalle logiche coercitive del patriarcato con un secolo d’anticipo.
A Roma una targa in viale Liegi, posta proprio di fronte alla casa in cui vissero insieme, ricorda Paola Masino e Massimo Bontempelli:
Che hanno vissuto condividendo passione e scrittura.
“L’unico strumento del nostro lavoro sarà l’immaginazione”.
Recensione del libro
Album di vestiti
di Paola Masino
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La storia di Paola Masino: la scrittura e l’amore scandalo per Bontempelli
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