

Pensavano fossi morta. La storia di Sandy
- Autore: Peter James
- Genere: Gialli, Noir, Thriller
- Categoria: Narrativa Straniera
- Anno di pubblicazione: 2024
Riconosco di non aver mai visto una puntata sul piccolo schermo della serie crime tv “Le indagini di Roy Grace” su Giallo, canale digitale e Sky (prima stagione dal 2021). Colmerò la lacuna di sicuro, dopo aver letto di gusto uno dei romanzi di Peter James da cui sono tratti i telefilm. In più, questo Pensavano fossi morta. La storia di Sandy è un titolo chiave nella sequenza della saga thriller narrativa, che ha per protagonista il sovrintendente detective di Brigthon. Uscito a maggio in versione originale, è approdato in Italia da poco, per i tipi Timecrime del Gruppo editoriale Fanucci (novembre 2024, 408 pagine), nella traduzione dall’inglese di Eleonora Motta.
Abstract e trailer concordano nel presentare Roy Grace come un funzionario di polizia serio e lavoratore, abile ma ombroso, con alle spalle un grande caso irrisolto nella sua vita: la scomparsa della moglie. Bene, in questo episodio viene rivelato tutto su mrs. Sandy. Perciò, un colpo di scena nella serie, una novità eccellente, un regalo dello scrittore inglese, originario lui stesso di Brighton, nel 1948, da John Burnett e Cornelia James, guantaia della regina Elisabetta. Ha venduto nel mondo più di 23 milioni di copie delle sue opere, tradotte in 38 lingue; dall’esordio nel 1981, sono oltre quaranta e spaziano dal thriller alla fantascienza. Non si contano i premi e riconoscimenti, per non dire del successo anche dei sei spettacoli teatrali tratti dai suoi libri.
Della sola Grace series, sono 22 i titoli apparsi nel Regno Unito fino al 2024, dal 2005 (Dead simple). Vi appariva il sovrintendente investigativo Grace, un uomo perseguitato dall’ombra della moglie scomparsa, soprattutto un detective nuovo e molto diverso, detto da James in persona. Un investigatore da massima serie, e non si pensi a una collocazione periferica rispetto a Londra, perché tutti sono pronti a riconoscere nel Regno Unito che Brighton è il luogo preferito dai super criminali.
Peter assicurava all’epoca che l’esperienza e il magone intimo di Grace (la scomparsa della moglie Sandy da nove anni) lo spingono a dare il meglio per accertare la verità nei casi su cui indaga. Ricorre a tutto ciò che è disponibile, dall’alta tecnologia ai vecchi metodi, dalla medicina legale all’analisi patologica. È anche aperto al contributo di medium e chiaroveggenti, per via del suo interesse per il paranormale. Resta incessante, comunque, lo sforzo di scoprire cosa sia successo alla moglie.
Roy Grace è un uomo cocciuto, con una forza di volontà che deriva dai geni paterni e gli ha permesso di fare carriera, promosso molto giovane al grado di soprintendente. Tutto questo al prezzo di non avere pace. Lo specchio gli restituisce l’immagine di una testa coi capelli cortissimi, quasi una peluria. La sera del primo appuntamento, Sandy lo aveva lusingato dicendogli che gli occhi sembravano quelli di Paul Newman. Amava tutto di lui, incondizionatamente, sebbene il marito non fosse particolarmente attraente: alto un metro e settantasette (appena cinque centimetri oltre il minimo per entrare in polizia, diciannove anni prima), il naso schiacciato e storto in una rissa quand’era poliziotto di ronda. Gli piace bere, ha smesso e ripreso a fumare diverse volte, ma la frequentazione assidua e con impegno della palestra della polizia ha scolpito un fisico possente, mantenuto correndo trenta chilometri a settimana e giocando a rugby ogni tanto, da ala.
Sempre nel primo episodio, è prossimo ai trentanove anni e al triste anniversario della scomparsa di Sandy nel nulla, il giorno del trentesimo compleanno di Roy, senza lasciare neanche un biglietto. In casa, non mancava niente di suo, tranne la borsetta. Dopo sette anni, si potrebbe dichiarare ufficialmente morta una persona scomparsa e tutti gli consigliano di farlo. Lui, nemmeno per sogno. È consumato da un tormento interiore che non lo abbandona quasi mai, neanche quando riesce a dormire. Viva o morta? Sono anni che cerca di scoprirlo e si trova ancora al punto di partenza.
Bene. Sapete da dove comincia il ventunesimo titolo della saga? Da otto anni e dieci mesi esatti prima della presentazione al pubblico di Roy. La sua Sandy apre il prologo viaggiando in auto sulla M23, diretta all’aeroporto. È la signora a narrare, stavolta, dalla sua diretta prospettiva. Riflette sulla relazione, arrivata a un punto di non ritorno. Essere sposata con un ambizioso detective della Crimini maggiori vuol dire retrocedere spesso, essere seconda anche rispetto a un cadavere, a volte. E poi la passione iniziale non dura, per quanto lo si desideri. All’inizio comandano i sensi, ci s’innamora, ci si lega, poi si viene sballottati dalla realtà. Non c’è modo di tornare ai tempi felici del matrimonio, è come un vetro rotto: per quanto si possa riparare bene, le crepe restano. Roy può pure chiamarle piccole fratture, non Sandy, che non accetta supinamente la loro sorte, quello va bene per tanti, ma lei vuole di più. E niente compromessi. Può sembrare egoistico, perché il marito non è una persona cattiva, ma è l’unica via d’uscita che vede. E ritiene che Roy soffrirà di meno se lei scompare.
Sempre meglio che confessargli chi sono diventata e ciò che ho fatto. Avere una moglie che si trova in questa situazione gli rovinerebbe la carriera e non sarei altro che un motivo di imbarazzo per lui.
È tardi, è successo troppo perché l’unione possa continuare. Qualunque cosa si faccia adesso, anche risolvere il pasticcio, la vedrebbe vivere tra le bugie e nel costante timore che Roy possa scoprire “la sua sordida vita”. Deve andarsene, per non fare male a quel brav’uomo. Dovrebbe trovare positiva la sua dedizione al lavoro e invece la usa contro di lui. È una vergogna. Starà meglio senza di lei.
Uno spoilerone? Ma no, è solo il via, ci sono quasi 400 pagine da leggere ancora. Che dico leggere: divorare!

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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Pensavano fossi morta. La storia di Sandy
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