Per Giovanni Falcone è l’omaggio di Alda Merini alla lotta alla mafia.
Trentuno anni fa, il 23 maggio 1992, avveniva la strage di Capaci, in cui morirono Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.
Dopo l’esplosione, centinaia di palermitani si riversarono nelle strade della città e si ritrovarono sotto l’abitazione del giudice, in via Notarbartolo, per manifestare la propria rabbia e la propria indignazione. Scelsero come simbolo della protesta il ficus magnolia, l’albero sempreverde situato davanti alla casa di Falcone che da quel momento in poi è divenuto l’emblema dell’impegno sociale contro la mafia. Ma quel lungo grido di rabbia durò ancora e ancora, la sua eco non si spense.
Giorni dopo la strage di Capaci la poetessa dei Navigli, Alda Merini, decise di unire la propria voce al coro sgomento dei palermitani scrivendo una poesia dedicata a Giovanni Falcone.
La lirica è contenuta nel volume Ipotenusa d’amore (La vita felice, 1994).
Scopriamone testo, analisi e commento.
“Per Giovanni Falcone”, la poesia di Alda Merini
La mafia sbanda,
la mafia scolora
la mafia scommette,
la mafia giura
che l’esistenza non esiste,
che la cultura non c’è,
che l’uomo non è amico dell’uomo.La mafia è il cavallo nero
dell’apocalisse che porta in sella
un relitto mortale,
la mafia accusa i suoi morti.La mafia li commemora
con ciclopici funerali:
così è stato per te, Giovanni,
trasportato a braccia da quelli
che ti avevano ucciso.
“Per Giovanni Falcone”: analisi e commento
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La poesia di Merini si legge come un’invettiva, come un grido di denuncia, da ripetere con i pugni chiusi e sollevati sopra la testa mentre si marcia in un corteo. La lirica si regge su un unico ripetitivo ritornello “la mafia” e ha una climax ascendente. Dapprima Alda Merini menziona le azioni compiute dalla mafia che, a ben vedere, sono tutte di annientamento. Il primo atto compiuto dalla mafia è quello più deleterio: spegnere l’esistenza, dunque farsi portatrice di morte e distruzione. Dopodiché procede nella sua azione devastatrice facendo strage della cultura - che è il pane dell’anima - e della fratellanza, che è il collante dell’umanità.
Nella seconda strofa Merini eleva il significato a un piano più astratto e si serve di una metafora, paragonando la mafia al “cavallo nero dell’Apocalisse”, descritto dall’evangelista Giovanni. Il cavaliere nero appare con una bilancia in mano, nella descrizione di Giovanni, e simboleggia la carestia e la morte. Nella poesia viene evocato come il presagio di un carro funebre: è il cavallo nero a portare il feretro di un uomo, perché - come precisa Merini con un feroce j’accuse - la mafia accusa i suoi morti.
Infine Merini giunge al dedicatario del suo canto, Giovanni Falcone, gli rende omaggio con versi che intendono restituirgli la dignità che gli è stata negata, soprattutto nella morte. La poetessa dei Navigli rivendica l’ingiustizia dei funerali in pompa magna riservati a Falcone, in presenza di quegli stessi uomini che avevano decretato la sua condanna e ora avevano persino il coraggio di piangerlo. “Per Giovanni Falcone” si conclude con un duro atto di denuncia, rivelando la meschinità della gente che, tacendo e chinando il capo, si è oscuramente resa complice di quell’assassinio.
La poesia di Merini per Falcone denuda l’ipocrisia della società tutta in un momento drammatico della storia italiana: perché per la prima volta, dinnanzi a quell’esplosione tonante, l’Italia imparava a conoscere il significato atroce della parola “mafia”. Era il giorno più buio per Palermo.
La mattina seguente, domenica 24 maggio, l’edizione del Corriere della Sera si apriva con un titolo a caratteri cubitali, neri di inchiostro, che sembrano uscire dalla pagina urlando: Orrore, ucciso Falcone. Le parole della stampa non erano abbastanza per denunciare, per rivelare il marcio che stava consumando l’Italia dall’interno dei suoi intrighi politici. Sull’onda di quell’indignazione si sollevò un grido collettivo che traduceva il sentimento popolare di rabbia, avvilimento, rivalsa.
Alda Merini sapeva che servivano le parole della poesia per donare a Falcone l’investitura che meritava: non quella di vittima, ma di eroe in “giacca e cravatta”. Aveva affrontato da solo il cavallo nero dell’Apocalisse e, ora a distanza di anni possiamo dirlo, non ne era stato sconfitto: il suo esempio di cavaliere senza macchia e senza paura vive ancora, portando fieramente alto il baluardo del Coraggio.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Per Giovanni Falcone”, la poesia di Alda Merini contro la mafia
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