Sappiamo dalla sua biografia che Pier Paolo Pasolini, dopo aver ripreso i contatti con l’Università di Bologna, aveva cominciato a scrivere la tesi di storia dell’arte contemporanea con il professore Roberto Longhi.
Fuggendo l’8 settembre da Livorno, dove era di stanza, smarrisce il materiale raccolto. Da qui la decisione di cambiare argomento e relatore, chiedendo al professor Luciano Calcaterra di poter lavorare sull’amato Giovanni Pascoli, di cui è nota l’influenza nelle sue opere poetiche.
Tra il 1944 e il 1945, Pasolini, ultimata la stesura con il titolo Antologia della poesia pascoliana. Introduzione e commento, si laurea in Lettere con il massimo dei voti.
Lo studio delle arti figurative rimase comunque il primo amore, tant’è che la sua produzione poetica risulta connotata dai rapporti tra immagini e parole.
Difatti, non poche sono le rielaborazioni verbali di modelli pittorici. Un esempio significativo va individuato nell’operetta Poesie a Casarsa che, dedicata al padre, raccoglie quattordici componimenti in dialetto friulano.
Le poesie a Casarsa di Pasolini
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Pubblicata a proprie spese il 14 luglio 1942 presso la Libreria Antiquaria Mario Landi di Bologna (confluita nel 1954 ne “La meglio gioventù”), se ne occupò un anno dopo Gianfranco Contini nel saggio “Al limite della poesia dialettale”, uscito sul Corriere del Ticino il 24 aprile del 1943. Al dialetto sanguigno e mitico del friulano l’autorevole critico rivolge la sua attenzione: la lingua parlata dal mondo contadino diventa ora scritta e tornerà nelle composizioni sparse raccolte sotto il titolo La nuova gioventù, silloge con cui aveva conseguito la vittoria del premio Carducci (un premio di 150 lire di cui aveva un “odioso bisogno”).
La scelta poetica del dialetto friulano ha un preciso significato: operare con modalità espressive “altre” in sintonia con l’esigenza di nuove aperture socio-politiche come opposizione al regime fascista che osteggiava l’uso delle lingue adoperate dalle masse rurali: “Il fascismo - ha scritto Pasolini - non tollerava i dialetti, segni dell’irrazionale unità di questo paese dove sono nato, inammissibili e spudorate realtà nel cuore dei nazionalisti” tratto da P. P. Pasolini, “Poeta delle ceneri” (a cura di E. Siciliano, in Nuovi Argomenti, Roma, luglio 1980).
Il friulano di Casarsa era parlato dai ragazzi della sua età e Pasolini ne era rimasto coinvolto.
Le sue parole nell’opera Empirismo eretico conducono al suo contesto di vita:
Risuonò la parola ROSADA. Era Livio, un ragazzo dei vicini oltre la strada, i Socolari, a parlare. Un ragazzo alto e d’ossa grosse… Proprio un contadino di quelle parti… Ma gentile e timido come lo sono certi figli di famiglie ricche, pieno di delicatezza, poiché i contadini, si sa, lo dice Lenin, sono dei piccolo-borghesi. Tuttavia Livio parlava certo di cose semplici ed innocenti.
La parola “rosada” pronunciata in quella mattinata di sole, non era che una punta espressiva della sua vivacità orale. Certamente quella parola in tutti i secoli del suo uso nel Friuli che si stende di qua del Tagliamento, non era mai stata scritta. Era stata sempre e solamente un suono.
Qualunque cosa quella mattina io stessi facendo, dipingendo o scrivendo, certo m’interruppi subito […] E scrissi subito dei versi, in quella parlata friulana della destra del Tagliamento, che fino a quel momento era stata solo un insieme di suoni: cominciai per prima cosa col rendere grafica la parola ROSADA.
Sicché, in quella mattina dell’estate 1941, quando viene pronunciata la parola “rosada” viene siglato l’atto di nascita della sua prima poesia. La raccolta “Poesie a Casarsa” si apre con un breve componimento intitolato “Dedica” che, ispirato alle rogge del paese, ha una dolcissima musicalità: vi si cantano le acque del territorio con una purezza quasi edenica:
Fontana d’ àghe dal me paîs.
A no è àghe pì frès-cia che tal me paìs.
Fontàne di rùstic amòr. (Fontana d’acqua del mio paese.
Non c’è acqua più fresca che al mio paese.
Fontana di rustico amore).
A proposito dell’intreccio del verso con le arti figurative, attira anche la nostra attenzione il breve componimento Per il David di Manzù, riferito a quello che si ammira nella Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma.
Pasolini e il David di Manzù
Dell’eroe biblico David, famoso e leggendario, è noto l’episodio del combattimento con il gigante Golia e dell’abbattimento di questi per mezzo di una fionda. Tante le opere che raffigurano David in quadri e sculture (da Donatello al Verrocchio, da Michelangelo a Bernini, per citare appena alcuni nomi).
Pasolini resta suggestionato dall’opera del primo Novecento di Manzù, il quale, travolgendo le precedenti iconografie che lo rappresentano vittorioso nella postura eretta, lo mostra come un bambino rannicchiato dal volto sofferente e con un atteggiamento difensivo e timoroso.
L’immagine cambia: non esprime più l’esaltazione della forza, delle qualità eroiche e virtuose. Quello realizzato da Manzù, del tutto in bronzo, è un nuovo David dall’ aspetto autenticamente e laicamente umano: come a volersi nascondere, con gli occhi socchiusi ha un fulgido sguardo alle sue spalle; in una posizione quasi fetale esprime paura per un’impresa ritenuta invincibile a causa del suo esile corpicino contro quello di un gigante. Non indossa indumenti e la nudità è segno d’una fragile condizione.
L’atteggiamento, che sembra meditativo, rivela la speranza di un aiuto forse insperabile. Dà quasi l’impressione d’avere l’animo disposto all’attesa d’un benevolo intervento.
Per il David di Manzù di Pier Paolo Pasolini
Nella poesia Pasolini, che con David si identifica, gli si rivolge chiamandolo “Amico” e utilizza la reminiscenza mitologica del dio Mithra che combatte contro il toro:
Di fadìe, fantât, l’è blanc il tò paîs, tu vôltîs fèr il ciâf, paziènt ta la tó ciâr lutâde.
Tu sôs, David, côme il tòru in di d’Avril, che ta lis mans d’un fi c’ al rît, al va dóls a la muàrt.
(Amico, di stanchezza sbianca il tuo paese; tu volgi fermo il capo, paziente nella tua carne tentata. Tu sei, David, come il toro in giorno d’aprile, che, nelle mani d’un fanciullo che ride, va dolce alla morte).
L’incontro di Pasolini con l’opera dello scultore bergamasco nasce dunque da un forte impegno civile che fa vedere nell’uomo le malinconiche debolezze. E va detto che lo scultore, insieme ad altre tre, aveva realizzato l’opera, tra il 1936 e il 1938, un periodo drammatico per l’Europa.
Nel 1938 venivano promulgate le leggi razziali e il patto d’Acciaio con la Germania fu firmato l’anno successivo. Da lì a poco, la guerra sarebbe stata un’immane tragedia.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Per il David di Manzù”: la poesia di Pasolini che elogia l’arte
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