Piccole morti
- Autore: Ivana Sajko
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Voland
- Anno di pubblicazione: 2024
È una bella prigione il mondo, scriveva Shakespeare. L’Europa smantellata dell’ex blocco sovietico e delle successive finte democrazie liberiste costituisce il vasto “braccio” geografico di questa prigione: ammesso possa essere bella è pur sempre una prigione. Cioè un “non-luogo” antonomasico di detenzione fisica ed esistenziale.
Cioè sede coatta di anime morte libere (?) sotto il crollo delle ideologie. E per una volta evito di scendere in particolari da deriva capitalista. Proprio su diverse declinazioni di morte – in senso esteso e stretto, minime ed epocali, intime e collettive - si concentra il quarto romanzo di Ivana Sajko dal titolo Piccole morti (Voland 2024. Traduzione di Elisa Copetti), scrittrice slava e non convenzionale a partire dalla prosa, nella fattispecie fluviale e indimenticabile.
Un copioso monologo interiore che dal primo, esteso, capoverso introduce a tre piccole/metaforiche morti private e a conseguenti tentativi di elaborazione del lutto: la fine di un amore, l’abbandono della propria città, la disillusione rispetto alle proprie aspettative di carriera. Da queste fratture emotive discende e afferisce il fiume carsico del resto narrativo. Un procedere frastagliato tra passato/presente, Storia e storie, ricordi e rimozioni, incroci, incontri, separazioni. Sullo sfondo di una Germania–epitome di un’Europa assassina e orfana di futuro al tempo stesso. Come sottolinea limpidamente Elisa Copetti nella postfazione Scrittura come performance (pagg. 112-113)
La scrittura per Ivana Sajko è strumento da impugnare e brandire per raccontare la vita nel tempo contemporaneo assecondandone la frammentarietà, la complessità, l’inesorabile andare avanti dei destini umani. Una scrittura densa fin dalle prime opere che compongono un mosaico di temi: ci sono le persone con le loro vite, il passato costellato da traumi – relazionali, familiari, nazionali – e un presente da ricostruire meglio che si può; c’è l’Europa, matrigna dei primi anni 2000 che ha abbandonato i Balcani alla guerra senza sapere intervenire coesa e decisa, che illude con la speranza dell’Unione e lentamente e inesorabilmente diventa una fortezza per i suoi stessi figli; c’è la guerra, che costringe l’umanità a migrare, che muta le relazioni, che livella i destini.
La trama di Piccole morti è esile soltanto in apparenza. Di fatto è nodale per un’esplorazione lata del dentro e del fuori del/il protagonista, un uomo in fuga dal suo passato, e dunque da sé stesso. Ha appena rotto con la compagna e adesso viaggia su un treno chissà se è il treno del destino: dalla costa meridionale d’Europa fino a Berlino.
Prendendo appunti su un bloc-notes tiene il conto dei propri fallimenti: ha fallito come scrittore e in fin dei conti come giornalista. Le sue collaborazioni si contano col contagocce, sporadiche. A Berlino spera di ritrovare intatte le suggestioni della sua infanzia. L’uomo scommette in fondo su Berlino. Berlino è forse ultima sua carta. Tutto qui. Ma siamo in ambiti di meta-significanza: il correre del treno sui binari (il ritmo e il rumore delle ruote del treno sui binari) agevola pensieri interlocutori, da inizio e/o fine corsa: l’uomo li annota.
Ricordi e traumi personali coniugati a note sull’attuale - e cupa - situazione europea: dopo la demolizione del Muro diversi nuovi muri di disuguaglianza, violenza, razzismi di stati sedicenti democratici…Piccole morti senza soluzione di continuità e, in ultima analisi, una fuga. Ma quale fuga è resa possibile in un mondo divenuto una prigione senza confini?
Il testo si avvale di una prosa ipnotica, sinfonia lessicale e tour de force narrativo insieme. E di una storia sottile, che pure se interiore guarda al presente politico-sociale, demistificandone le illusioni. A partire dall’illusione-cardine, agevolata dai sistemi occidentali, che vorrebbe il migliore dei mondi possibile edificato su esclusive coordinate liberiste.
Rivelatore del senso sotteso del romanzo, l’olio su tavola di Clarice Beckett in copertina: uno stralcio sfocato di stazione assediato da una nebbia perenne. Nemmeno la luce rossa dei lampioni riesce a perforarla del tutto. Per dove parte e dove mai potrà arrivare questo “treno allegro”?
Piccole morti
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