Poesia dal silenzio
- Autore: Tomas Tranströmer
- Categoria: Poesia
- Anno di pubblicazione: 2011
Tomas Tranströmer (1931-2012) fu il più importante poeta svedese della seconda metà del Novecento, tradotto in quarantasei lingue, citato e imitato da numerosi epigoni europei e americani.
Insignito del premio Nobel nel 2011, di formazione e professione era psicologo, per vocazione e passione valente pianista: entrambe queste doti e caratteristiche culturali segnarono la sua produzione in versi, profondamente attenta alle sfumature emotive del pensiero e modulata musicalmente.
L’antologia con testo a fronte pubblicata dall’editore Crocetti, “Poesia dal silenzio”, è introdotta da una presentazione di Maria Cristina Lombardi, che giudica lo stile del poeta di Stoccolma caratterizzato essenzialmente da
“densità semantica e concisione formale… potenza lirica e prepotente fecondità delle immagini”.
In effetti, la scrittura di Tomas Tranströmer, espressa in dodici esigue raccolte di testi perlopiù brevi, rivela tutta la sua originalità proprio nei punti enucleati dalla prefatrice all’interno del suo interessante commento iniziale. Il fantastico e l’immaginifico, in primo luogo, resi in metafore fulminanti e condensate, che apparentano il mondo fisico (animali, vegetali, fenomeni atmosferici) alle sensazioni interiori, siano esse sogni, incubi o visioni illuminanti:
“Su un binario morto un vagone vuoto. / Fermo. Araldico. / I viaggi nei suoi artigli”,
“Pezzi di ghiaccio: gotico capovolto. / Mandria astratta, mammelle di vetro”,
“Un albero vaga nella pioggia, / ci passa in fretta davanti nel grigio scrosciante. / Ha un affare da sbrigare. Prende vita dalla pioggia / come un merlo in un frutteto”.
L’eredità degli studi psicanalitici si avverte in un reiterato interesse per lo scandaglio nel profondo buco nero dell’inconscio, per l’attività onirica, per il rimosso che affiora disturbante:
“È un travestimento. / Il profondo che prova e scarta diverse maschere”,
“In sogno scesi in un fosforescente bacino sotterraneo, / una messa fluttuante”,
“Il teatro nella profondità autentica! // … Domani tutto sarà cancellato”.
La fascinazione musicale ritorna nelle tonalità modulate in accordi strumentali e in riferimenti concreti all’esistenza di compositori classici:
“Due vecchi, suocero e genero, Liszt e Wagner, abitano sul Canal Grande”
“Mi porta la mia ombra, / come la sua nera custodia / un violino”
“Presenza di Dio. / Nel canto degli uccelli / s’apre una porta”.
Lo stile in cui si esprimono i versi ‒ essenziali, contratti e lucidi ‒ di Tomas Tranströmer è paratattico, fatto di brevi frasi coordinate, in cui però ogni termine assume una pregnanza di significato tutta da esplorare, nella ricerca di significati plurimi, di nessi logici non immediatamente intuibili: una poesia non facile, quindi, e mai banale, che richiede al lettore un’adesione attenta e partecipe, anche perché non ama giocare con tranelli e trucchi linguistici, con sperimentalismi fine a sé stessi.
Il silenzio, da cui nasce la sua scrittura, è base imprescindibile per mettere in luce il miracolo da cui nasce la parola. Proprio ad essa il poeta deve il massimo rispetto, e suprema riconoscenza. Soprattutto se avvicina al mistero dell’esistenza, al momento tragico della morte, come nell’ultima raccolta La gondola a lutto, composta dopo l’ictus che ridusse il poeta alla paralisi e al mutismo:
“E il Vuoto gira il suo volto verso noi e sussurra: ‘non sono vuoto, sono aperto’”,
“Il sole è basso. / Ombre nostre giganti. / Sarà tutt’ombra”,
“Buona sera, meraviglioso profondo! / La gondola è greve, carica di vite, è semplice e nera”.
Ma la parola serve anche a denunciare la persecuzione del potere, quando il tacere diventa non una scelta ma un obbligo, nei regimi dittatoriali sparsi per il mondo: ha quindi una responsabilità civile, a cui Tomas Tranströmer non si è mai sottratto, nel suo confronto leale e coraggioso con ogni viva e presente realtà e con la storia universale.
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