Poliziotto-Sessantotto. Violenza e democrazia
- Autore: Luigi Manconi, Gaetano Lettieri
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Il Saggiatore
- Anno di pubblicazione: 2023
L’approccio analitico al Sessantotto è dicotomico: o intessuto di apologismo reducista (io c’ero, e facevo alla grande) oppure stigmatizzante (il Sessantotto come stura alla lunga stagione degli anni di piombo).
Il saggio di Luigi Manconi e Gaetano Lettieri dal titolo emblematico Poliziotto-Sessantotto. Violenza e democrazia (il Saggiatore 2023) - inquadra l’annus mirabilis (un anno comunque extra-ordinario, sotto qualunque aspetto lo si inquadri) in controtendenza, scegliendo la via della prossimità umanista tra opposti estremismi.
In altre parole: non tutto il movimento studentesco era posseduto dal sacro furore della violenza, non tutti i poliziotti erano manganellatori compiaciuti di studenti. C’era cioè, tra quelle frange, chi ragionava sul concetto politico-ontologico del rapporto fra violenza e democrazia.
Uno dei fili rossi che tagliano la doppia analisi di Manconi (parte prima) e Lettieri (parte seconda) consta, non a caso, nella rilettura inedita di Il PCI ai giovani, la lunga e a lungo strumentalizzata in chiave divisiva anti-sessantottina, poesia di Pier Paolo Pasolini, anticipata da L’Espresso, quindi pubblicata su Nuovi Argomenti (Aprile-Giugno 1968 – n. 10).
La “traduzione” di Luigi Manconi del testo pasoliniano restituisce il senso oggettivo, pure se provocatorio, di quei versi travisati:
Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte
coi poliziotti,
io simpatizzavo coi poliziotti.
Perché i poliziotti sono figli di poveri.
Vengono da subtopie, contadine o urbane che siano.
Quanto a me, conosco assai bene
il loro modo di esser stati bambini e ragazzi,
le preziose mille lire, il padre rimasto ragazzo anche lui,
a causa della miseria, che non dà autorità.
La madre incallita come un facchino, o tenera
per qualche malattia, come un uccellino;
i tanti fratelli; la casupola
tra gli orti con la salvia rossa (in terreni
altrui, lottizzati); i bassi
sulle cloache; o gli appartamenti nei grandi
caseggiati popolari, ecc. ecc.
E poi, guardateli come li vestono: come pagliacci,
con quella stoffa ruvida, che puzza di rancio
furerie e popolo. Peggio di tutto, naturalmente,
è lo stato psicologico cui sono ridotti
(per una quarantina di mille lire al mese):
senza più sorriso,
senza più amicizia col mondo,
separati,
esclusi (in un tipo d’esclusione che non ha uguali);
umiliati dalla perdita della qualità di uomini
per quella di poliziotti (l’essere odiati fa odiare).
Hanno vent’anni, la vostra età (…)
Secondo Manconi l’intento di P.P.P. più che di distanziarsi dalla causa giovanile-movimentista, era quello di ricondurre anche i poliziotti allo statuto di vittime - povere - del potere.
Come evidenzia l’autore:
A dar retta alla versione pressoché unanime, in quella poesia (Pasolini, ndr) avrebbe preso le parti dei poliziotti, in odio agli studenti contestatori, secondo una grossolana distinzione tra i primi (proletari e sottoproletari, ‘figli dei poveri’) e i secondi (borghesi e piccoloborghesi ‘figli di papà’). Fu lo stesso Pasolini a chiarire ‘Nessuno (…) si è accorto che i versi iniziali erano solo una piccola furberia oratoria paradossale, per richiamare l’attenzione del lettore (…) su ciò che veniva dopo (…) dove i poliziotti erano visti come oggetti di un odio razziale al rovescio ’. Le caserme dei poliziotti erano dunque considerate come ‘ghetti particolari in cui la qualità della vita è ingiusta (…) Nessuno dei consumatori di quella poesia si è soffermato su questo: e tutti si sono soffermati al primo paradosso introduttivo appartenente ai formulari della più ovvia ars retorica’. Dunque secondo Pasolini, il senso di "Il Pci ai giovani" sarebbe stato ribaltato da letture ideologicamente interessate. Ma il tema vero e la sostanza poetica e politica consistevano nell’affermazione che ‘il potere ha la possibilità di fare di questi poveri degli strumenti.
Ancor più in generale, quello tratteggiato nelle pagine di Manconi, è un Sessantotto al rovescio, inapparente, dunque ulteriore; un Sessantotto enucleato senza alcun (auto)compiacimento, in cui il fumo delle barricate (solo evocato) incrocia l’attivismo non-violento di quel periodo: dai parroci di fianco agli ultimi delle periferie, alle operaie che alimentano una coscienza di classe colorando pasticche nelle industrie farmaceutiche, a poliziotti “buoni” che chiedono lumi ai coetanei di sponda movimentista su come fondare un loro sindacato.
Con un quesito politico, prima ancora che morale, allocato di sfondo alla narrazione: è lecito che in assenza di reiterazione, uno stato democratico rivendichi per i colpevoli di reati politici, la condanna per crimini commessi mezzo secolo fa?
Dall’accezione del Sessantotto come scontro “fratricida”, e a seguito di una lunga analisi sul complesso rapporto tra Pasolini e il Sessantotto, con il paragrafo dedicato da Gaetano Lettieri all’omicidio Moro, si approda all’azione parricida per antonomasia.
Come scrive Lettieri:
Ma tornando al Sessantotto e alla questione del suo avvitamento fratricida, vi è certo un parricidio decisivo da valutare, vero e proprio tornante della storia della Meglio gioventù., punto di catastrofe delle aspirazioni libertarie, comunitarie, rivoluzionarie del Sessantotto. Se il terrorista è l’alter ego del poliziotto, il tentativo più eclatante di eliminazione del padre è stato quello di Aldo Moro, evento cardine della nostra storia contemporanea. Restituendo il terrorismo come ultima deriva impazzita delle felici battaglie di liberazione della Resistenza e del Sessantotto, quindi alla sua crisi generazionale, lo splendido Buongiorno notte (2003) di Marco Bellocchio si interroga su quel parricidio a me pare con una logica perfettamente eterologica.
A prescindere dai focus interpretativi, è impossibile disconoscere la nodalità del Sessantotto. Il saggio a due voci esteso da Manconi e Lettieri lo racconta (a un passo dalla teorizzazione a-ideologica) tra slanci ribellisti e impulsi violenti, legittimità di battaglie ed estremismi fratricidi, comunque come anno seminale per la storia e la formazione democratica della nazione.
Come punto di riferimento politico-civile da assumere in accezione migliore per future battaglie, consumate sul crinale auspicabile della dialettica tra contestazione e repressione. Così che il conflitto possa produrre mutamento e non violenza. E la condizione del nuovo e vecchio sottoproletariato, degli ultimi, “di chi è vittima e di chi è prigioniero” diventi teleologia sociale, aldilà dei credo, dei ruoli, delle partigianerie, delle divise.
Assecondando tale accezione “poliziotto-sessantotto” diventa un ossimoro soltanto apparente.
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