Che Pier Paolo Pasolini abbia avuto un’anima religiosa, malgrado si sia dichiarato ateo e marxista, è un dato su cui è stato scritto abbastanza.
In merito, c’è da dire che la genesi dell’educazione cristiana va ricercata nel suo ambiente familiare.
Basti pensare all’intervista con Enzo Biagi, la quale, rilasciata nel 1971, sull’argomento fa chiarezza. Fu sua madre a trasmettergli una religiosità contadina unitamente alla morale cattolica della bontà e della generosità.
Il padre, invece, “acceso nazionalista se non proprio fascista", andava sì in Chiesa la domenica, ma soltanto per un formalismo borghese.
In quell’intervista Pasolini ha dichiarato di avere “una visione religiosa del mondo”:
Evidentemente il mio sguardo verso le cose del mondo, verso gli oggetti, è uno sguardo non naturale, non laico; io vedo sempre le cose come un po’ miracolose […] ho una visione, diciamo così sempre informe, non confessionale, in un certo qual modo religiosa del mondo.
Ammettendo la sua estraneità alle parole “consolazioni” e “speranza”, egli dice:
Non cerco consolazioni. Cerco ogni tanto, umanamente, qualche piccola gioia, qualche piccola soddisfazione, ma le consolazioni, proprio […] sono sempre retoriche, insincere, irreali […] Ah, lei dice il Vangelo di Cristo? Allora, in questo caso, escludo totalmente la parola “consolazione” […] Per me il Vangelo è una grandissima opera intellettuale, una grandissima opera di pensiero che riempie, che integra [….] ma che farsene della parola “consolazione”; la parola “consolazione” è un po’ come [la parola] “speranza”.
Eppure nella raccolta Trasumanar e organizzare si trova il componimento Preghiera su commissione che, tra il serio e il faceto, richiama un brano del Vangelo di Matteo (6,25-33).
Scopriamone testo, analisi e commento.
“Preghiera su commissione” di Pier Paolo Pasolini: testo e analisi
Nella poesia Preghiera su commissione Pasolini si rivolge a Dio con una richiesta:
Ti scrive un figlio che frequenta
la millesima classe delle elementari.Caro Dio,
è venuto un certo signor Homais a trovarci
dicendo di essere Te:
gli abbiamo creduto:
ma tra noi c’era uno scemo
che non faceva altro che masturbarsi,
notte e giorno, anche esibendosi davanti a fanti e infanti,
ebbene...
Il Signor Homais, caro Dio, Ti riproduceva punto per punto:
aveva un bel vestito di lana scura, col panciotto,
una camicia di seta e una cravatta blu;
veniva da Lione o da Colonia, non ricordo bene.
E ci parlava sempre del domani.
Ma tra noi c’era quello scemo che diceva che invece Tu
avevi nome Axel.
Tutto questo al Tempo dei Tempi.Caro Dio
liberaci dal pensiero del domani.
È del Domani che Tu ci hai parlato attraverso M. Homais.
Ma noi ora vogliamo vivere come lo scemo degenerato,
che seguiva il suo Axel
che era anche il Diavolo: era troppo bello per essere solo Te.
Viveva di rendita ma non era previdente.
Era povero ma non era risparmiatore.
Era puro come un angelo ma non era perbene.
Era infelice e sfruttato ma non aveva speranza.
L’idea del potere non ci sarebbe se non ci fosse l’idea del domani; non solo, ma senza il domani, la coscienza non avrebbe giustificazioni.
Caro Dio, facci vivere come gli uccelli del cielo e i gigli dei campi.
Per il Pasolini “eretico”, Dio è presentato in una duplice identità che ha in sé il bene e il male, la luce e l’ombra. Se il bene equivale al vivere il presente serenamente e senza preoccupazioni, il male è il domani personificato dall’emblema del mondo capitalistico: l’elegante signore del domani in cui si accumulano ricchezze, contrapposto allo “scemo degenerato”, è seguace di Axel: cioè, il diavolo.
Ecco due affermazioni a mo’ di massima:
L’idea del potere non ci sarebbe se non ci fosse l’idea di domani.
Chi vive per il domani, vive dunque per il potere; invece è il vivere per il presente che è fonte di una tranquillità senza assilli. Il ricco, ostentando gli averi, ha tante preoccupazioni angoscianti, ed è l’ansia del domani che lo costringe a sorvegliarli e ad accrescerli. La chiusura del componimento è di una incisività magistrale che richiama il Cristo consolatore di chi lo seguiva nelle sue prediche.
“Preghiera su commissione” di Pier Paolo Pasolini: commento
È come un’accorata preghiera il poter condurre l’esistenza “come i gigli dei campi e gli uccelli del cielo”. È la richiesta del mantenimento di una promessa: non angustiarsi per il domani, che equivale a prendersi cura degli afflitti.
Ecco che Pasolini accoglie la compassione del Vangelo che non vorrebbe abbandonare l’essere umano allo scoraggiamento e respinge il desiderio inquieto “dell’avere”, ovvero la preoccupazione materiale.
Quanta concisione, quanta religiosità nelle sue parole. Pasolini vorrebbe credere in un Dio provvidente che si prenda cura del nutrimento dei gigli dei campi e degli uccelli dell’aria, anche se è consapevole che in effetti le cose non stanno così.
Una contraddizione questa che sembra volere strappare al Dio in cui non crede le promesse riservate alla condizione umana?
È comunque il contraddirsi a dare forze insospettate, un’energia di pensiero e di espressione che sottragga dall’angoscia la dignità, ad avanzare una candida richiesta d’amore.
Il componimento rivela il dissidio interiore di Pasolini che fa venire in mente le parole di Ovidio:
“Nec sine te, nec tecum, vivere possum”
Ovvero: “Né senza di te, né con te, sono capace di vivere”, ma le parole di Pasolini - a differenza della citazione ovidiana - sono rivolte a Dio.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Preghiera su commissione” di Pier Paolo Pasolini: una poesia rivolta a Dio
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