Prima della voce
- Autore: Paolo Parrini
- Categoria: Poesia
- Anno di pubblicazione: 2021
Prima della voce (Samuele editore, 2021, prefazione di Annalisa Ciampalini, pp. 70) è l’ultima fatica poetica di Paolo Parrini, classe 1964. I suoi versi scorrono lievi e melodiosi, con un’aderenza alla vita che convince. Vita intessuta di momenti come è giusto che sia. Ogni autentico poeta è calato nel "dasein", nell’essere qui, direbbe Heidegger, capace di dirlo nel verso che si fa carne. La specificità di Parrini è un’attitudine quasi zen, illuminativa; riesce a riempire di luce ogni istante, lo stesso dolore e l’oscurità sono luminosi, posseggono ciò che Montale chiamava "chiarità", di natura non soltanto visiva e fisica. Da sempre la luce è sinonimo di coscienza. Il poeta non propone "verità", ma immagini che parlano "prima della voce". Ed è questo uno dei significati del bel titolo scelto per la raccolta. Prima delle parole abbiamo apparizioni. Sono rappresentazioni usuali, ma complesse; racchiudono e uniscono le contraddizioni dell’esistenza, per sua natura duale; il movimento e lo stupore poetico consistono nel passate da una rappresentazione al suo contrario come
"Sulla via camminata in mille ore / il sunto d’un dolore / poi il mandorlo fiorito là / sulla collina.”
Prima di dar voce a un concetto, ne abbiamo l’anticipazione visiva. C’è qualcos’altro nelle composizioni brevi e intense, intrise di sentimento e spesso malinconia, che si riferisce a un "prima", ed è l’attesa di un compimento. La metafora più ricorrente è il trapasso dalla notte al giorno:
"Il lento schiudersi / della notte nel mattino / il sonno stemperato / in un caffè forte. / La resurrezione di ogni giorno. / Fuori stanotte è caduta la neve.”
Il compimento sta nella neve, qui simbolo di integrità e purezza. Sono eventi quotidiani che la poesia scopre straordinari. In effetti ogni vissuto è per tutti è straordinaria resurrezione.
Il compimento sta sicuramente nell’amore che permea il libro, amore-condivisione, empatico. Pure l’attesa è già compimento, o un suo inizio, come un primo vagito:
“Non fummo altro che attesa, / la tua, senza saperlo cucivo / culle di fiori profumati. / Il tuo sapore è neve, strada / che racconta un vagito.”
Ma Parrini ama sottili aporie, sa che nulla è mai totalmente compiuto. La completezza non appartiene a questo mondo:
"Calmo blu che non m’appartieni / infinito chiuso in un bicchiere. / Dentro le nubi bianche / sono sceso stanotte / e il tuo succo ancora non è mio. / Non è mia la tua neve.”
La neve ricorrente è un suo “topos” ricco di calore, nonostante il freddo apparente. Tutto è in cammino. Ma verso dove? In un mistero infinito, in un "altrove" di cui la realtà quotidiana umile e sommessa è un’eco. Altrove che precede e segue i nostri giorni, e mai non fu. Sibillini i versi
“Quel che non fu resta memoria e tempo. / Un angolo di vento ad aspettare.”
In quale tempo? In quale angolo di spazio? Esiste e dove ciò che non abbiamo?
O non abbiamo più? Parrini intuisce una realtà metafisica vagheggiata e benedetta:
“Quello che non abbiamo / sono i suoni iniziali dei nomi / che un tempo ebbero un volto. / Sia benedetto / questo spazio fatto altrove.”
Il libro si chiude con l’immagine del "non colto", ancora un’attesa; dopo la morte c’è ancora vita immaginata. Intanto il grano matura nei giorni fatti di luce-ombra e non è ancora stato raccolto, metafora di noi:
“Questo corpo si depone / foglia in attesa / tappeto e rovo / perché dentro tutto il chiaro / esplode sempre una nube scura. / I covoni allineati descrivono / geometriche visioni. / Ma non è ancora tempo del raccolto.”
Ci lascia un brivido misto di tristezza e di pacata euforia. È un arrivederci. Le parole dunque ci sono, concrete e allusive, si fanno ascoltare con la loro musica e i messaggi espliciti e impliciti.
Parrini ha vinto numerosi premi, fra i quali il prestigioso “Premio Giovanni Pascoli l’Ora di Barga” 2019, con la silloge Quando cadranno i giorni (2019).
Prima della voce
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