Prove del diluvio
- Autore: Stefano Simoncelli
- Categoria: Poesia
- Anno di pubblicazione: 2017
Nato a Cesenatico nel 1950, Stefano Simoncelli è poeta appartato che però ha al suo attivo pluripremiate raccolte di versi e una lunga militanza letteraria, soprattutto come redattore della rivista Sul porto, che negli anni ’70 raccolse intorno a sé prestigiose firme culturali italiane ed europee. Da poco ha pubblicato presso l’editore marchigiano Italic Pequod un elegante libro di poesie e prose intitolato “Prove del diluvio”, sulla cui copertina di un azzurro acceso campeggiano tre orme di gatto, evidentemente amputato della quarta zampetta, a indicare una traccia labile, disorientata, che si avventura prudente nel campo minato della scrittura.
In effetti, lo stile di Stefano Simoncelli si rivela da subito come particolarmente curato, attento a evitare qualsiasi ridondanza retorica nella forma e nella sostanza; ma anche cauto, sommesso, tendenzialmente felino come suggeriscono l’allusione al gattino zoppicante e il titolo stesso del libro: “Prove del diluvio”, in attesa di qualcosa che sta per arrivare, e incombe incontenibile quasi fosse un nubifragio. La memoria, forse? Un passato di affetti familiari perduti e rimpianti, come nelle sezioni dedicate al padre, alla madre e alla moglie morta più di dieci anni fa?
Così scrive in Elenio Wagner Debiase, una delle tre notevoli prove narrative antologizzate, cammei di amare biografie di uomini perdenti:
“ognuno, ha imparato col tempo, si aggrappa dove può se sta attraversando la corrente di un fiume in piena. I guadi li trovano i più fortunati e lui non è mai stato tra quelli. È uno da tralicci, uccelli migratori e fulmini”.
Qui un Elenio, impiegato dell’Enel in pensione, vive su una squinternata palafitta ai confini del porto, in preda a malinconie e fantasmi che si incarnano imprevedibilmente in un petulante ed istrionico invasore, giudice spietato dei suoi fallimenti e delle sue paure, forse allucinazione o alter-ego inventato per farsi compagnia.
Nelle venti poesie dedicate al padre (Un lungo brivido di freddo) è ancora in primo piano il rapporto controverso tra due uomini, legati indissolubilmente non solo dal vincolo di sangue, ma da una odiosamata dipendenza reciproca. Il poeta bambino guarda al padre come a un esempio da imitare (“la fragile eleganza / trasognata con cui saliva le scale”; “Possedeva il formidabile talento / di trasmutare l’incredibile in credibile”; “Con quello strampalato arsenale del niente / inventava e costruiva…”), insieme con il rancore di chi teme l’esplosione di un’improvvisa violenza dovuta all’ubriachezza. Un figlio che si fa carico delle debolezze paterne, al punto da perdonargli anche la disattenzione nei suoi confronti, e che persino da adulto è costretto ad ammettere:
“Sto sempre ritornando a casa di mio padre”.
Ne Il talento che era mia madre e in Cartoline al tuo silenzio Stefano Simoncelli rende omaggio alle donne più importanti della sua vita: la madre (nella logora vestaglia rossa dei tanti ricoveri ospedalieri, nelle due gocce di profumo di mughetto spruzzato sulla tunica di lino prima di uscire, negli umili gesti da casalinga operosa), e la moglie: la cui assenza incombe come un’eterna condanna per un irragionevole rimorso da sopravvissuto (“Mi sento un ladro con le chiavi / in questa casa troppo piena / di ogni cosa e vuota”; “non sei più raggiungibile / e non puoi telefonare da nessuna cabina, // o almeno è quello che molti credono”).
Il pensiero della morte - la propria avvertita con rassegnato presentimento, quella altrui dolorante nel ricordo - anima anche l’epilogo del volume, nell’attesa di un dopo sentito quasi come una liberazione, per la stanchezza fisica e per l’irrimediabile abbandono delle persone amate:
“voglio farmi trovare pronto: / ho il nécessaire per la notte e la pila», «penso che ho fatto il mio tempo, // dato tutto il peggio e il meglio. / Tiro il freno d’emergenza, / saluto tutti e scendo”.
Il tono discreto, l’elegante equilibrio della poesia di Stefano Simoncelli non si manifesta solo nei temi della raccolta, ma soprattutto nella sua fedeltà alla tradizione letteraria del nostro Novecento, nei versi rispettosi di una metrica e di un ritmo musicale mai ostentato, eppure sapiente e rigoroso.
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