Pupi Avati. Il cinema dalle finestre che ridono
- Autore: Pupi Avati
- Genere: Arte, Teatro e Spettacolo
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2017
Chissà se c’entra il doppelgänger. Certo è che Pupi Avati di Una gita scolastica (e amarcordismi simili) non è quello oscuro di La casa dalle finestre che ridono e Zeder. Diverso come il giorno e la notte. Lontano anni luce, tanto per capirci. Ci sono volte - ci sono film - in cui tra Avati e Avati corre insomma un abisso. L’altro da sé avatiano lascia di tanto in tanto la fanciullesca panacea del microcosmo padano e ne rovista i rimossi. Scava fra i sottotesti terrifici delle fole contadine. Fatto sta: all’interno dello specifico filmico di Pupi Avati, il genere thriller-horror si posiziona come strada parallela, filo rosso ulteriore, altrettanto battuto-(per)seguito-riuscito (se non di più) di quello per cui il regista è comunemente noto.
L’intuizione di Luca Servini, che cura per le Edizioni Il Foglio questo “Pupi Avati. Il cinema dalle finestre che ridono” (2017), è dunque tutt’altro che peregrina. In rigorosa modalità monografica, il saggio si sofferma proprio sulla vocazione terrifico-esoterica del regista, attraverso l’approfondita ri-lettura di tutti i suoi film altri, maggiori e minori: dai misconosciti Balsamus, l’uomo di Satana (1968) e Thomas… gli indemoniati (1969) al già citato dittico-capolavoro dato da La casa dalle finestre che ridono (1976) e Zeder (1982) – puntualissime le anamnesi che ne fanno Giovanni Modica e Fabrizio Fogliato –, dal parodistico Tutti defunti…tranne i morti (1977) al sulfureo L’arcano incantatore (1996). Senza trascurare il gioiellino “americano” costituito da Il nascondiglio (2007), con un’inedita Laura Morante in inquieta(nte) declinazione borderline. Poiché il saggio non si fa mancare nulla (a proposito, la prefazione è di Pupi Avati in persona), comprende anche un buon novero di testimonianze sul tema, come minimo degne di fede (Giovanni Veronesi, Stefano Dionisi, la stessa Laura Morante fra gli altri). Quella di Antonio Avati – fratello, co-autore, mentore, un’altra sorta di doppio del doppio del regista – contempla l’intero specifico pauroso di Pupi, film dopo film.
Mi tocca, infine, rimarcare la stra-ordinaria continuità con cui le Edizioni Il Foglio battono i sentieri (poco battuti) di rilettura del cinema italiano, over e underground. Col tempo e nel tempo, quella coordinata dal pasionario Gordiano Lupi è diventata una vera e propria scuderia critica, degnissima di attenzione. Bravi tutti, bravi davvero.
Pupi Avati. Il cinema dalle finestre che ridono
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