Pura invenzione. 12 variazioni su "Frankenstein" di Mary Shelley
- Autore: Lisa Ginzburg
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Marsilio
- Anno di pubblicazione: 2018
Da una lettura a una vita: gli scrittori italiani raccontano del mondo e di sé partendo da un libro.
Così si spiega la nascita di una collana pregevole: “Passa Parola” di Marsilio. Scritture e scrittori in relazione biunivoca. I classici della letteratura (re)inquadrati sotto luci di incidenza critica e personali. Con diverse, ampie, divagazioni: sul mondo e su di sé. Appunto. I primi titoli che inaugurano la collana coinvolgono Michela Murgia alle prese con “Le nebbie di Avalon”; Alessandro Giammei con “Il grande Gatsby”; e Lisa Ginzburg che rilegge “Frankenstein” in un saggetto smilzo quanto denso (“Pura invenzione. 12 variazioni su Frankenstein di Mary Shelley”). È su quest’ultimo che mi soffermerò, a partire dal sorprendente rispecchiamento della Ginzburg nella Shelley. Due destini, in effetti, assimilabili, a partire dall’estrazione familiare: entrambe figlie di intellettuali, entrambe alle prese con l’arduo affrancamento dalla figura paterna (le pagine dedicate a Carlo Ginzburg risultano fra le più pregnanti del libro), quasi costrette a individuare una loro strada creativa. (“Il tuo problema” mi disse un amico in un giardino pubblico, a Parigi (…) “è che non hai trovato un tuo tema”, pag. 14).
Un sentire simile, quello di Lisa Ginzburg e Mary Shelley. Soltanto il Mostro le divide (in apparenza?): Lisa che ammette sin dall’incipit di non amare “i racconti dell’orrore, né le storie di fantasmi, e tantomeno i romanzi gotici”; Mary che in una villa sul lago di Lemano, quasi per sfida consegna alla storia letteraria quella che diverrà la Creatura per antonomasia. "Frankenstein o il moderno Prometeo": un occhio al racconto dell’orrore ontologico, uno (involontario?) alla psicanalisi a seguire. Come annota acutamente Lisa Ginzburg, a pag. 32 del suo libro, “Frankenstein” è:
Una storia all’insegna del fallimento. Amori che non hanno modo di sbocciare, amicizie che non fioriscono, bambini uccisi prima ancor di nascere, anime che cercano di elevarsi e non ne trovano il modo. Quello di Frankenstein potrebbe prospettarsi come un paesaggio narrativo solo drammatico e deprimente, non fosse che al centro, a prendersi la scena, c’è un rapporto vivo, pulsante di complessità e perciò gravido di sviluppi. Il legame tra Victor Frankenstein e la sua creatura: un incastro che è quanto di più asimmetrico si possa immaginare. Frankenstein rifiuta il Mostro (…) lo considera un aborto. L’altro, da parte sua, non legittima Frankenstein nella sua funzione di demiurgo/padre. Da poco è venuto al mondo, e già eccolo ostile, il Mostro. (pag. 32).
Provando a declinare questa lettura, il “Frankenstein” di Mary Shelley è assumibile anche (soprattutto) come romanzo sull’amore "asimmetrico" tra un padre e un figlio (creatore/creatura). Una relazione discrasica restituita da Lisa Ginzburg nella forma puntuale e trasversale che le appartiene. In quanto, anzi tutto, biografa di se stessa. Per interposti generi (romanzi e saggi) e personaggi.
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