Dal mese di dicembre l’offerta streaming della piattaforma Netflix propone un titolo interessante Quando Dio imparò a scrivere, un thriller tratto dal libro La linee storte di Dio del giornalista madrileno Torcuato Luca de Tena , pubblicato per la prima volta nel 1979.
Il riferimento alla scrittura nel titolo e il fatto che il film sia tratto da un romanzo certamente avranno una presa irresistibile sui lettori che saranno catturati da questa pellicola spagnola come le api dal miele.
Nel 2022 Quando Dio imparò a scrivere è stato presentato al 70° San Sebastian International Film Festival ottenendo sei candidature. Il thriller è diretto dal regista catalano Oriol Paulo e vede nei panni della protagonista Alice l’attrice spagnola Barbara Lennie, premio Goya 2015.
Scopriamo di più sulla trama e accenniamo una spiegazione del finale per chi sta ancora ricercando una conferma alle proprie impressioni.
Scopriamo trama, trailer e una possibile spiegazione del finale.
Quando Dio imparò a scrivere: la trama
La trama è intricatissima e mira proprio a sconvolgere e a disorientare, nel suo avanzare, la percezione dello spettatore. Nulla è come sembra in questa pellicola che è come un gioco degli specchi. Tutto ha inizio quando l’affascinante investigatrice privata Alice Gould (Barbara Lennie, Ndr) fa il suo ingresso in un ospedale psichiatrico sotto copertura per indagare su un omicidio avvenuto tempo prima. È stato il dottor De Olmo a ingaggiarla per scoprire la verità sulla morte di suo figlio.
Una volta oltrepassata la soglia, però, menzogna e verità si confondono e sovrappongono. Noi al principio osserviamo la vicenda dal punto di vista di Alice, ma ben presto emergono anche altre versioni della storia che tramutano la nostra protagonista in un narratore inaffidabile. E se Alice Gould non fosse colei che dice di essere? Se non fosse un’investigatrice ma una normale paziente? Il confine tra normalità e follia è molto labile e, in certi luoghi più che in altri, tende a svanire e a sovvertirsi. L’atmosfera sinistra e squisitamente horror del manicomio ingloba lo spettatore in un susseguirsi di colpi di scena che ci trascineranno nel cuore pulsante del dubbio. Sino all’ultima battuta il dubbio “Alice è sana o è malata?” ci attanaglia in una morsa stringente, mostrandoci quando sia labile in realtà la distinzione tra sanità mentale e follia.
Numerosi flashback inframezzano la narrazione spezzandola di continuo. Questi zampilli di memoria ci riconducono continuamente alla sera del misterioso omicidio: al principio sembra tutto chiaro, il caso praticamente già risolto, ma man mano che la storia procede si insinuano dubbi e piccoli dettagli modificano la nostra percezione dell’evento.
La maestria narrativa è notevole e senza dubbio deve molto al romanzo di Torcuato Luca de Tena che sembra giocare proprio con l’arte dell’affabulazione: quante versioni possono esserci di una stessa storia? Una vicenda può modificarsi a seconda di come viene raccontata? Una molteplicità di punti di vista può distorcere la realtà di un singolo evento?
Quando Dio imparò a scrivere: il libro
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Il thriller Netflix è tratto dal fortunato romanzo Los renglones torcidos de Dios (Le linee storte di Dio), scritto da Torcuato Luca de Tena nel 1979, appena edito in Italia dalla casa editrice fiorentina Vallecchi con la traduzione di Ariase Barretta.
La linee storte di Dio è un’opera di finzione che tuttavia deve molto alla realtà e al contesto storico in cui è ambientata. Torcuato Luca de Tena era infatti un giornalista premiato e in queste pagine si proponeva di indagare la condizione manicomiale che, proprio in quei tempi, stava cambiando. L’approccio alla malattia mentale infatti, in seguito alla legge Basaglia del 1978, divenne meno stringente: vi si approcciava abbandonando i vecchi metodi di detenzione a favore di una nuova versione psichiatrica, di una pratica medica clinica. Veniva lasciata più libertà ai pazienti proprio in virtù delle nuove teorie psicologiche che non individuavano più nella follia una condizione definitiva, ma la ponevano in continuità con la normalità di cui la malattia non era altro che un’alterazione.
La figura enigmatica della protagonista, Alice Gould de Almenara, ci trascina proprio nel labirinto oscuro della mente. Alice è in realtà una paranoica che ha costruito attorno a sé una realtà visionaria, come dimostra il suo certificato di ricovero? Oppure è davvero chi dice di essere? E se fosse entrambe le cose?
Torcuato Luca de Tena riesce a costruire una narrazione avvincente tesa a sviscerare a fondo il concetto imperscrutabile di follia. La sua storia è paranoica proprio come la protagonista: presenta più versioni, alterazioni, scissioni, come una personalità schizofrenica. Si inserisce nel solco della tradizione di Qualcuno volò sul nido del cuculo dell’americano Ken Kesey (Rizzoli, 1976), in cui l’ospedale psichiatrico veniva presentato come lo specchio riflesso di una società repressiva che tende ad annientare la diversità e, soprattutto, l’individualità.
Il manicomio diventa quindi il luogo della menzogna per eccellenza, dove tuttavia è possibile rintracciare anche il nocciolo più puro della verità.
Il titolo Le linee storte di Dio fa riferimento a una frase precisa pronunciata dal dottor Alvar mentre dà la propria spiegazione alla polizia incaricata delle indagini:
Se Dio ci ha creato come una calligrafia perfetta, i pazienti che finiscono qui sono come le linee storte di quando Dio imparò a scrivere.
Si tratta di un’espressione volta a designare la deviazione dalla normalità, la malattia mentale che appare come una linea storta, un errore di calligrafia, “l’anello che non tiene”. Sono proprio queste “linee storte” tuttavia a metterci nel mezzo di una verità.
Recensione del libro
Le linee storte di Dio
di Torcuato Luca de Tena
Quando Dio imparò a scrivere: il trailer
Quando Dio imparò a scrivere: una spiegazione del finale
Allerta Spoiler: se ancora non avete visto il film non leggete questo paragrafo. Di seguito azzardiamo una spiegazione del finale che ha lasciato molti spettatori nel baratro del dubbio.
Nelle battute finali di Quando Dio imparò a scrivere Alice viene infatti assolta dalla commissione medica che la dichiara sana di mente. Un esito felice e consolatorio. Tutto sembra finito per il meglio dunque: ma i dubbi permangono visti gli ultimi sviluppi del finale e la scoperta della vera vittima dell’omicidio. In particolare i dubbi si fanno più vivi quando ci viene rivelato il volto del medico curante di Alice che sino a quel momento non era stato altro
che una voce fuori campo. Quando se lo trova dinnanzi lei stessa lo fissa attonita come se la sua apparizione sgretolasse improvvisamente ogni sua convinzione.
L’uomo che ha accompagnato la donna in manicomio infatti si rivela essere non il padre del ragazzo ucciso, ma il dottor Donadio, il medico curante di Alice, proprio colui che aveva firmato la lettera per farla ricoverare. Dapprima appare da lontano e il suo volto è sfocato, ma il suo palesarsi ci pone di fronte a una verità spiazzante. L’uomo guarda la protagonista con apprensione e le domanda familiarmente:
Alice, in che guaio ti sei cacciata stavolta?
Siamo dinnanzi a un finale alla Shutter Island, il famoso film di Martin Scorsese con protagonista Leonardo Di Caprio. Appare chiaro che non c’era nessun mistero su cui Alice Gould doveva indagare. La vera vittima dell’omicidio - che non si è compiuto nel passato come credevamo, ma nel presente - è infatti Remo, uno dei figli gemelli della stessa Alice.
Tutto lascia pensare che la stessa Alice fosse già stata ricoverata in quell’Istituto molti anni prima: in quei luoghi ha dato alla luce i due bambini, per poi andarsene dopo essere stata rilasciata. Nel dialogo finale con il figlio Romulo, Alice lascia intendere che il suo posto sia “fuori” ma questo implica che ci sia anche un “dentro” nel quale è già stata e in cui potrebbe tornare. Romulo è pronto ad aspettare sua madre - e tutto fa pensare che l’abbia già attesa a lungo. Il presunto omicidio su cui l’investigatrice Gould avrebbe dovuto indagare, infine, potrebbe essersi compiuto molti anni prima - nel periodo del suo ricovero psichiatrico - come dimostrano i ritagli ingialliti di giornale che lei sfoglia continuamente.
Nel finale i misteri della storia non vengono chiariti del tutto, i dubbi permangono: sul passato di Alice e sul destino del marito di lei Heliodoro, è fuggito in Asia oppure è morto avvelenato?
A confermare la teoria secondo cui Alice in realtà sia malata - nello specifico una paziente paranoica, come attestano le carte - c’è anche la giovane età dei medici che infine confermano la sua sanità mentale. La psichiatra Montserrat e il dottor Arellano fanno parte della nuova formazione di medici del manicomio, dunque non potevano essere in carica ai tempi del primo ricovero della donna.
Il finale del film Quando Dio imparò a scrivere vuole tuttavia lasciarci nel dubbio, ed è giusto che sia così. La teoria di fondo dell’intera storia è che il confine tra normalità e follia sia labile e transitorio: l’incertezza che pervade l’intrigante personaggio di Alice Gould ne è la conferma.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Quando Dio imparò a scrivere”: dal libro al thriller Netflix
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