Quando suonavo il jazz
- Autore: Carmela Formicola
- Anno di pubblicazione: 2012
“Quando suonavo il jazz” di Carmela Formicola è un libro breve ma intenso che rappresenta una sorta di romanzo di formazione tardivo, ma forse per questo è ancora più efficace, più necessario e quasi urgente, soprattutto in una società come la nostra dove i sogni infranti sono ben più di quelli realizzati e il successo è spesso l’irraggiungibile chimera dei poveri di spirito.
Ambientato in una Bari inedita, quasi esotica per colori e personaggi così caratteristici da entrare subito nell’immaginario letterario di una città spesso poco considerata dal punto di vista culturale, “Quando suonavo il jazz” è incentrato sulle vicende di Sebastiano Mariano, amichevolmente detto “Seb”, un ex jazzista che per sbarcare il lunario è costretto a proporre il karaoke in un locale della periferia barese, l’Hot Chilly, che ricalca atmosfere americaneggianti. Accantonati i sogni di gloria e le promesse di grandezza, Sebastiano conduce una vita sregolata che si consuma notte dopo notte tra le canzoni stonate degli avventori del locale e una fauna metropolitana popolata da personaggi improponibili, tutti alla ricerca di una via di fuga dal grigiore di vite non risolte, troppo brevi e troppo crudeli per non calpestare i sogni cullati nella gioventù. E proprio il rimpianto è – assieme a Sebastiano Mariani – il grande protagonista di questo romanzo che indaga, lieve e malinconico, tra le piaghe di un’esistenza in cui non c’è niente di univoco, in cui bene e male, gioia e dolore sono facce di una stessa medaglia, in un’incessante alternanza che raramente lascia spazio alla speranza. Il passato si trasforma in un mostro che ci dà il tormento, che ci osserva con occhi caustici e tortura con mille domande irrisolte, costante testimonianza del nostro personale fallimento.
Mi sono rimasti 10 euro e 40 centesimi. Compro un megabiglietto da 10 euro ma è l’ultimo, giuro. Nella mia vita non c’è più posto per il karaoke, per il confino, per le colpe da scontare, per le mattine malate di solitudine trascorse nei tabacchini a grattar biglietti, a tentar la sorte, a dimenticare. Sono guarito? Guarito dal passato?
Il passato è quello che Sebastiano ha trascorso nei migliori club d’Italia, dove suonava il pianoforte. E la musica, quella stessa musica che per il protagonista è vita e morte, abisso di dolore e gioia infinita, pervade l’intero libro con la sua presenza impalpabile e viva: tra le pagine, le parole si mescolano alle note di Bill Evans, Vinicio Capossela e Beethoven, il quale probabilmente soffriva dello stesso male di Sebastiano. Eppure, quando tutto sembra già scritto, la vita può improvvisamente cambiare copione. Accade quando un nuovo progetto entra nella vita di Seb e, pur con tutti i rischi che questo comporta, la vita sembra tornare a sorridere, le giornate si riempiono di neonata speranza e il passato resta la chiave privilegiata per comprendere il presente. In una lunghissima, catartica notte di Capodanno, la vita del protagonista di “Quando suonavo il jazz” sembrerà rimettersi in carreggiata, ma questo non avrà mai più il sapore di un sogno di gioventù, dove tutto sembra facile e lieve: niente potrà lavare via l’amarezza, nemmeno un lieto fine insperato, umanamente imperfetto.
“Quando suonavo il jazz” è un romanzo che per essere assaporato al meglio va buttato giù d’un sorso, come un buon cocktail. Sognante, amaro e disilluso, incanta con la sua immediatezza e l’imperfezione di una vita che potrebbe benissimo essere la nostra. Lo stile della Formicola ricorda quello dei grandi narratori americani, mentre le sue parole drappeggiano su Bari l’aurea di una New York in miniatura, eclettica e controversa. È senza dubbio un gran bel romanzo, ricco di spunti di riflessione e di sicuro interesse per qualsiasi lettore.
Quando suonavo il jazz
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