Quasi una vita
- Autore: Chiara Tozzi
La nostalgia per gli anni Sessanta, ancorché mai del tutto passata di moda, sta tornando prepotentemente alla ribalta. Sarà per il grande successo che ha riscosso lo sceneggiato televisivo “Raccontami” (mi si passi il termine “sceneggiato” al posto di “fiction”, giusto per immergersi ancora di più nell’atmosfera), o sarà che i quarantenni di oggi hanno vissuto quegli anni da bambini, nel periodo in cui normalmente si vede la vita attraverso un velo dorato e non ancora corrotto dai problemi e dalle elucubrazioni mentali degli adulti. Il discorso vale anche per la sottoscritta, che oltretutto ha passato la sua infanzia a Firenze, proprio dov’è ambientato il romanzo. Chiara e logica, quindi, la scelta di affrontarne la lettura che però, purtroppo, mi ha lasciata soddisfatta a metà. L’idea di raccontare alcuni anni di vita di una famiglia semplice, normale, senza grossi scossoni, e di proporla dal punto di vista dei figli, o meglio di Caterina, la figlia maggiore, era tutto sommato un’ottima base. E’ un peccato che la narrazione somigli più che altro ad una cronaca, limitandosi quasi esclusivamente alla descrizione dei fatti nuda e cruda, introducendo molto raramente elementi descrittivi di luoghi, abitudini od oggetti di uso comune all’epoca, e senza alcuna analisi introspettiva dei personaggi. Infatti, il raccontare la vicenda dal punto di vista della figlia comporta un’analisi molto superficiale dei comportamenti e delle reazioni, quale può essere effettuata da una bambina in fase di crescita a cui molte cose vengono tenute nascoste. Babbo e mamma, com’è nel linguaggio dei figli, non hanno nome, solo quello della mamma viene occasionalmente pronunciato da qualche parente. Di volta in volta si incontrano elementi del comportamento degli adulti che fanno sì che il lettore indovini determinate situazioni, ma che nella testa di Caterina vengono semplicemente accantonati in quanto non compresi. Tutto questo avvolge l’esposizione dei fatti in un’atmosfera quasi ovattata, distante, che ci dà l’impressione di guardare questa famiglia dalla finestra di una casa vicina.
La prima metà del libro scorre via senza particolari emozioni: d’altronde si tratta di una famiglia normale, certo non ci si aspetta chissà quale avvenimento straordinario. L’unica notizia, purtroppo brutta, degna di nota, è la prematura scomparsa di una giovane e cara zia. Dopo la metà del romanzo, invece, la narrazione prende piano piano quota. E’ merito certamente di un accorato racconto dell’alluvione del 1966, vista sempre dall’interno della famiglia, attraverso la paura degli adulti, la perplessità dei bambini, il trasferimento cautelativo presso un’altra famiglia ad un piano superiore, lo strazio dell’inquilina del seminterrato che ha perso gran parte di quello che aveva. Ma è anche l’effetto della crescita di Caterina e della sua presa di consapevolezza di se stessa e di quello che la circonda, della madre che la tratta più da adulta, del viaggio a Roma, da sola, per far visita alla cugina, del contatto con i movimenti studenteschi. Caterina, crescendo, non è più una bambina ingenua ma riesce a vedere meglio dentro gli altri e dentro se stessa, si interroga sul suo futuro e prepara le basi per la sua vita di donna, fino ad un violento colpo di coda finale riguardante la sua sfera sentimentale. Piano piano, con Caterina, anche l’animo del racconto cresce e si rinnova, ed in questo senso bisogna fare tanto di cappello all’autrice.
Quasi una vita
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