Raccontami dei fiori di gelso
- Autore: Aline Ohanesian
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Garzanti
- Anno di pubblicazione: 2016
“Raccontami dei fiori di gelso” (Garzanti, 2016, titolo originale Orhan’s Inheritance, traduzione di Stefano Beretta), romanzo selezionato per il Flaherty-Dunnan First Novel Prize e finalista del PEN/Bellwether Prize for Fiction, racconta uno dei più crudeli genocidi che l’uomo abbia mai commesso ed è firmato da Aline Ohaniesian, nata in Kuwait, che vive in California con il marito e i figli.
1990 Turchia.
“La totalità del mio patrimonio, incluse le fabbriche tessili di Ankara e Izmir, sarà affidata a mio nipote, Orhan Turkoglu”.
Nel paese di Karod, nell’Anatolia centrale, Kemal Turkoglu di novantatré anni, era morto
“all’interno di uno dei diciassette calderoni in cortile, immerso in una tintura indaco”.
Alla lettura del testamento il nipote Orhan, alto e snello, ex fotografo e “adesso fabbrico kilim e li vendo”, proveniente da Istanbul, aveva scoperto che Kemal aveva lasciato in eredità
“la casa di famiglia ubicata nel paese di Karod alla signora Seda Melkonian”.
Seda viveva a Los Angeles presso una casa di riposo per anziani
“rifugio per una diaspora che invecchia, che vivono e respirano un passato non ancora sepolto”
chiamata Ararat, il nome della montagna sacra armena. L’anziana donna costretta su di una sedia a rotelle, ogni volta che il passato “le monta dentro, sa che non deve lasciarlo uscire”. Per la novantenne Seda, nonostante tutti i suoi sforzi, i profumi e le visioni della sua fanciullezza emergevano spesso in superficie specialmente quando l’arrivo di Orhan si era fatto annunciare da una sua lettera,
“Sono il nipote di Kemal”
e quel nome, caldo e dolce l’aveva subito emozionata. Quando il turco le aveva teso la mano per salutarla, l’anziana signora dagli occhi grigio-verdastri, che stava lavorando all’uncinetto, “lei non la stringe”. La prima visita aveva sortito pochi risultati e la riluttanza della donna a parlare aveva irritato l’impaziente Orhan. Il giorno seguente Seda era stata più loquace. La vista dei disegni di “more scure e carnose” del suo antico amore Kemal, il quale nel taccuino aveva riprodotto il grande albero di gelso, testimone della loro passione, aveva commosso Seda. Tutta la loro vita le sembrava “tumulata in queste pagine”. Per Seda, la quale aveva trascorso tutta la sua esistenza a cercare di dimenticare, era arrivato il momento di raccontare tutto quanto: “Adesso è il mio turno”.
“Ricordo il pomeriggio in cui la mia bisnonna Nene mi affidò la sua storia. Aveva scelto me, perché sapeva che potevo prendermene cura. Mi raccontò della sua fuga dalla Turchia nel 1915”.
Sono le sentite parole dell’autrice, la quale come Orhan ignorava che le origini della sua famiglia affondavano in uno dei periodi più bui della storia.
Appare significativo leggere “Raccontami dei fiori di gelso” pochi giorni prima della visita apostolica che Papa Francesco compirà nella Repubblica d’Armenia il prossimo 24-26 giugno.
Con la prosa coinvolgente di Aline Ohaniesian, attraverso la toccante narrazione di Seda, il lettore assiste al suo tenero amore per Kemal, interrotto dalla deportazione del popolo armeno perpetrato dall’impero ottomano tra il 1915 e il 1916.
“La mia bisnonna Elizabeth Aslanian, mi ha insegnato che noi siamo il prodotto del nostro passato, ma non dobbiamo restarne prigionieri”
perché l’unico modo per mantenere viva la memoria è non lasciare che il passato rimanga nel silenzio. Bisogna condividerlo.
“I luoghi e gli oggetti rimangono con noi, e a volte noi rimaniamo con loro”.
Raccontami dei fiori di gelso
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