Radioso maggio
- Autore: Antonio Varsori
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: il Mulino
- Anno di pubblicazione: 2015
“Italia in guerra nel 1915: tradimento o legittima malizia diplomatica?”
Guerra, guerra! Durante la neutralità, dall’agosto 1914 al 24 maggio1915, i massimi vertici della politica italiana erano convinti che solo partecipando al confitto in atto in Europa, l’Italia avrebbe completato il progetto risorgimentale e sarebbe diventata una potenza. Intorno a questo assunto, che diventa la conclusione del suo lavoro, il prof. Antonio Varsori, direttore del Dipartimento di storia politica dell’Università di Padova, ha costruito il saggio “Radioso maggio. Come l’Italia entrò in guerra”, pubblicato da il Mulino (2015), nei Paperbacks tascabili, 216 pagine 15 euro.
Sappiamo bene, col senno di poi, quali perdite, sofferenze e sacrifici sarebbe costata agli italiani la scelta di Antonio Salandra, Sidney Sonnino e, con un ruolo paradossalmente minore, Vittorio Emanuele III. È storia.
Allora, però, si pensava irresponsabilmente ad una belligeranza sul modello del passato, impegnativa ma non devastante come sarebbe invece stata, senza precedenti.
Per maggio radioso si intendono le quattro settimane in cui, dalla firma del Patto di Londra, il 26 aprile 1915, alla dichiarazione di guerra all’Austria-Ungheria, il 24 maggio, il governo gestì un periodo di lenta e sotterranea mobilitazione, riuscendo a tenere segreto l’accordo che aveva sancito l’adesione alla Triplice Intesa (Gran Bretagna, Francia, Russia) e sconfessava la trentennale alleanza con le potenze centrali, Germania e impero austroungarico. Il fatto è che queste non lo sapevano, sebbene lo temessero. In più Roma continuò a lungo a trattare potenziali concessioni territoriali da parte di Vienna. Una doppiezza che in politica estera ha spesso caratterizzato la condotta del Paese e che, come sosteneva Giolitti, avrebbe attirato sul Regno l’accusa di tradimento dagli ex partner, danneggiando l’immagine dell’Italia.
Il Patto di Londra - riportato integralmente in appendice al volume e che sarà sconfessato dal presidente americano a fine guerra, generando da noi la psicosi della “vittoria tradita” - conteneva generose concessioni anglofrancesi, a danno degli Asburgo. L’Italia alleata sarebbe stata premiata soprattutto nei territori balcanici adriatici. Questo, con grande dispetto però per la politica dello Zar e dopotutto in contraddizione con quella delle potenze dell’Intesa, che non erano entrate in guerra per conquiste territoriali, ma per tutelare l’integrità del Belgio, assicurare l’autodeterminazione della Serbia e rivendicare il ritorno alla Francia dell’Alsazia e Lorena, perdute nel 1870. Non mancavano aspirazioni alla divisione postbellica dell’impero ottomano in via di dissoluzione, ma venivano mantenute strettamente riservate.
Per la pura convenienza di arruolare un alleato insperato, che poteva rompere l’equilibrio imposto dalla guerra di trincea, l’intesa prometteva all’Italia molto più delle terre irredente, abitate nel Trentino e nell’arco giuliano da cittadini dell’impero asburgico di etnia italiana. Si offriva anche il Sud Tirolo, tutta l’Istria e parte della Dalmazia, oltre a territori coloniali ed enclave balcaniche meridionali.
Salandra e Sonnino furono i registi dell’operazione sotterranea di cambio di fronte. Fecero tesoro della vocazione interventista post risorgimentale del ceto medio e della parte più chiassosa degli intellettuali, con in testa i futuristi. La fazione bellicista antiaustriaca vantava peraltro come testimonial un gigante della cultura, Gabriele D’Annunzio, sostenitore dell’azione eroica a tutti i costi.
Irruppero inoltre sulla scena i giovani, gli universitari, ansiosi di andare a caccia di gloria per sé e per l’Italia. Cortei rumorosissimi di goliardi uscirono dagli atenei attraversando le città, inneggiando alla librazione delle terre sotto il giogo asburgico e alla realizzazione del sogno di unità nazionale dei patrioti e dei martiri del Risorgimento.
Seppure vincenti sul piano dell’intelligence – lo spionaggio austriaco mancò clamorosamente il bersaglio – i due politici italiani non avevano fatto i conti con certi aspetti del conflitto. Uno lo avevano sotto gli occhi e lo stavano ignorando: la stasi imposta dal primato delle armi difensive sull’offesa. Erano convinti che le ostilità si sarebbero protratte pochi mesi. L’altro era invece di là da venire: l’ingresso sulla scena degli USA e del presidente Wilson, promotore della Società delle Nazioni, creata durante la Conferenza di pace di Parigi nel 1919. Rappresentò la prima organizzazione internazionale degli Stati, antenata dell’ONU e affermava il primato dell’unità sovranazionale, con lo scopo di assicurare il benessere dell’umanità prevenendo i conflitti con la mediazione diplomatica.
Questo non scongiurò gli errori che alla fine della prima guerra mondiale posero le basi della seconda.
Radioso maggio. Come l'Italia entrò in guerra
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