Shotgun Lovesongs
- Autore: Nickolas Butler
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Marsilio
- Anno di pubblicazione: 2014
Il luogo comune secondo il quale l’America non è New York o Los Angeles, diventa evidente nel bel romanzo di Nickolas Butler che porta il titolo di una canzone d’amore che Leeland detto Lee, un ragazzo nato e cresciuto in una piccolissima cittadina del nord degli Stati Uniti, Little Wing, stato del Wisconsin, compose all’inizio della sua carriera di musicista. "Shotgun Lovesongs" diverrà la scalata verso un grande successo, rendendo una vera star il pallido ragazzo bianco che aveva vissuto in una condizione di semi emarginazione; Lee era cresciuto con i suoi amici e compagni di scuola e di vita: Kip, Ronny, Henry e sua moglie Beth. A questi cinque personaggi l’autore presta la voce, in modo che, nei diversi capitoli del romanzo, a cui attribuisce l’iniziale di ciascuno dei loro nomi, noi possiamo ascoltare i diversi punti di vista, attraverso lo scorrere del tempo, che racconta l’intera vicenda.
La storia di un’amicizia e di legami familiari forti che uniscono questi ragazzi passa attraverso varie fasi e si intreccia con lo scorrere pacifico del tempo in questa gelida campagna americana, dove non succede mai nulla, dove i tempi della vita sono scanditi dalla mungitura delle vacche, dai raccolti di mais, dalle sbronze che concludono giornate tutte uguali.
Kip se ne è andato, è divenuto un uomo di successo, è ricco, e il suo ritorno a casa per sposare una manager, Felicia, elettrizza gli abitanti del paese, che si stringono intorno al loro concittadino che ha deciso di rilevare una vecchia fabbrica abbandonata al centro del paese per rendere più vivace l’economia del posto; ci sarà anche un altro festoso matrimonio, quello di Lee che sposa a New York una nota attrice, la frivola Chloe, e i “contadini” Henry e Beth con Ronny, un cow boy da rodeo finalmente innamorato della spogliarellista Lucy, sono invitati.
Il loro viaggio nella grande metropoli, non ci erano mai andati prima, mostra quanto la provincia americana della middle class sia lontana dagli stereotipi che tanto cinema ci ha raccontato. Nel paese del grande inverno pieno di neve ci si veste con panni pesanti, berretti, stivali, muffole e non c’è neppure un negozio dove le donne possano scegliere abiti e scarpe cittadine: Beth si rivolgerà a Felicia per un prestito del vestito per partecipare al matrimonio glamour a Manhattan dell’amico di sempre.
I caratteri dei personaggi e i loro reciproci rapporti d’amore, amicizia e affetto, con equivoci ed inevitabili scontri sono raccontati dall’autore con grande capacità di costruire dialoghi mai banali e con un linguaggio letterario di notevole livello. Ecco come la bella e solare Beth descrive suo marito Henry, dopo che il suo matrimonio ha subito un momento di improvvisa crisi, ora superata:
“Sentire la sua voce di sera, mentre legge dei libri (ai figli) o racconta come era suo padre quand’era ancora vivo o com’ero io quando ero una bambina… Sentirlo mentre racconta perché il posto in cui viviamo è così speciale. Sentirlo pregare per gli alberi e la terra e per la pioggia e per quelli che hanno di meno. Sentirlo cantare in chiesa. Sentirlo mentre chiede ai bambini di proteggere quelli che a scuola sono vittime dei bulletti…”
La comunità di poche anime, poco più di un migliaio di persone, che si riuniscono a Main Street, nell’unico bar dove tutti sostano e tutti si conoscono, è solidale intorno a piccoli grandi avvenimenti: matrimoni, nascite, divorzi, dissesti economici, memorie della precedente generazione, sono vissuti in modo comunitario, convinti tutti che il posto in cui vivono sia davvero speciale.
Lee, che insieme a Beth, il personaggio che esprime la voce di una donna, è il principale attore ed il personaggio più convincente attorno a cui si svolgono le vicende del romanzo, descrive così il suo paese:
“L’America, per me, è gente povera che suona musica, gente povera che condivide il cibo e gente povera che balla anche quando tutto il resto della loro vita è così triste e disperato che sembra non debba esserci alcuno spazio per suonare, ballare o abbastanza energie per ballare. E le persone diranno che mi sbaglierò, che siamo una nazione puritana, una nazione evangelica, una nazione egoista. Ma io non lo penso. Non voglio pensarlo.”
Whitney Houston, Bob Dylan, John Coltrane, Miles Davis, le grandi celebrità, Chicago, la grande politica esistono ma sono lontane, e Lee, che ha composto la canzone di successo che ha venduto migliaia di copie, lo ha fatto perché dice:
“Sentivo l’incredibile pressione di doverlo fare, di finirlo, di dimostrare a Little Wing , a Beth, a Kip, a Ronny, a Henry che non ero un fallito. Che potevo farcela, che potevo fare qualcosa di bellissimo e di diverso e di meritevole che potevo farlo anche in fretta e senza tanti mezzi in un vecchi pollaio, con un computer scassato e una stufa a legna a ripararmi dall’assideramento.”
Si ripropone in questo libro il mito del “sogno americano”, su cui nasce e si sviluppa la grande narrativa americana, con i racconti della buona terra, della lotta contro una natura ostile (il gelo, il ciclone, i coyote), a contatto con gli animali (le mandrie di mucche, i tori da domare nei rodei), con la musica, composta e suonata da tanti, come colonna sonora su cui si imperniano le vite dei suoi uomini rudi, con la famiglia come obiettivo e rifugio all’infelicità, che altrimenti si annega nelle eterne bevute di birra, whiskey e cicchetti vari a cui ricorrono uomini e donne, che costituiscono l’unica distrazione e fuga da una vita troppo monotona e senza vie di uscita.
Un esordio, quello di Butler, davvero convincente, capace di far tornare in mente i grandi narratori del secolo scorso, a cominciare da Roth e Franzen.
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