Sola mente. Come sopravvivere senza perdere amore per la vita e senso dell’umorismo
- Autore: Giuseppe “Pino” Battestini
- Genere: Storie vere
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2022
Pino non parla bene, sapete? Non ce la fa a stare in piedi e non possiamo capire quanto vorrebbe farlo. Tanti dolori fisici non lo risparmiano, alterna fasi di magone a momenti in cui la vita è meno ingrata con lui: gli sono vicini i familiari che ama, le persone care, condivide con gli amici i non pochi luoghi del cuore, il gioco della dama in cui eccelle, il Bologna Calcio di cui è tifosissimo.
Racconta tutto in un libro autobiografico, Sola mente. Come sopravvivere senza perdere amore per la vita e senso dell’umorismo, firmato Giuseppe “Pino” Battistini e redatto con la collaborazione e a cura del prezioso Claudio Baratta, pubblicato alla fine del 2022 da Lorella Fontanelli, Epika Edizioni, di quello stesso Castello di Serravalle in Valsamoggia dove vivono entrambi, Pino e l’editrice, nella Città Metropolitana di Bologna. Un bel volume di 334 pagine, ampio, alto (17x24, in tipografia lo chiamano “formato saggio), con un inserto finale di fotografie a colori che hanno fissato e ripropongono la vita, le amicizie, la passione sportiva sfegatata.
Con qualcuno, l’esistenza sa essere più arcigna dei tornanti di San Luca, sopra lo stadio Dall’Ara, dove giocano i Rossoblu. Uno stilo proteso dalla fronte, assicurato al capo da una cinghia, più che altro un’asticella curva: è così che riesce a digitare il minuto, piccolo-grande serravallese, consonante dopo vocale, vocale dopo consonante. E a comunicare esperienze, pensieri, emozioni, sentimenti, il suo modo d’essere e tutto quello ch’è successo nei primi ventuno anni di vita, da cinquantaseienne in difficoltà con la parola e i movimenti, ma con un cuore e una mente grandi così.
Mi chiamo Giuseppe, Pino per gli amici, “Panòcia” per i migliori.
È nato il 15 marzo del 1967, nel reparto maternità del Sant’Orsola di Bologna. L’insorgere di complicazioni durante il travaglio spinse i medici a impiegare il forcipe. Certo, che in una delle capitali della sanità italiana si sarebbe potuto fare di meglio, perché dal parto derivarono lesioni gravissime a una parte del cervello, con la conseguente quasi totale incapacità di controllo del corpo e della parola. Tuttavia, il complesso delle facoltà mentali, sebbene penalizzate dalla paraplegia degli arti, era rimasto intatto, non sa dire se “fortunatamente o disgraziatamente”.
È sempre stato costretto a sedere sulla carrozzina e a dipendere da altri. Se ha trovato la forza e il coraggio di raccontarsi, è per aiutare a comprendere meglio la vita di tanti disabili, persone che ogni giorno lottano per migliorare le loro esistenze, a partire dal rapporto col prossimo. “Ne abbiamo bisogno noi, ma ne avete bisogno anche voi. Soprattutto voi”.
A tre anni è andato a vivere a Villa Revedin, una residenza assistita della Curia bolognese, riservata a bambini con deficit fisici, da sottoporre a ginnastiche abilitative, per migliorare le facoltà motorie. La lontananza dai genitori è stata certamente traumatica, ma se non altro andavano a trovarlo ogni domenica e trascorreva con loro i periodi delle feste e i mesi estivi. Era felice di vedere mamma e papà, di ritrovare il fratellino Romano ed è tanto sensibile da considerare che pochi potevano condividere questa gioia.
Altri piccoli pazienti ricevevano raramente la visita dei genitori e non trattenevano le lacrime, trascurati e dimenticati. Ricorda in particolare un ragazzo siciliano, di cui era diventato molto amico. Aveva un nome strano, Mandarino. I suoi non potevano raggiungerlo spesso da Agrigento. “Non c’è bisogno di tanti commenti per comprendere la sua infelicità”, scrive, immedesimandosi nel piccolo ricoverato, che vedeva triste e afflitto.
Abbiamo detto che nel cuore di Pino c’è tanto spazio per il suo Bologna. Ha sempre patito tanto, dolori fisici intensissimi, stati d’animo pesanti, eppure una delle sue sofferenze più grandi resta la prima retrocessione dei felsinei in serie B nei primi anni Ottanta. In casa, un mezzo armadio è riservato alle maglie autografate da giocatori e mister della squadra del cuore. Sul tetto della nuova casa finita, il papà non espose il tricolore ma il vessillo rossoblu: a riferirlo è l’amico Claudio, fondatore del Bologna Club di Castelletto, di cui Pino è orgogliosissimo presidente onorario. Baratta lo ha aiutato a editare il racconto, digitato sulla tastiera con lo stilo, della prima metà della sua vita, tutta in salita, dice Panòcia, ma sempre di corsa e con il sorriso stampato sul viso. È stata difficile, da sempre sopra una carrozzina, ma non ha mai mollato, dimostrando una voglia di vivere incontenibile, curato amorevolmente dalla famiglia e da diversi obiettori di coscienza, rimasti molto legati.
Il libro è preceduto dalle prefazioni dell’arcivescovo cardinale Zuppi, dell’ex calciatore rossoblu Fabio Poli e di un amico da quarantanni, Fabio Federici, che nel 1983 si pagava in parte gli studi universitari spingendo da co.co.co. la carrozzina di Pino nel tragitto casa-scuola scuola-casa.
Di Federici colpiscono i grazie a Giuseppe per avergli donato l’empatia, la fantasia, la creatività rivolta a un risultato, l’abilità di trovare canali di comunicazione senza bisogno della parola, la capacità di assumere responsabilità anche non dovute, quella di coinvolgere, di progettare sull’oggi e sul domani, di uscire da una comunità e costruirne un’altra. E gli ha regalato un inguaribile ottimismo.
Tutti dobbiamo un grazie a Pino: abbiamo avuto la conferma che soffrire disabilità fisiche non giustifica l’essere considerati diversi dalle persone cosiddette normali e trattati diversamente (e peggio). Ognuno ha una storia, spesso più ricca di tanti altri.
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