

Strategia dell’assenza. Il Comunismo non è mai morto
- Autore: Massimo Trifirò
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2025
La Storia cambia, ma alla fine chi comanda sono sempre gli stessi. Mutano pelle, ma continuano a fare le cose di prima. La Storia consuma soltanto i piccoli. Da questa considerazione nasce un intero romanzo, tra quelli più lunghi di Massimo Trifirò, scrittore in quel di Lecco con una bibliografia alluvionale all’attivo. Si tratta di Strategia dell’assenza. Il Comunismo non è mai morto, edito da Nepturanus (gennaio 2025, 752 pagine), nella collana Il Nome della Prosa, totalmente capitalizzata dalla narrativa dell’autore lombardo.
Se quindi i potenti perdono il pelo ma non il potere, è andata invece male ai due che si scambiano opinioni pochi anni dopo la caduta dell’URSS. Sono un ex archivista del KGB, ora cameriere a bordo di un traghetto, e un disoccupato eccellente, ex colonnello e più leale e migliore agente del servizio segreto sovietico, Vasssilij Ivanovic Aksakov. Entrambi allontanati dalle segrete stanze: uno aveva maneggiato carte riservate, imbarazzanti per quelli adesso al governo a Mosca, che negano d’essere mai stati comunisti e giurano di non avere avuto legami col regime passato (finché quei documenti restano al sicuro!), l’altro non lo chiamano più colonnello da anni, era salito tanto in alto ma è precipitato, non essendo un cinico spudorato come chi si è riciclato, dall’Unione Sovietica rossa caduta alla nuova Russia-bianco-blu-rossa.
Questo romanzo, spiega lo scrittore di Lecco, segue una serie di racconti di qualche anno fa, con gli stessi personaggi principali.
Naturalmente il libro è indipendente dai precedenti e può essere letto per se stesso senza difficoltà.
Chi avesse già incontrato quella narrativa breve, ritroverà protagonisti che ha già incontrato, mentre i nuovi lettori potranno conoscere le figure fisse, che Trifirò presenta così.
In una delle fazioni in lotta sulla scena di un intrigo internazionale, ci sono Aksakov, colonnello del KGB, il Servizio Segreto sovietico e il suo comandante, generale Boris Karpov. Sul fronte opposto della CIA, si muovono il grasso, albino, direttore James Wood e l’agente operativo Dick Hart, mezzosangue indiano, acerrimo rivale di Vasilij anche negli altri testi. Per la prima volta un russo figura come eroe della vicenda, in un prodotto narrativo di fantapolitica. In modo inedito, il protagonista non è il solito agente americano o comunque occidentale. Si direbbe positivo, per i lettori, ritrovarsi spiazzati rispetto al clichè dei buoni e dei cattivi; è una novità efficace ai fini del successo della serie, che ha partecipato a un festival del giallo, è stata acquisita da due editori e pubblicata su riviste e giornali.
Com’è nella tradizione dei romanzi di spionaggio e intrigo, per suo comodo il lettore troverà in fondo al volume sia un dizionario essenziale dei termini usati in questo tipo di narrazioni che l’elenco dei personaggi in ordine di apparizione.
Si ricordi, prima di cominciare la lettura, che per oltre quarant’anni il mondo ha visto due superpotenze rivali accanite sulla scena planetaria, con l’obiettivo di controllare il mondo: gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica. La sfida prese il nome di Guerra fredda e conobbe diverse fasi, caratterizzate anche da guerre calde, come quelle in Corea e in Vietnam. Accanto alle due grandi Nazioni si coalizzarono altri Stati, dando vita al conflitto strisciante tra una coppia di blocchi contrapposti (per comodità Occidente contro Oriente), concluso nel 1991 con lo scioglimento dell’URSS. A coniare l’espressione Guerra fredda, nel 1947, è stato il giornalista americano Walter Lippmann, che sintetizzò così le relazioni internazionali dopo la Seconda Guerra mondiale, caratterizzare dal sempre più vistoso conflitto indiretto e d’intelligence tra l’URSS, che occupava l’Europa orientale, e gli USA, la maggiore potenza dell’Occidente democratico. La contrapposizione tra le relative sfere d’influenza nel pianeta toccava ogni settore: politica, economia, ideologia. Un’ostilità in bilico sul confine labile dell’errore fatale o del buon senso dei rispettivi vertici, condizionato dalla legge della deterrenza: nessuna delle due forze avrebbe vinto un’eventuale guerra combattuta con armi nucleari. Entrambe le superpotenze erano armate di ordigni non convenzionali, ogive di missili a lunga gittata, ospitati in silos sotterranei o a bordo di sottomarini. Se lanciati da uno, avrebbero scatenato la rappresaglia dell’altro ed esplodendo sui bersagli erano in grado di distruggere più volte l’intero pianeta.
Tornando al romanzo, siamo nel 1986, il Muro di Berlino non è ancora caduto, ma prima il narratore ci porta dieci anni avanti. Trifirò conosce la Russia: si vede, dalle perfette descrizioni di località e punti di riferimento territoriali, nei quali si muove a suo agio. La lingua non gli è estranea e si legge nel frequente intercalare in russo, riprodotto nel nostro alfabeto e non a caratteri cirillici (meno male). Ci sono anche letteratura, musica, cultura e tradizioni in queste pagine di un romanzo dell’ampiezza e densità degne di quelli russi, mai stringati e asfittici. Nel lungo andamento della narrazione, molto ben condotta, fanno colpo gli esempi dell’impietosa disciplina collettiva imposta ai cittadini nella Russia sovietica. I pochi forti del partito esercitavano un potere totale sulla gente comune, impensabile per noi occidentali. Erano all’ordine del giorno prepotenze degli apparati nei confronti del popolo che dicevano di servire, come si sono verificate soltanto nel ventennio fascista in Italia.
E poi, altro che tutti uguali: quelli della nomenclatura erano tanto al di sopra di tutti. Nella celebre favola allegorica di George Orwell, completata nel 1944, degli animali conquistano la fattoria dopo una rivoluzione contro gli umani, ma i maiali cominciano a comandare e a concedersi privilegi esclusivi. Da qui la condanna della società comunista, con il mitico:
Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri.

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