La pelle del veneziano
- Autore: Massimo Trifirò
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2023
Piazzaforte di Famagosta, isola di Cipro, agosto 1671: Marcantonio Bragadin fatto scuoiare vivo da Kara Pasha. Si legge d’un fiato il racconto lungo di Massimo Trifirò La pelle del veneziano. Il supplizio di Marcantonio Bragadin, pubblicato l’anno scorso nella collana Il nome della prosa dalla casa editrice toscana Nepturanus (Scandicci-Firenze, luglio 2023, 80 pagine). Breve, essenziale, intenso e impietoso in certi particolari, è un testo narrativo, ma la fedeltà storica con cui riflette le vicende lo assimila a un saggio.
Nella vulgata della Serenissima Repubblica di Venezia, il turco è traditore per antonomasia e sommamente lo è stato Kara Mustafa Pasha, comandante della spedizione ottomana contro Cipro, nel 1670-71. In una contrapposizione manichea, non c’è eroe più fiero, d’animo nobile e dolente (per le terribili torture alle quali fu sottoposto dal capo nemico, che rimangiò la parola data) di Marcantonio Bragadin, governatore civile e rettore della fortezza di Famagosta, sul versante orientale della grande isola mediterranea. I fatti narrati dallo scrittore lombardo si svolgono tra la resa della guarnigione allo stremo e l’ultimo atto drammatico che pone fine in modo barbaro alla vita del veneziano.
Trifirò sviluppa il colloquio tra Kara Mustafa e Bragadin - più che altro un monologo del turco, viste le condizioni quasi terminali del governatore - mettendo al centro del confronto lo scontro tra Occidente e Oriente, tanto attuale in questi tempi di guerra di Putin contro l’Ucraina (Europa) e di conflitto in Palestina.
Voi, bianchi e cristiani. Voi, popoli che vi credete più sviluppati degli altri, voi infallibili, quante volte avete pugnalato alle spalle chi si era fidato delle vostre assicurazioni?
Il gran condottiero ottomano imputa ai cristiani di non tenere in considerazione i trattati sottoscritti, di avere “sputato” sui patti in tante occasioni, stracciato accordi con disprezzo, finto di dimenticare gli impegni più sacri e tradito giuramenti solenni. Accusa gli europei di ritenere che tutto sia loro permesso, in nome dell’eccellenza della civiltà, della ricchezza vantata, della presunzione di detenere la verità, nel nome di un Dio trinitario.
Da parte sua, il pasha non nega d’essere venuto meno alla promessa di mano salva agli arresi. Anzi, se ne dice fiero.
Forse non potevo fare nulla di diverso, come sarebbe capitato a te, nella stessa situazione.
Aggiunge che da comandanti quali sono, condividono lo stesso destino, legati a due concezioni precise e rigide dell’esistenza, accomunati da culture e modi di pensare che impongono di credere d’essere sempre nel vero, nel giusto e ad agire perché vengano accettati anche da chi è diverso. A tutti i costi, con ogni violenza possibile, invadendo, uccidendo, stuprando, stravolgendo l’identità di paesi interi. Non è forse il motivo per cui Oriente e Occidente confliggono da secoli? Non è perché ognuno è tanto sicuro d’avere ragione da considerare l’omicidio di massa come un dovere o un merito incontestabile?
Musfafa è lucidamente fedele al suo cinismo di principe orientale. Ha preventivato di non lasciare liberi i superstiti cristiani. È tanto infedele al patto quanto Bragadin ha cercato di evitare ulteriori guai e si è dimostrato invece leale, convincendo della necessità di una resa onorevole i capitani al suo comando. Tra quelli, il comandante militare Astorre Baglioni e il coraggioso Lorenzo Tiepolo, tutti poi massacrati dai Turchi su ordine di Kara, con la scusa di non voler consegnare un giovane paggio, concupito dal pasha. L’aver messo gli occhi lubricamente sul giovinetto efebico diventa il presupposto della strage nella narrazione dell’autore lecchese.
Un anno prima, nel luglio del 1570, le truppe del sultano Selim II, al comando di Kara Mustafa - detto Lala per essere stato tutore del futuro regnante - erano sbarcate a Larnaca e Limassol, dilagando sull’isola. Dopo un mese e mezzo d’assedio avevano conquistato Nicosia, ormai difesa da poco più di cinquecento armati, contro cinquantamila fanti e duemilacinquecento cavalieri. I turchi avevano inviato un monaco greco prigioniero a trattare col governatore Nicolò Dandolo, ma la resa concordata si era trasformata in un eccidio. La soldataglia si era scatenata: fatti a pezzi tutti i difensori, assassinati a migliaia i residenti, radunate diverse decine di giovinetti, maschi e femmine, da avviare al mercato del piacere di Costantinopoli. Tante donne si erano suicidate per sottrarsi allo stupro.
Subito si era arresa senza combattere anche Kirenia, seconda fortezza per importanza. Era rimasta Famagosta, a oriente dell’isola, cinta d’assedio dal 22 agosto 1570 ma non disposta a cedere fino all’ultimo. Già il 7 ottobre 1571, la flotta della Lega Santa cristiana sconfiggerà quella turca nelle acque greche di Lepanto: le galeazze veneziane, irte di cannoni, vendicarono Marcantonio.
Massimo Trifirò è Cittadino Benemerito di Lecco ed è lo scrittore che ha dedicato più pagine di narrativa alla sua città. Laureato in scienze politiche, specializzato in storia, scrive da giovane. Ha collaborato a giornali nazionali, regionali, locali e a riviste nazionali. Vanta diversi interventi sui periodici, soprattutto decine di libri di vario genere: antologie di racconti, romanzi di spionaggio, comici o anche fantastici, biografie religiose, studi evangelici, rievocazioni storiche saggistico-letterarie, dialoghi filosofici, raccolte di aforismi, libri di poesie e satira politica a fumetti. Opere principali sono una rivisitazione de I promessi sposi manzoniano, Il manoscritto graffiato (2010) e un romanzo-saggio sulla passione di Cristo, Gulgalta (2018).
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