Sul latino degli umanisti
- Autore: Francesco Tateo
Nella vivace riflessione intorno alla storia culturale e letteraria dell’umanesimo italiano, già impostata intelligentemente negli ambiziosi progetti editoriali della collana «Cento libri per Mille anni» dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato sotto la direzione di Walter Pedullà, vale a dire nei volumi La prosa dell’Umanesimo e Lorenzo, Poliziano, Sannazaro, nonché Poggio e Pontano, Francesco Tateo ritorna, con una dinamicità senza uguali, a trattare un tema la cui densità culturale è comprensibilmente immensa. Che cosa si offre di tanto diverso da quei volumi? Ebbene, la novità editoriale della Cacucci, accolta nella recentissima collana Rinascimento e Barocco del Dipartimento di Italianistica dell’Università di Bari, non si mostrerebbe certo ponderosa, dal momento che Tateo, in quei volumi, aveva sviluppato profusamente e con estrema precisione le coordinate culturali dell’umanesimo – latino e volgare – italiano: malgrado ciò gli esiti sono ben chiari sin dalle prime pagine.
La vera novità di questo volume sta però nelle intenzioni del suo contenuto, cioè ricostruire la tradizione latina che sottende l’opera dell’umanista Antonio de Ferrariis Galateo, un progetto ben compiuto in questo titolo.
La novità – dicevo – sta nel contenuto. Per prima cosa va precisato che gli studi di Francesco Tateo sull’Umanesimo, in particolar modo su quello di area meridionale, hanno portato alla rapida espansione dell’interesse per l’umanista Antonio Galateo, originario del Salento, la cui apparente marginalità nell’ambito della produzione in lingua latina fra Quattro e Cinquecento, al di là della rivalutazione da parte di Benedetto Croce e di Eugenio Garin, viene invalidata proprio dai suoi studi. Il fervore di studi che in un breve lasso di tempo ha permesso la pubblicazione di numerose opere dell’umanista originario di Galatone, personaggio di rilievo presso la corte aragonese e particolarmente implicato nelle discussioni medico-scientifiche, geografiche e cartografiche della scuola umanistica napoletana, ha giustamente risarcito la sua assenza nel panorama delle riflessioni sul latino umanistico e sulla sua teorizzazione. Il latino del Galateo fu di sicuro una lingua sperimentale, legata ora al linguaggio della epistolografia latina, ora a quello scientifico sul versante descrittivo storico-geografico e sul versante medico, ora a quello dell’oratoria nel duplice binario della comunicazione latina e volgare, ora alla lingua della tradizione latina irrobustita dagli apporti delle culture greco-bizantina e araba. Per queste ragioni Tateo – lo ribadisce nella prefazione – persiste nello sforzo di misurare la profondità del latino del Galateo, attraverso una disamina spregiudicata ma ineccepibile della situazione relativa al panorama culturale e linguistico dell’Umanesimo meridionale.
Sul latino degli umanisti
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