Ormai da diversi anni, nelle scuole, la parola “bidello” sembra essere stata bandita e sostituita da un’espressione considerata più professionale. Ma il vecchio vocabolo era davvero così ingiurioso come qualcuno vorrebbe farci credere?
Nel suo primo album solista uscito nel 2004, Sir Oliver Skardy, ex cantante dei Pitura Freska, ha dedicato un brano alle difficoltà che i bidelli incontrano nelle loro giornate di lavoro, intitolato appunto Bideo.
Il testo è già nella storia della canzone veneta:
Mondo bueo, fasso el bideo
Go ’na paga da miseria e un diretor via co el sarveo
Par la faccia no el bada a spese
El ga diexe milioni al mese
El ga la skuola che crola
Ma xe soida la poltrona e la tola.
Da alcuni decenni, però, il termine bidello è stato sostituito dall’espressione "collaboratore scolastico", quasi che il vecchio vocabolo avesse qualcosa di offensivo. E in effetti tra i lavoratori c’è addirittura chi (stoltamente) si indigna quando viene chiamato “bidello”, ma ciò accade perché l’origine e la storia di questo lemma non sono sufficientemente conosciute.
Scopriamole insieme.
Bidello: l’etimologia della parola
Secondo gli studiosi di etimologia, bidello deriva dal latino medievale "bidellus" o dall’antico francese "bidil", che significava messaggero, messo giudiziario. Forse il vocabolo fu portato in Italia dagli studenti francesi dell’Università di Bologna per indicare i funzionari dell’ateneo e coi secoli è andato a designare invece i custodi dei luoghi d’insegnamento.
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Nel suo libro Dal manoscritto alla stampa. La letteratura volgare del medioevo, pubblicato per la prima volta nel 1945, Henry J. Chaytor (1871-1954), storico della letteratura romanza medievale e professore al St. Catherine’s College di Cambridge ha trattato estesamente dei "bidelli" in un brano del saggio, che riportiamo integralmente nella traduzione italiana di Anna Radaelli, edita da Donzelli nel 2008:
Nel XIV secolo il commercio di libri includeva stazionari o copisti, librai, fabbricanti di pergamena, miniatori e rilegatori, e almeno due o tre di queste funzioni potevano essere riunite in un’unica ditta. Lo stazionario – così chiamato per il fatto che aveva un posto fisso per i suoi affari e non viaggiava di città in città – era l’equivalente medievale del moderno tipografo-editore: dirigeva l’attività di copia dei libri e assumeva miniatori per decorarli e rilegatori per rifinirli al momento opportuno. Il librarius vendeva libri o li dava a noleggio, nel qual caso poteva assumere le funzioni dello stazionario.
Tale categoria godeva anche di particolari prerogative, tipico esempio di autonomia di un corpo intermedio (l’università) sotto i governi tradizionali:
I membri di questa categoria erano considerati funzionari dell’università e possedevano una regolare licenza; prestavano giuramento sull’osservanza dei regolamenti universitari e godevano di un monopolio che i commercianti esterni non potevano infrangere: per questo versavano in garanzia una cauzione in denaro che poteva arrivare fino a duecento sterline, somma davvero considerevole a quei tempi. In quanto impiegati delle università erano esenti dalla giurisdizione e dalla tassazione municipale e avevano un posto riservato nelle processioni e nelle pubbliche cerimonie universitarie; non era loro consentito di intraprendere altri commerci o professioni, tranne quelli che avevano a che fare con la scrittura – notai, avvocati, chierici. In Italia ci si riferiva a loro con il termine di bidelli. Il bidellus era un impiegato pubblico, con funzione di banditore comunale, o huissier, che lavorava per garantire il decoro municipale; di qui, probabilmente, anche l’Esquire Bedell delle università inglesi.
Insomma, nella parola bidello non c’è proprio nulla di negativo e non c’è nulla di male a usarla, con buona pace della “neolingua” che ossessiona i progressisti dei nostri giorni.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Sulla dignità della parola “bidello”
Finalmente un articolo su questo argomento, sono stanca di sentire l’ignoranza dilagante sbraitare: "Non si dice bidella, è offensivo, si dice collaboratrice scolastica!"