Terre morte
- Autore: Núria Bendicho Giró
- Genere: Gialli, Noir, Thriller
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Voland
- Anno di pubblicazione: 2024
Prendete carta e penna e appuntatevi questo nome. Non scherzo, è importante che lo facciate: Núria Bendicho Giró, nome e cognome di una straordinaria scrittrice di nemmeno trent’anni. Terre morte (Voland, 2024, traduzione di Tiziana Camerani) è il suo romanzo d’esordio, un romanzo verista, nel senso di crudo, impietoso, avviluppante al punto che non te ne liberi: ti resta addosso come l’arsura dei terreni a perdere dove è ambientato.
Si tratta di un noir esistenziale. Una sequela di colpi allo stomaco, tutti bene assestati. Un intreccio da tragedia greca in un teatro rurale. Una “Spoon river” altrettanto poetica ma più violenta e a-morale: i vivi e i morti (i vivi-morti) in terra di nessuno e nessun dio da bestemmiare; una terra arida per contadini dal “sangue marcio”, che la abitano e la lavorano senza soluzione di continuità. Terre morte, un morto ammazzato e una soggettiva fratta per capire chi è stato: tredici monologhi “circolari” di tredici anti-eroi (vittime o carnefici, anzi vittime e carnefici al tempo stesso), tanti quanti sono i personaggi del romanzo.
Personaggi con i quali si fatica a simpatizzare, e non è che Núria Bendicho Giró lo desideri. Che il lettore entri in empatia coi suoi personaggi, intendo. La più felice delle impressioni che si hanno leggendo Terre morte è che l’autrice stessa giri alla larga dalla pietas. Funzionalmente alla trama, a cui faccio cenno soltanto perché devo, dato che c’è qualcuno interessato alle trame finanche al cospetto di romanzi altri e frastagliati come questo.
Sotto la scorza del romanzo “a enigma” (chi è stato a uccidere Joan?), Terre morte se la vede infatti con la scorza dura della vita, è pieno così di fratture ontologiche, radicate al punto che nessun terapista riuscirebbe a tamponare, figurarsi risanare.
Núria Bendicho Giró ha alle spalle studi filosofici: si vede e si sente. Lo spessore della scrittura fa il paio con una lingua benedetta dal dio dei veri scrittori, e il suo primo romanzo quasi quasi è un capolavoro.
Qualche divagazione sulla trama, vi dicevo. Dopo un’assenza lunga tre anni, il giovane Joan Capdevila ritorna nel suo villaggio e viene ucciso. Qualcuno gli spara alla schiena, nella masia assediata dalle montagne dove vive la famiglia. Un microcosmo a parte, isolato dal mondo. Bestiali e affettivamente sterili, come la terra che lavorano, i Capdevila sanno che l’assassino di Joan è uno di loro. Forse il ragazzo storpio, venuto su allo stato brado come un qualsiasi altro animale di quelle terre morte? Forse il primogenito Tomàs, atavicamente allacciato alla famiglia (ai suoi segreti) e alla sua terra? Forse Maria? O Pere? Entrambi smaniosi di andarsene lontano. Oppure la madre, segnata dai vissuti a cui è sopravvissuta? O addirittura il padre, un altro sopraffatto dalla vita e sopraffatto anche dalla tragedia familiare? Contraltare ai reietti della famiglia Capdevila, gli abitanti del paese più vicino, che ne percepiscono gli orrori incistati a sangue in ciascuno dei componenti. Núria Bendicho Giró è abilissima nel governare una trama parcellizzata, esplicitata per monologhi che, fra le righe dei vissuti, dissotterrano indizi utili a far luce sull’omicidio.
Per dirla con le parole luminose della traduttrice Tiziana Camerani, che in postfazione arriva al milieu dello specifico narrativo dell’autrice:
Nell’immobilità degli elementi – la terra riarsa, l’aria afosa, l’acqua putrida – la scrittura (sorprendentemente matura per una giovane autrice di 25 anni al suo esordio letterario) ha un ritmo torrenziale, incalzante, ipnotico che fa di Terre morte un libro, come si suol dire, da leggere tutto d’un fiato: si rimane impigliati in questo filo narrativo che si srotola, in questo flusso trascinante di vita. Ci rimane impigliata anche la morte che, onnipresente nel racconto con sembianze che arrivano ad essere sadiche o addirittura grottesche, viene descritta come un atto selvaggio e bello allo stresso tempo e per questo ha qualcosa di magico e seducente.
Ecco: magico e seducente sono gli aggettivi che per contrasto qualificano ulteriormente questo romanzo, intrinseco agli anditi oscuri della natura umana ma capace di distanziarsi da giudizi di valore, da condanna e assoluzione.
Terre morte
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Mario, grazie per la sua stupenda, intensa recensione!