Terremoto
- Autore: Chiara Barzini
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Mondadori
- Anno di pubblicazione: 2017
“Terremoto”, il romanzo della giovane scrittrice italiana Chiara Barzini, è stato pubblicato dapprima in America, e solo in un secondo momento da noi. Fatto editoriale insolito, mi sembra, su cui vale la pena soffermarsi.
Il romanzo ci racconta una adolescenza tempestosa, quella della voce narrante, trascinata a Los Angeles nei primi anni Novanta, al seguito di una famiglia di fantasiosi aspiranti registi nella mitica Hollywood: la madre Serena, il padre Ettore, il fratello minore Timoteo, la nonna Celeste lasciano la casa borghese di Roma per trasferirsi in un distretto povero e degradato nella San Fernando Valley, fuori del cerchio magico delle star hollywoodiane. Il padre vorrebbe fare un film con un americano, Max, velleitario e parolaio, che in breve tempo lo mollerà pieno di debiti e di progetti incompiuti.
La descrizione della società della metropoli californiana fatta da Eugenia, quindicenne in cerca di estrema libertà, di amicizia, di trasgressione, di inserimento e di accettazione, è spietata. Gli adulti sono distratti, concentrati sui propri problemi, infantili, superficiali, talvolta violenti. Eugenia il primo giorno di scuola indossa scarpe Pump Reebok, e questo la emargina, le compagne indossano tacchi alti, lei è fuori, accolta solo da un giovane sbruffone iraniano con cui fa sesso, pur di essere inclusa in qualche gruppo. Il ragazzo viene ucciso in un centro commerciale, coinvolto in una assurda sparatoria fra coetanei, bianchi e neri. Lei si legherà ad una magrissima e misteriosa ragazza, Deva, gemella di Chris, che abita con un padre ex musicista rock ormai invecchiato, con cui vive un ambiguo rapporto, forse incestuoso.
Deva ed Eugenia si scambiano affettuose carezze, in un tentativo di uscire, attraverso un rapporto erotico gay, dalla loro solitudine affettiva.
“Terremoto” è un romanzo lungo, forse un po’ ripetitivo il racconto del consumo di pillole, eccitanti, antidolorifici mescolati ad alcol di cui viene esibito un uso malato presso comunità di vecchi hippies, di famiglie inesistenti, di cibi scadenti, di lunghi percorsi nelle desolate freeways; a Disneyland, addirittura, i ragazzi consumano droghe e vengono poi rinchiusi, da un poliziotto vestito da Mickey Mouse, in piccole stanze in attesa che l’effetto tossico si esaurisca. Al contrario un eccesso di moralismo spinge la polizia che atterra da un elicottero sulla spiaggia a multare la famiglia italiana che disinvoltamente ostenta la propria nudità. Gli italiani piacciono solo per la cucina, e i cibi italiani, veri o accennati, sembrano essere l’unico lasciapassare che legittimi la presenza in America di queste stramba famiglia.
Nella parte centrale del romanzo Chiara Barzini descrive un periodo di vacanza alle isole Eolie, dove i due ragazzi vengono inviati da uno zio che lì vive in modo del tutto naturale: senza luce, acqua corrente, negozi, mezzi di trasporto. Eugenia si dedicherà a rendere femminile la contadina Rosalia, l’unica con cui stabilisce un rapporto, e ad impietosirsi per la sorte crudele dell’unico asino, battuto a morte dal padrone ignorante e violento.
Due mondi contrapposti, due modelli sbagliati, due estremi, che nella scrittura di Chiara Barzini offrono una efficace sintesi narrativa. La mitica California degli anni Novanta esce dalle pagine di “Terremoto” come un luogo degradato, osceno, umanamente miserabile, falso mito di italiani ingenui, irretiti da un mito, quello del cinema americano, falso come una patacca. Nella parte conclusiva del libro arriva il terremoto, violento, che spazzerà via non solo metaforicamente quel che resta di questo strampalato soggiorno americano. Eugenia però infine ha trovato accoglienza per i suoi progetti di scrittura, ed è l’unica che non lascerà ancora l’America:
“L’Italia ora mi pareva una di quelle rocce impassibili: una penisola senza età che emergeva dalle acque ferme. E sapevo che non volevo ancora tornarci. Non avevo vissuto tutte le cose prima del terremoto per far finta che non fossero accadute”.
Malgrado la cupezza di certe descrizioni, la violenza che traspare in molte pagine di “Terremoto”, si nota una grande perizia dell’autrice nell’uso della lingua, nella descrizione di ambienti, nell’elencazione di oggetti che disegnano interi scenari, nella costruzione dei dialoghi, evidentemente derivante anche dal cognome della scrittrice, che proviene da una famiglia di gente che ha sempre scritto: la traduzione dall’originale inglese, si deve, oltre alla stessa Chiara Barzini, a Francesco Pacifico, e risulta davvero efficace.
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