Tosca Pagliari, insegnante, è nata in una regione del Centro Italia nella seconda metà del Novecento. “Le foto salvate” è il suo primo libro pubblicato, ma non la prima esperienza letteraria, dato che scrive fin da giovane racconti e poesie. Dotata di uno spirito ipercritico, ha sempre finito col distruggere i propri lavori... Tosca ha un proprio sito e blog (http://www.lefotosalvate.com), che cura con passione e partecipa da alcuni mesi anche all’iniziativa “Uno scrittore ci racconta un libro...” di Sololibri.net.
Tosca, intanto ti do il benvenuto a quella che non sarà la solita intervista chilometrica, ma solo 4 chiacchiere contate.
- Prima chiacchiera: Nella tua pagina personale scrivi di aver sempre distrutto i tuoi scritti precedenti a “Le foto salvate”. Cosa ti ha spinto, stavolta, a cercare la via della pubblicazione?
Il caso. Alcune mie amiche hanno capito che stavo lavorando a questo racconto e una volta finito hanno voluto leggerlo. Mi hanno assolutamente sconsigliato di disfarmene e mi hanno convinta a pubblicarlo. Così si è salvato il manoscritto, tanto per restare in tema di cose salvate. Non mi pento per la scelta che ho fatto solo per le considerazioni positive e l’entusiasmo di chi ha letto il romanzo, ma, con il senno di poi, oggi pubblicherei solo ad altre condizioni editoriali.
- Seconda chiacchiera: Ada, la protagonista del tuo romanzo, ritrova le foto del suo passato, dalle quali trae spunto per raccontare ai propri figli la storia della sua famiglia. Quanto sono importanti le proprie origini e tenere a mente da dove si sia partiti?
Sono essenziali per poter mantenere una salda rotta verso il futuro. Le radici non sono un freno, un appiglio, un ostacolo, sono, invece, una bussola, un forte punto di riferimento per andare avanti, per andare oltre, anche verso il cambiamento, ma con la giusta considerazione e convinzione. Solo con la consapevolezza di un’identità profonda ci si può commisurare con il resto del mondo.
- Terza chiacchiera: La storia si snoda fra la Toscana e la Sicilia, attraversando un arco di tempo che va dal 1860 al 1970, oltre un secolo di storia. I costumi, i turbamenti, i linguaggi di una società in continua evoluzione. Perché scrivere una storia così articolata e densa, in un momento in cui la narrativa che funziona sembra essere tutt’altra?
Ecco il punto dolente della situazione: “la narrativa che funziona”. Funziona per cosa, per fare cassa? Un emerito personaggio mi disse che il mio romanzo era “fuori dall’odierno dibattito”. E qual è l’odierno dibattito? Il sesso? La perversione? Le visioni apocalittiche?
Il mio non è un romanzo bacchettone, c’è molta ironia, anche umorismo se vogliamo, ma soprattutto storie verosimili di gente che ha lottato, amato, sbagliato, pagato, riscattato la propria condizione senza bisogno di porre l’accento sul “sensazionalismo morboso”. E poi perché si dovrebbe scrivere per rincorrere le mode? Si deve scrivere quel che veramente si sente a prescindere dai “circuiti”. Comunque il problema vero non sta nell’opera ma nel personaggio scrittore. Se il personaggio scrittore è famoso tutto fa tendenza, altrimenti diventa un fuori moda a prescindere dalla ricchezza di quel che potrebbe dire. Qualche mese dopo il mio romanzo è uscito quello di Oriana Fallaci di altrettanto stile e memorie (n.d.r. "Un cappello pieno di ciliege"), ma nessuno si è arrischiato a dire che non era della tendenza giusta.
Devo ancora rispondere alla domanda. Ho scritto una storia del genere perché me la sono sentita nascere dentro da momento che ho visto crescere, quasi tutto d’un colpo, i miei figli.
E’ stato il loro futuro che si spalancava, la loro mia appartenenza diventare passato, il rendermi conto che anch’io ero stata come loro e che loro sarebbero stati come me nell’infinito viaggio di tutte le vite. Allora ho voluto costruire un romanzo, dove s’intrecciavano dei legami da una generazione all’altra, per tenere stretti passato e futuro in un desiderio d’immortalità dei sentimenti umani sempre uguali sulla scena del mondo. Insieme a tutto questo ho voluto salvare anche tradizioni, parlate e proverbi in controtendenza al nuovo clima di globalizzazione.
- Quarta chiacchiera: Il messaggio che sembra trapelare dal tuo romanzo è che parte di quello che siamo è dovuto a quello che il passato dei nostri avi ha voluto per noi. A questo aggiungi che noi siamo anche tutto ciò che i nostri avi non avrebbero mai voluto che fossimo. Come si colloca il concetto di libertà in questa visione dell’esistenza apparentemente segnata in partenza?
La frase giusta è appunto “apparentemente segnata in partenza” perché, in effetti è solo l’inizio segnato dal vissuto precedente, il resto è una scelta propria che segnerà, a sua volta, l’inizio di altre vite. Ada, la protagonista del romanzo, alla fine riesce ad andare verso il futuro attraverso una propria scelta. Molto prima di lei una giovane baronessa aveva compiuto una scelta talmente azzardata da stravolgere tutto quello che per lei era stato predisposto. La libertà d’agire, con tutti i rischi che ne concorrono, è sempre presente in ogni personaggio, che mantiene sempre vivo l’anelito al cambiamento anche a costo di lasciarsi alle spalle sentimenti, luoghi, posizioni sociali. C’è poi una forte libertà di pensiero, di dire con coraggio quel che si pensa, soprattutto Ada ha questo atteggiamento quasi sfrontato, ma fondamentalmente aperto e coerente.
Questa era l’ultima chiacchiera: non mi resta che salutarti e ringraziarti per aver accettato il mio invito.
Grazie a te per la piacevole occasione di aver potuto scambiare queste quattro chiacchiere attraverso domande affatto scontate e ben mirate. Sono state domande che mi hanno permesso di far sapere ciò che penso più di tirare in ballo chi sono, perché “chi si è” ha poca importanza, quel che conta è “come si è”.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Tosca Pagliari
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