La poesia che Giosuè Carducci dedica alla propria terra natale, la Maremma toscana, parla il linguaggio del rimpianto. Traversando la Maremma toscana non è una lirica paesaggistica, come ci suggerisce l’evocativo titolo, ma il risultato di una profonda autoanalisi interiore. Rievocando le dolci colline della sua terra, Carducci sta tracciando il ritratto di sé stesso, consegnandoci però un riflesso retroattivo come se quel paesaggio avesse conservato un’immagine di lui perennemente giovane e non intaccata dalle amarezze e dalle insidie della vita.
Nonostante il tono aulico che la caratterizza - tipico del lirismo carducciano - è una poesia carica di pathos, a partire da quel “e il cuor mi balza” che ci commuove, restituendoci intatta l’emozione. Traversando la Maremma toscana è una poesia scaturita da una visione, che tuttavia ci restituisce un altro paesaggio, inatteso e non svelato alla vista, nutrito di pensiero introspettivo. La Maremma di Carducci è tutta perpetuata nel ricordo, rivive nella sembianza di un passato già lontano eppure indelebile nella memoria. Piangendo la sua terra natia, in realtà il poeta è la propria giovinezza che piange, l’infanzia e la sua purezza per sempre perduta.
Il sonetto fu scritto da Carducci nel 1885, durante un viaggio in treno: osservando dal finestrino le verdi colline toscane il poeta fu sorpreso da un’ispirazione che si risvegliava in lui con l’impeto subitaneo di un ricordo. Non stava tornando nella sua terra d’origine, la sua meta era Roma; eppure quella fugace apparizione risvegliò in lui un senso di appartenenza. In realtà era la sua vita ciò che gli passava davanti dal finestrino di quel treno. A questa visione l’autore avrebbe dedicato anche la celebre lirica Davanti San Guido, che appare in stretto dialogo con Traversando la Maremma toscana, come se ne rappresentasse l’implicita continuazione.
La poesia è contenuta nel secondo libro della raccolta Rime Nuove (1887).
Scopriamone testo, parafrasi e analisi.
“Traversando la Maremma toscana” di Giosuè Carducci: testo e parafrasi
Dolce paese, onde portai conforme
L’abito fiero e lo sdegnoso canto
E il petto ov’ odio e amor mai non s’addorme,
Pur ti riveggo, e il cuor mi balza in tanto.
Mio dolce Paese (la Maremma), dal quale ho ereditato il fiero orgoglio e il mio canto poetico indignato. E questo mio cuore dove odio e amore non si addormentano mai. Ora ti rivedo e il cuore mi balza nel petto.
Ben riconosco in te le usate forme
Con gli occhi incerti tra ’l sorriso e il pianto,
E in quelle seguo de’ miei sogni l’orme
Erranti dietro il giovenile incanto.
Riconosco in te le solite sembianze d’un tempo, le vedo con questi occhi incerti tra il sorriso e il pianto. E in quei paesaggi ripercorro le vaghe impronte dei miei sogni, le illusioni della gioventù.
Oh, quel che amai, quel che sognai, fu in vano;
E sempre corsi, e mai non giunsi il fine;
E dimani cadrò. Ma di lontano
Tutto ciò che ho amato, tutto ciò che ho sognato, è stato inutile. Ho sempre corso, senza mai raggiungere il mio scopo. E domani cadrò (morirò) ma guardando da lontano (le tue colline).
Pace dicono al cuor le tue colline
Con le nebbie sfumanti e il verde piano
Ridente ne le pioggie mattutine.
Le tue colline donano pace al mio cuore, con le loro nebbie digradanti (che sfumano all’orizzonte) e il verde vivo e brillante nelle pioggie del mattino.
“Traversando la Maremma toscana” di Giosuè Carducci: analisi e commento
Carducci, lo capiamo subito, non ci sta mostrando uno scorcio del paesaggio toscano ma del suo cuore. Gli infiniti viali alberati, le dolci colline, il verde brillante delle sconfinate pianure diventa metafora di altro: quelle visioni il poeta le ha chiuse nella memoria, insieme alla sua infanzia. Quindi personifica la sua terra natale, le parla come se fosse una madre o un’amata: “Pur ti riveggo”, dice, lasciando trasparire tutta l’emozione di un incontro che non è poi molto diverso da un’apparizione fantasmatica. Lo stupore di Carducci non è dovuto al paesaggio contemplato al di fuori del finestrino, ma ai ricordi che esso porta con sé. In verità è sé stesso che rivede, il bambino e il ragazzo che fu.
Ora invece è un uomo anziano, malato di cuore (pare che proprio in quel periodo Carducci fosse in cura per problemi cardiaci, dunque anche il riferimento iniziale al “cuore” non è casuale e può anche essere letto fuor di metafora). A preoccuparlo tuttavia non sembra essere in primo luogo la decandenza fisica: appare come un uomo solo, immalinconito, carico di amarezza. La lirica è percorsa infatti da una vena di struggimento.
Nella terza strofa il poeta ci offre un ritratto interiore - e spietato - di sé stesso, affermando che tutto ciò che ha amato lo ha amato invano. Con sconforto nelle verdi colline scorge i suoi luminosi sogni di gioventù che non si sono mai realizzati. Nello schermo sottile di quel finestrino sembra specchiarsi e quindi riflettersi scoprendosi improvvisamente vecchio, stanco, sfinito. Il tempo è il vero protagonista della poesia che diventa centrale nella strofa in cui il paesaggio, di fatto, non compare; quando l’autore dice “Domani cadrò”. Non è a una caduta né a una sconfitta che allude, sta facendo riferimento, tramite un eufemismo, alla propria morte, dunque alla fine del suo tempo. Curiosamente il treno non è mai nominato in questa poesia; tuttavia oscuramente percepiamo che Carducci non avrebbe potuto scriverla altrove, poiché il treno - che corre dritto lungo il suo binario sino alla meta - diventa la perfetta allegoria dello scorrere del tempo su una linea continua, quindi da punto a punto, questa percezione sotterraneamente attraversa i versi.
Il contrasto tra giovinezza e vecchiaia è il tema dominante: il candore della gioventù - rappresentato dai sogni - stride se rapportato con la presa di coscienza della realtà che caratterizza l’età adulta. Per questo motivo il poeta parla di sé stesso al passato remoto “quel che amai”/ “quel che sognai”: non è la sua terra toscana che osserva, sta guardando dentro sé stesso, e con sgomento realizza di essere vicino alla fine della sua esistenza. Il presagio della morte è ciò che ammanta l’intera poesia di una patina nostalgica indelebile. Il cuore gli balza nel petto, alla vista di quelle “dolci colline”, poiché in quell’attimo comprende di non essere eterno. La fugace visione dal finestrino del treno lo allontana per sempre dal bambino che fu, gli ricorda che l’essere umano è qualcosa che non resta. La visione della Maremma toscana lo consola e lo pungola nel profondo, perché il poeta capisce che i paesaggi della sua infanzia resteranno immutati, ma lui svanirà.
C’è lo scarto tra il tempo umano e il tempo della natura che apre uno squarcio nella mente simile a una rivelazione: la vita scorre e poi s’arresta. Traversando la Maremma toscana è un viaggio compiuto soltanto con la mente, in cui il sentimento dominante è il rimpianto.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Traversando la Maremma toscana”: la poesia di Giosuè Carducci dedicata alla terra natia
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