Questa poesia di Ungaretti si apre con un’immagine fortissima: “Non potrò più smemorarmi in un grido”, un verso denso di significato che racchiude, per analogia, la condizione di spensieratezza dell’infanzia. La fanciullezza diventa un punto di non ritorno, la lacerazione insanabile tra infanzia ed età adulta è data dall’esperienza del dolore.
Con efficacia l’autore lega l’essere bambini al piacere del gioco, della corsa, del movimento: in quel “smemorarmi in un grido” è contenuta una sequenza significativa di eventi, il bambino che gioca, il bambino che corre a perdifiato e in un urlo alto, levato, dimentica ogni dolore, ogni risentimento. Nell’infanzia tutto passa, tutto si dimentica, nessun rimpianto è mai definitivo. L’attacco della lirica ungarettiana - che può essere condensato nel fermo immagine di un bambino che rincorre un aquilone, sintesi estrema di leggerezza e fuggevolezza - ci consegna un ritratto spietatamente vero dell’infanzia.
In Tutto ho perduto Giuseppe Ungaretti riversa il dolore per la morte dell’adorato fratello Costantino, ma non solo, nell’angoscia ungarettiana è presente anche il lutto per la perdita del figlioletto Antonietto, morto a soli nove anni, nel 1939, a causa di un’appendice mal curata.
“E non potrò mai più
Smemorarmi in un grido.”
La memoria del figlio si fa tangibile anche in un’altra poesia presente nella raccolta, Il dolore (1947), dal titolo Giorno per giorno in cui è presente un analogo grido di forte potenza espressiva:
“E t’amo, t’amo ed è continuo schianto!”.
Questo può essere letto come il proseguo dell’urlo ungarettiano annunciato in Tutto ho perduto, che apre la raccolta Il dolore. È un grido afono, strozzato, molto diverso da quello ancora vitale, di rabbia, di rivalsa, di fame di vita presente in Il porto sepolto. Ciò che ora udiamo è il grido di un uomo che ha perso sé stesso e non ha più parole per narrare la tragedia della propria vita.
Dunque, Tutto è perduto, come ci suggerisce il titolo della poesia: la parola nuda di Ungaretti appare ridotta alla sua forma primigenia, materica, proprio come la pietra del Monte San Michele, a Gorizia, che fossilizzava il suo pianto in Sono una creatura. La poesia si conclude con un’immagine analoga facendo riferimento a una “roccia di gridi” che appare arrestata in fondo alla gola, strozzando la voce. L’incomunicabilità del dolore è una costante nella lirica ungarettiana. Ma la vera pietra in Tutto è perduto non è la parola, ma il cuore del poeta, scavato dalla sofferenza come una roccia carsica.
Scopriamone testo, analisi e commento.
“Tutto ho perduto” di Giuseppe Ungaretti: testo
Tutto ho perduto dell’infanzia
E non potrò mai più
Smemorarmi in un grido.L’infanzia ho sotterrato
Nel fondo delle notti
E ora, spada invisibile,
Mi separa da tutto.Di me rammento che esultavo amandoti,
Ed eccomi perduto
In infinito delle notti.Disperazione che incessante aumenta
La vita non mi è più,
Arrestata in fondo alla gola,
Che una roccia di gridi.
“Tutto ho perduto” di Giuseppe Ungaretti: analisi e commento
Di questa lirica lo stesso Ungaretti scrisse: “È la lirica che apre il dolore e ne è il frontespizio”. In un’unica poesia, dal titolo significativo Tutto ho perduto, l’autore aveva condensato due lutti che l’avevano segnato profondamente: la morte del fratello e il dramma della scomparsa del figlio secondogenito.
Uno è un lutto recente (Antonietto morì nel 1939, Constantino nel 1937), l’altro meno, tuttavia sono entrambe ferite del cuore che non si riemarginano: è come se le due morti dialogassero insieme nell’animo del poeta risvegliando in lui un analogo - e incolmabile - sentimento di perdita.
La morte del fratello Costantino segna per Ungaretti il distacco definitivo dall’infanzia: non sarà mai più quel bambino che correva dimentico di sé stesso, come indica la prima immagine della poesia che sembra sublimare l’innocenza dell’infanzia tramite un’analogia.
Il dolore prende le sembianze metaforiche di una “spada invisibile” che si frappone tra il poeta e la realtà, distanziandolo da ogni cosa e facendolo percepire estraneo alla concretezza del reale. Perfetta metafora del lutto. Il ricordo del fratello appartiene a un altro luogo, a un altro tempo, alla certezza di una gioia perduta:
Di me rammento che esultavo amandoti.
La verità di questa rivelazione, illuminante e improvvisa, si contrappone per contrasto al buio della notte dell’oblio nella quale il poeta è sprofondato come in una voragine. L’oscurità che si dilata all’infinito è un’altra metafora tangibile del dolore del lutto che ora lo avvolge senza scampo. Lo smarrimento è inevitabile in questo buio nel quale è impossibile orientarsi. Dopo averci consegnato la percezione del dolore attraverso la sfera visiva, Ungaretti torna con una sinestesia alla sfera uditiva e al veicolo della comunicazione per eccellenza, ovvero la voce. L’afasia, l’impossibilità di dire, è una chiave di lettura fondamentale del testo che si condensa in un’immagine evocativa tanto quanto quella di apertura: “roccia di gridi”. Indica l’impossibilità di dire, l’incapacità di esprimere un dolore che è, per definizione, inenarrabile.
La parola che si fa pietra è un’analogia ricorrente nella lirica ungarettiana ed è anche espressione pura della poetica di Ungaretti che fa propria la “parola nuda”, riduce il lessico e la sintassi ai minimi termini, eliminando aggettivi, avverbi, punteggiatura, valorizzando il singolo sostantivo nel suo valore puro, scarno, sino a rendere il suo significato totalizzante.
Non si può raccontare il dolore; tuttavia in Tutto è perduto Ungaretti riesce a farcelo percepire, dandogli il suono di un grido strozzato in gola, di una volontà di dire soppressa che si fa pietra, diventa arida e materica, come un “pianto che non si vede” e rimane lì, fermo, smarrito, in bilico tra la gola e la voce.
L’intera poesia è giostrata sull’immagine efficace del grido che si fa espressione vocale e umana del dolore. Solo ai bambini, rimarca il poeta, è concesso il privilegio della dimenticanza del male, l’oblio del dolore e, forse, anche la panacea salvifica della cura.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Tutto ho perduto”: la poesia di Giuseppe Ungaretti per il fratello Costantino
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