La raccolta di Pasolini ”Trasumanar e organizzar”, le cui poesie furono scritte all’incirca tra il 1965 e il 1971, oltre a esprimere l’impegno civile, si caratterizza per l’innovazione poetica, pur continuandosi a muovere Pier Paolo Pasolini nel solco della tradizione umanistica, presa d’assalto dalle forme ostili dell’omologazione culturale. L’intento è costruttivo: occorre operare per un mondo che abbia significati di convivenza.
In quest’ottica, la poesia coincide con la vita e rivela un Pasolini in rivolta: critico ed eversivo dell’ordine costituito con un linguaggio antiretorico e passionale.
Nel momento in cui sembra che voglia rifiutare la poesia, ne difende le sue ragioni. Chi la tradisce è l’ideologia e anche chi pretende di tradurre in versi la concezione filosofica della realtà. Non si tratta di spiegare il mondo, ma di viverlo, agendo. L’opera Trasumanar e organizzar, pubblicata nell’aprile 1971 e accolta con indifferenza dalla critica, ha un titolo, spiegato dallo stesso Pasolini nell’intervista del 1969 a Jean Duflot:
Del resto, la prossima raccolta di poesie che pubblicherò s’intitolerà Trasumanar e organizzar. Con questa espressione voglio dire che l’altra faccia della “trasumanizzazione” (la parola è di Dante, in questa forma apocopata), ossia dell’ascesa spirituale, è proprio l’organizzazione. Nel caso di san Paolo, l’altra faccia della santità, del rapimento al “terzo cielo”, è l’organizzazione della Chiesa.
“Trasumanar” dunque come uscita dalle ferree condizioni assegnate e “organizzar” come pianificare e realizzare interventi di liberazione. Le poesie, che trattano i temi dell’epoca, volgono specifica attenzione a personaggi quasi sempre in un dialogo spesso pungente.
Intendo ora soffermarmi sulla poesia, dedicata a Maria Callas, Un affetto e la vita (1969), dove amore e affetto vengono messi a confronto con un complesso ragionamento esibito a voce alta.
“Un affetto e la vita”: analisi e commento della poesia di Pasolini
Così recitano i primi due versi riferiti alla Divina:
“Ho un affetto più grande di qualsiasi amore / su cui esporre inutilizzabili deduzioni”.
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L’uomo, potremmo dire, è immerso in un continuo flusso di emozioni che ne modificano il tono, migliorandolo o peggiorandolo. Sicché, “affectus” è forza di esistere che incessantemente modifica idee e stati d’animo. In prima persona il poeta esprime tale sentimento come la radice di tutte le esperienze d’amore, rese misteriose dalla primigenia energia. Adottando la forma retorica del paradosso, dice di viverlo in modo ambivalente: da un lato vi è legato e gliene impedisce altri; dall’altro, avverte di essere libero da ogni forma materiale. Perfino dalla vita. Certo la vita può perde ogni motivazione e smarrire il fascino dell’ignoto; così, alla ricerca continua di vie inesplorate da prendere si sostituisce il poter dire: “Io non viaggio più”, riconducendo monotamente il piacere all’unica strada che si conosce.
È il volto di Ninetto ora a essere caratterizzato da particolari che provocano la libera circolazione energetica: la luce degli occhi, il movimento irrefrenabile (“un po’ buffo”), e soprattutto la virtù della “rassegnazione”.
C’è un verso in cui il poeta vuole chiarirsi il senso della reciprocità d’amore:
In ogni amore c’è una fusione tra la persona che si ama / e qualcun altro: ma ciò è naturale.
Tuttavia, l’Io perde la propria identità e, sconosciuto a se stesso, diventa anonimo. Rispetto all’amore che viene ad essere depotenziato, nell’affetto invece:
“la fusione avviene a tali profondità / che non è possibile darne spiegazioni”.
L’immagine di Pasolini, dunque: quella del costruttore di un mondo affettivo, di cui la tenerezza è componente essenziale:
La tenerezza che a tale affetto impone / al profondo, non conduce né a fecondare / né a essere fecondati, anche se per gioco.
Il mutamento è radicale, essendo eliminato il concetto del coito con finalità fecondative. Se l’affetto non sublima gli impulsi erotici, si soccombe; e la caduta viene descritta come un precipitare nel vuoto, è la sensazione:
che si prova gettando il seme, quando si muore / e si diventa padri l’atto di gettare il proprio seme, morendo per diventare padri.
Ma l’affetto va ben oltre: si fonda su una ricerca di rigenerazione perché si possa raggiungere la meta dell’atarassia quale liberazione dai vincoli esaltanti il proprio ego:
Infine (ma quante altre cose si potrebbero ancora dire!), benché sembri assurdo, per un simile affetto, si potrebbe anche dare la vita. Anzi, io credo che questo affetto altro non sia che un pretesto per sapere di avere una possibilità – l’unica – di disfarsi senza dolore di se stessi.
Siamo nell’elogio degli affetti senza che prevalga il “troppo sentimentale”: tra realtà e sentimento l’obiettivo, che dà misura di una raggiunta e piena maturità, è il superamento dunque di sé stessi, sperimentando una sorta di auto-trascendenza: l’essere relazione e in relazione e con pacata serenità vivere l’unificazione interiore oltre il minuscolo proprio Io in cui agiscono voci e passioni disordinate, paure e anche ossessioni.
Così Pasolini ci dà la testimonianza del rapporto più autentico con le persone amate, con le cose, con le parole che plasmano la vita di ciascuno.
E la nitidezza dei versi si risolve in una sfera ardua e struggente: è il superamento di un deleterio individualismo, presente in ogni tempo.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Un affetto e la vita”: la poesia di Pier Paolo Pasolini dedicata a Maria Callas
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