Un bacio ai monti, una carezza al mare...
- Autore: Alberto Luchitta
- Categoria: Poesia
- Anno di pubblicazione: 2019
"Poesia e vita non possono essere disgiunte" afferma Alberto Luchitta parlando della sua silloge Un bacio ai monti, una carezza al mare... (Aletti Editore, 2019, pp. 42). Possiamo subito aggiungere, nel suo caso, che la poesia non può essere disgiunta dalla Natura, scritta con la maiuscola, secondo il dettame fondamentale del Romanticismo, che non ha a che vedere con il sentimentalismo, ma cerca nel sentimento la comprensione intuitiva di sé, unita alla comprensione del mondo. Il Bello e il Sublime sono vie e mete di questa fondamentale corrente letteraria, a cui credo si debba ascrivere l’autore.
Luchitta dedica il libro ai suoi affetti più cari, fra i quali è incluso "l’amato cane Loki". E già qui vediamo emergere una concezione animista: tutto è anima, certamente anche gli animali e il paesaggio, come si evince dal titolo della raccolta. Bacio e carezza sono i gesti dell’appartenenza, divenuta senso mistico, comunione panica: "Sussurra d’argento / l’erba a novembre", esiste la voce, esiste la parola ultraumana.
Allora anche il proprio vissuto, narrato in forma poetica, ha senso e ritmo simile agli eventi naturali, stagionali e cosmici. L’autore sana la frattura esistente fra uomo e natura, avvenuta dal tempo mitico dell’uscita dall’Eden, da sempre, da quando l’uomo ha detto "io", staccandosi dal grande Tutto divino.
Vi è preziosità e qualità nella sua visione, nulla è tristemente numerabile, nulla è intruppato. Il mondo è avvolto di tenerezza che è rispetto e cura, nate dalla contemplazione. Ma il poeta esprime anche il dubbio di far parte della grande armonia, sente la frattura dolorosa insita nell’uomo:
"Siamo un breve stormire di canne / [...] forse neppure un sussurro / all’orecchio di Dio."
Il riferimento alle canne ricorda il grande romanzo di Grazia Deledda che le valse il premio Nobel, Canne al vento. Deledda affida i suoi personaggi a Dio, un Dio di cui Luchitta vive l’assenza nel ricordo tragico della Prima guerra mondiale combattuta sul Carso, quando siamo più folli e crudeli e non troviamo pace, fino a giungere "a quell’oblio che abbiamo chiamato morte".
Estremamente drammatico è il testo dedicato al reduce, nel quale Dio, a fronte di una invocazione, risponde: "Non ti conosco". Tutto sembra perduto, mentre prima dell’orrore e prima di essere soldati al fronte i baci "volavano come musiche antiche". È l’uomo il distruttore e gli dei lo abbandonano.
Il bene e il meglio non scompaiono, sono depositati nel "negozio del rigattiere", dimenticati in barattoli, in un apologo che attende soluzione: torneremo a riavere amicizia, onestà, sacrificio, rispetto per gli altri, amore disinteressato? Sono grandi domande rivolte a ciascuno, di cui la poesia si fa carico. Un forte monito etico attraversa i versi.
È la donna-natura a ridare salvezza, paragonata al mare in cui, leopardianamente, è "dolce abbandonarsi a te". L’Infinito del grande poeta rappresenta il femminile nella stagione "presente e viva". Il mare di Luchitta oltre alla dolcezza ha "furiosi impeti contro le rocce" accettati con abbandono totale. La dea natura è futuro:
"Dove ogni nuvola / È speranza / Dove ogni onda / È nuovo cammino."
La piccola vita nel borgo di Duino possiede la grazia del tempo antico mai perduto, descritto in modo naif, ancora una volta stile di tenerezza:
"L’arcigno castellaccio / è, invero, un cucciolone, / la piazza là di sotto, / piccola, è roba d’asinelli."
Il litorale regala una roccia simile a una donna velata, ed ecco rispolverato il mito di Venere ("Nuda sei nata dalla schiuma di bora"), con la mutazione della conchiglia nel vento tipico di queste terre. La Venere di pietra appare come "genius loci", materna protettrice.
Il Carso vivo ha pietre "ossa della terra". La donna sconosciuta apparsa sull’uscio di una casa (anch’essa di pietra) strappa un bacio al poeta:
"Quell’istante sublime / ora giace come gemma nascosta."
L’attimo, nella meditazione, si appaia al trascorrere inevitabile, alla fine del giorno, al sole "che nasconde, ora, il capo / nel mistico abbandono della notte".
Nel paesaggio, come già detto, non può mancare la Bora:
"Bora dà vita ai fantasmi del mare / Anima l’onda in lupi bianchi corsieri / Che inseguono timidi cervi pensieri."
Il mondo animale è fantasticamente intrecciato alla mente unita al resto. È raggiunta la comunione, così come negli affetti:
"Sotto il profumo dei tigli, / ritrovi il piacere dei baci, / e l’onda dei ricordi pensosa / ti sfugge senza rimpianti."
La donna archetipica sognata rende accettabile la morte:
"Chi sei [...] sei l’anima che non conosco...? / O la morte che rende dolce l’abbandono...?"
Eppure la paura di amare può distruggere e cancellare, come nella lirica Ascolta il passero, ma nella poesia successiva tutto può essere restaurato, affidandosi all’acqua e alla pioggia che penetra e unisce. Il femminile dell’essere è accolto, diventa il supremo valore. Il profumo della rosa "rinnova l’amore"; anche la magia dell’arte di una rosa intarsiata nel legno è parente stretta e affine alla rosa viva.
Abbiamo bisogno di questi messaggi bucolici e panici, oggi più che mai, visto il degrado ambientale, la mancata fratellanza umana con gli elementi, la tendenza a considerare "cosa" e "fuori di noi" in modo alienato la madre terra. Invece, dice la poetica dell’autore, la portiamo dentro nell’intimo, il nostro respiro è integrato nel grande respiro. In questo troviamo dignità e durata, pur con la consapevolezza del nostro transitare, perché esiste il ritorno:
“E col flauto antico / l’amore chiama ancora.”
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