Edita nel 1965, su iniziativa editoriale della “Società filologica friulana di Udine”, la raccolta Poesie dimenticate di Pier Paolo Pasolini comprende poesie friulane, alcune rimaste escluse dall’edizione de La meglio gioventù e altre, tra cui Un rap di ùva (Un grappolo d’uva, Ndr), riprese in buona parte nella silloge La nuova gioventù.
Curatore del progetto editoriale Luigi Cicere. Le poesie sono organizzate in quattro sezioni: “La Julia” (1943); “A Versuta” (1943-45); “Lieder” (1949); “Il Gloria” (1950-1953) e l’epigrafe riprende un verso della poesia Il Lòuzor (“Il chiarore”):
Chel ch’a si dismintìa a zova / pì di chel ch’a si recuerda.
Letteralmente: “quello che si dimentica, giova di più di quello che si ricorda”.
Un invito, si potrebbe dire junghiano, a sprofondare nella zona più sommersa per ripescare immagini obliate e portarle alla riflessione.
È al potere della memoria, al valore di Mnemosine su cui il poeta punta l’attenzione per trattenere qualcosa di smarrito.
Esplorare il mondo dell’inconscio significa pertanto attivare una memoria connessa con l’immaginazione, con la capacità di ricreare, di interrogare, di prendersi cura, attivando un pensiero libero da angosce e da paure.
Le parole di Pasolini non solamente esprimono un legame viscerale con la terra friulana, ma lo mostrano dolente per la percezione della coscienza del tempo che avanza e ogni cosa travolge.
Così diceva, scrivendo a un amico:
Ogni immagine di questa terra, ogni volto umano, ogni battere di campane, mi viene gettato contro il cuore ferendomi con un dolore quasi fisico. Non ho un momento di calma, perché vivo sempre proiettato nel futuro: se bevo un bicchiere di vino, e rido forte con gli amici, mi vedo bere, e mi sento gridare, con disperazione immensa e accorata, con un rimpianto prematuro di quanto faccio e godo, una coscienza continuamente viva e dolorosa del tempo.
È il caso adesso di dire qualcosa sulla suggestiva poesia Un rap di ùa (“un grappolo d’uva”) che si trova nel libro in parola: sono questi suoi versi tanto lievi e musicali, tanto leggiadri e freschi quanto portatori d’una malinconica bellezza. Il poeta abbraccia così il paradosso della vita la cui energia creativa è associata a un senso di perdita che apre una grande ferita nell’esistere.
Un grappolo d’uva di Pier Paolo Pasolini: testo
Mi soj insumiàt di mangià ùa,
un grignèl par volta,
da un rap verdulìn e plomp.
Dut il distìn di un omp,
li sdisgrassiis,
ta chè fres’cia ùa pena ciolta
e vecia coma il mond.
Tal sun, i soj jo ch’i mangi,
cun chista bocia
ch’a rit, puareta, disperada
ulì, ingianada
tal scur sun,
parsé che, ridint, a ghi tocia
mastià chè ùa impestada.
Jo i sclissi cui dinc’ als
parsé che co al mòur
o al mangia un al si vergogna:
coma s’i ves la rogna
i inglutìs
chei grignej fis tal luzòur
che sui muars al si poign.
Un grappolo d’uva di Pier Paolo Pasolini: parafrasi e traduzione
Mi sono sognato di mangiare uva, un acino alla volta, da un grappolo verdolino e fradicio. Tutto il destino di un uomo, le disgrazie, in quella fresca uva appena colta e vecchia come il mondo.
Nel sogno, sono io che la mangio, con questa bocca che ride, poverina, ingannata dal buio sogno, perché ridendo, deve masticare quell’uva impestata. Io la schiaccio coi denti alti, perché quando muore, o mangia, uno si vergogna: come se avessi la scabbia, inghiotto quei granelli fissi nel chiarore che si appoggia sui morti.
Un grappolo d’uva di Pier Paolo Pasolini: analisi e commento
La strategia è onirica come stimolo alla coscienza di occuparsi di cose indigeste ed è pur sempre la parola-racconto del sogno che nel modo più spontaneo e fluido evoca modi di pensare, eventi, vissuti che dischiudono il sapere emozionale. Il dolce si fa amaro; la vitalità, che diviene disperata, predispone a un destino dai buchi neri; manca un salvifico approdo e sono gli abissi d’oscurità a prevalere.
Sicché, il poeta, con lo sguardo rivolto al Leopardi delle Operette morali, ci consegna in un ritmo dolente la storia dell’uomo attraverso simboli e immagini.
La poesia è un’allegoria inventiva sulla tragicità del reale che impedisce alla bellezza di apparire. La ferita, affondando il taglio nel corpo, rivela un mondo degradato, inabissato nel regno di Ade.
Nella sofferenza, quindi, della Psiche. È un arguto ossimoro il grappolo verdolino e fradicio in cui si può scorgere quell’Italia del dopo la guerra dove gli spazi sono di distruzione e di miseria.
La metafora, una discesa agli inferi, ha il carattere di profonda corrosione che sarà poi la nota dominante delle visite entro il sottoproletariato romano delle borgate.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Un grappolo d’uva”: la poesia autunnale di Pier Paolo Pasolini
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