Un lavoro perfetto
- Autore: Tsumura Kikuko
- Genere: Autostima, motivazione e pensiero positivo
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Marsilio
- Anno di pubblicazione: 2021
La recensione di Lidia Gualdoni
Qual è il “lavoro perfetto”? Quello che ci permette di realizzare noi stessi e i nostri sogni, o quello con il miglior rapporto fra responsabilità e retribuzione? Quello che corrisponde esattamente alle nostre aspettative o, più semplicemente, quello che ci consente di vivere una vita dignitosa senza troppe preoccupazioni?
Infine, possiamo dire che esiste il “lavoro perfetto”?
Per la protagonista del romanzo della giovane scrittrice giapponese Tsumura Kikuko, Un lavoro perfetto (Marsilio, 2021, traduzione di Francesco Vitucci)
“Tutto è cominciato quando sono andata dalla mia consulente del lavoro e le ho chiesto un impiego vicino a casa e con mansioni semplici, tipo stare seduta tutto il giorno a controllare l’estrazione del collagene per i cosmetici. Non credevo che potesse davvero soddisfare veramente le mie richieste, ma in fondo non avevo niente da perdere”.
La giovane donna – che ha quattordici anni di esperienza alle spalle come assistente sociale e di cui non conosceremo il nome – si è licenziata dal lavoro precedente perché le ha tolto ogni energia e le ha causato un esaurimento nervoso. Tornata a vivere con i suoi genitori per rimettersi in sesto, una volta terminato il sussidio di disoccupazione, ha pensato di ricominciare a darsi da fare, ma senza troppa convinzione.
Ecco il motivo della strana richiesta alla signora Masakado, l’efficiente e paziente consulente dell’agenzia interinale:
“Vorrei un lavoro privo di sostanza, che sia al limite tra il gioco e l’impegno serio. […] Ma soprattutto, vorrei un lavoro da poter svolgere in completa solitudine”.
Una situazione, questa, che si ripete più volte senza che la donna si scomponga mai.
Nel primo lavoro proposto, la giovane deve sorvegliare il signor Yamamoto Yamae, che sbarca il lunario facendo lo scrittore: pare che un conoscente gli abbia messo in casa della merce di contrabbando a sua insaputa, probabilmente nella custodia di un dvd. Ne ha così tanti che durante una perquisizione non autorizzata non è stata trovata, ma sono state piazzate delle telecamere.
I turni interminabili, stare sempre seduta a visionare registrazioni, la noia mortale…
Gli aspetti negativi sono molti, ma il fatto di dover rendere conto a un solo capo, mette tutti i dipendenti allo stesso livello e semplifica molto le relazioni.
Tuttavia, la giovane, che si sente troppo coinvolta e incapace di gestire questa attività, non rinnova il contratto con l’agenzia di sorveglianza.
Il nuovo impiego consiste nello scrivere annunci pubblicitari che vengono registrati e trasmessi su una linea di autobus, oltre che sorvegliare, per conto del capoufficio, la signorina Eriguchi, la responsabile della formazione.
Grazie a questa esperienza, una volta conclusa, la giovane trova un altro lavoro, sempre a tempo determinato, per un’azienda che produce cracker di riso.
Il suo compito, “della massima importanza”, è creare contenuti per le confezioni: dovrà lavorare principalmente da sola, sostituendo un quarantenne che si è messo in aspettativa perché caduto in depressione!
Alla sua scadenza, anche questo contratto non viene rinnovato: la successiva richiesta è di un’occupazione da svolgere in solitudine e all’aperto.
La proposta della signora Masakado è di andare in giro per case e negozi a sostituire manifesti commissionati dal governo e senza scopi commerciali.
Peccato che la ragazza si trovi nuovamente coinvolta a causa della presenza di altri manifesti, affissi da un’associazione che invita le persone sole a partecipare a degli incontri presso la propria sede, così che, pur avendo svolto le proprie mansioni impegnandosi al massimo, perde anche questo impiego.
Quella che sarà l’ultima proposta dell’agenzia interinale viene dall’ufficio manutenzione di un parco pubblico, l’Obayashi Daishinrin: “un lavoro semplice, da svolgere in un capanno in mezzo al bosco”, ma non senza risvolti piuttosto inquietanti e misteriosi.
Alla fine di tutte queste esperienze – strane, inusuali, al limite del surreale, ma legate le une alle altre in modo sorprendente – è come se si chiudesse un cerchio.
La questione, infatti, non riguarda una professione specifica: chiunque può sentire la voglia di scappare da un lavoro in cui un tempo credeva, di allontanarsi da un percorso quando capisce che non è più quello giusto da seguire.
Bisogna però imparare ad accettare gli alti e bassi, e avere la forza di affrontare sfide sempre nuove, perché così è la vita. Per la protagonista – e forse per qualche lettore – questo rappresenta una nuova consapevolezza:
“È arrivato il momento di abbracciare di nuovo i miei alti e bassi. Non so quali problemi mi stiano aspettando dietro l’angolo, ma cambiare cinque lavori in così poco tempo, mi ha insegnato una cosa molto semplice: non si può mai sapere. Qualsiasi cosa si stia facendo, non c’è mai modo di sapere come andrà a finire: bisogna solo cercare di dare sempre il massimo, e sperare. Sperare che vada tutto per il meglio”.
La recensione di Nicoletta Stecconi
Come non farsi attirare dalla copertina di questo romanzo, Un lavoro perfetto? Osservatela: chi di noi non si è mai sentito così mentre è al proprio lavoro? Almeno una volta nella vita.
Ogni professione possiede i suoi pro e i suoi contro. Che siano nelle troppe incombenze, o al contrario nell’insussistenza di responsabilità o soddisfazione, o ancora a livello umano, colleghi buoni ma incompatibili caratterialmente, o viziati da sentimenti di malevolenza. Insomma, come in ogni cosa anche il lavoro perfetto non esiste!
Questo è il senso della storia che ci narra la giovane scrittrice giapponese Tsumura Kikuko, la cui protagonista, lasciata la sua professione per un esaurimento nervoso causato dalla grande responsabilità da cui si sentiva schiacciata, mediante un’agenzia interinale si butta in numerose esperienze lavorative precarie e dalle più svariate mansioni. Dalla videosorveglianza che somiglia più allo spionaggio alle pubblicità sui mezzi pubblici o sulle confezioni di cibo, dall’affissione di manifesti a scopo sociale fino alla custodia di un capanno in un grande parco pubblico. Tutte professioni dove sembra non essere richiesto un grande impegno in termini di responsabilità, nelle quali però la ragazza si troverà in ogni caso implicata moralmente più di quanto immaginasse.
Divertente osservare la tipologia delle professioni che, seppur accentuate dall’immaginario fantasioso dell’autrice, sono comunque indicative della cultura e società nipponica fin nelle sue più profonde accezioni. Accattivante il continuo riferimento alla cucina giapponese, pietanze dai nomi per noi impronunciabili che, tuttavia, attraverso gli apprezzamenti dei personaggi incuriosiscono assai il palato del lettore.
Grazioso e ironico, il racconto narrato in prima persona diverte e fa riflettere. Il surrealismo tipico della letteratura giapponese (dove ogni cosa che accade nel reale non è mai per caso ma ha un nesso esistenziale con l’inconscio più profondo e autentico della realtà) pone la lente sul significato ultimo di una narrazione che veste l’apparenza della leggerezza: ogni cambiamento porta a una crescita interiore, a volte facile a volte più difficile, talvolta concreta e più spesso solo in termini di evoluzione spirituale.
I cambiamenti (in qualsiasi campo della vita) sono essenziali anche quando non necessari, magari proprio per capire cosa sia veramente importante nella propria esistenza. Basta conservare, però, quella fondamentale capacità di leggere oltre la superficie delle cose. Perché, come insegna la giovane protagonista, in ogni esperienza così come in ogni essere umano con cui entriamo in contatto, c’è un aspetto positivo da cogliere, che sia anche solo quello che porta al raggiungimento di nuove consapevolezze.
Un lavoro perfetto
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Un lavoro perfetto
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