Ha 33 anni, è romano ed è cresciuto fino ai suoi 27 in una via che porta il nome del patrono dei giornalisti, Francesco di Sales. Fin dalla prima puntata di Quarto grado avete potuto vedere i suoi servizi in onda e dall’ottobre del 2012 avete avuto occasione di vederlo in veste di conduttore di Tgcom 24.
Stiamo parlando di Simone Toscano, con cui però, in questa occasione, abbiamo parlato soprattutto del suo primo romanzo Il Creasogni (Ultra edizioni, 2015): da circa dieci anni lo seguiamo come giornalista all’interno del gruppo Mediaset, ma questa volta Toscano decide di cimentarsi in un’impresa nuova, quella della scrittura letteraria. E ci riesce perfettamente.
Con l’autore parliamo de Il Creasogni, della sua professione e della sua carriera, senza tralasciare qualche riflessione sulla sua “dimensione uomo”.
- Giornalista del gruppo Mediaset dal 2005, hai già una ricca carriera giornalistica e vanti anche importanti collaborazioni (RomaUnoTv, inserto culturale de Il Foglio, Rai, La7 con Tetris, Mtv, oltre ad essere uno dei blogger/opinionisti dell’Huffington Post Italia). Da dove nasce, quindi, l’esigenza di scrivere un libro come Il Creasogni, così intimo e diverso rispetto al lavoro che svolgi?
Una prima idea del libro è sorta mentre ero in macchina, dopo una trasferta post terremoto de L’Aquila, nel 2009. Quando sono tornato a casa ho buttato giù il primo capitolo, molto simile a quello che è oggi. Ho scritto subito i primi due capitoli, poi mi sono fermato, non sapendo come portarlo avanti. Ho ripreso la storia in seguito, in un momento in cui ho riscoperto l’importanza della leggerezza, di non lasciarsi risucchiare solamente dalle questioni materiali della vita e dal lavoro. In realtà fin da subito, a mano a mano che andavo avanti col libro, ho capito che ciò che stavo elaborando era attinente anche al lavoro che faccio, perché proprio con il lavoro di giornalista racconto la parte più cruda del mondo, se vogliamo. Anche noi che ce ne occupiamo abbiamo bisogno di leggerezza appunto, di uno sguardo un po’ più disincantato. Chiaramente poi penso anche che sia bello raccontare delle storie di speranza, come ho cercato di fare con Il Creasogni. Sognare ti permette di gettare uno sguardo positivo al mondo, perché anche nelle piccole cose si può riscoprire lo stimolo a migliorarsi e migliorarci. Sorridi al mondo e il mondo ti sorriderà, questo è ciò che dico sempre.
- Quando parli di leggerezza mi torna in mente quella famosa “delicatezza” di cui hai parlato, di cui hai fatto menzione quando hai detto che questo libro è come se l’avesse scritto l’altra parte di Simone, quella che, appunto, cerca di mettere delicatezza anche rispetto ai casi di cronaca di cui si occupa.
Sì, è così, perché per me la delicatezza è fondamentale, ed è bene usarla anche in un lavoro come il mio. È basilare per me impiegare più tempo ed energie per fare un lavoro quanto più accurato, evitando così di ferire la sensibilità di chi intervistiamo o di chi è coinvolto comunque nella vicenda, ed anche la sensibilità di chi ci guarda da casa. Occorre essere sempre rispettosi, anche verso se stessi, e formulare domande che non feriscano nessuno, perché la notizia va saputa raccontare, e questa è una grande responsabilità che abbiamo. Il problema non è mai l’intervista in sé, ma è scegliere che tipo di domanda fare e come farla, per questo dico che c’è sempre una grande attenzione da parte di tutta la redazione di Quarto grado.
- A tal proposito, viene naturale pensare a quanti giudicano negativamente trasmissioni come Quarto grado, che si occupano di casi giudiziari e cercano in qualche modo di far luce su quanto accaduto. Come risponderesti a coloro che criticano il vostro lavoro, che definiscono i giornalisti come “sciacalli” e che credono che questo tipo di lavoro spetti solo alla polizia e agli inquirenti?
Io ovviamente parlo per Quarto grado e parlo da persona che lavora nell’ambiente da cinque anni. Dietro a tutti i nostri servizi c’è un lavoro minuzioso, di grande studio, perché non c’è una sola notizia che diamo che non sia basata su documenti. La gente forse non immagina, in realtà, quanta collaborazione ci sia tra noi e gli inquirenti, anzi spesso forniamo degli spunti ed i nostri servizi, i nostri ragionamenti e le nostre interviste vengono poi richiesti dagli inquirenti stessi, che ci contattano e usufruiscono del nostro materiale. Molte sono le cose che scegliamo di non mandare in onda, oltretutto, per non urtare la sensibilità di nessuno e per non intralciare le indagini.
- Come accennato in precedenza, in quanto giornalista puoi vantare un curriculum molto ricco. Tra tutte le esperienze fatte e che sono ancora in corso, qual è quella che ti ha dato di più?
Tutte le esperienze che ho fatto mi hanno lasciato qualcosa, perché ognuna è diversa dall’altra e mi ha insegnato qualcosa. In Mediaset ho lavorato nel 90 per cento delle produzioni, per tutti i programmi o i tg ho realizzato almeno un servizio. Sono passato per diverse tipologie di servizi, da quelle che durano un minuto a quelle che durano anche un quarto d’ora, per i settimanali di approfondimento. Sono quindi passato dalla cronaca estera o dalla politica per i tg, alla cronaca giudiziaria per Quarto grado. Poter cambiare è bello, soprattutto nella prima fase, quando sei ancora all’inizio, perché impari diversi linguaggi, completamente differenti tra loro, ed hai anche un’infarinatura generale che ti aiuta poi a scrivere e a sviluppare un racconto in modo più particolare. Grazie a questo lavoro, poi, ho avuto anche l’opportunità di girare molto l’Italia e quindi di conoscere vari aspetti della psicologia umana di chi ho incontrato, ma anche la psicologia della società in cui viviamo, oltre ad arricchirmi dal punto di vista culturale. Chiaramente l’esperienza a cui sono più legato ora è Quarto grado, ma sono anche legato all’esperienza di conduzione a Tgcom 24, perché è stata una palestra bellissima.
- Veniamo ora al tuo romanzo, Il Creasogni. Il protagonista principale è il Signor Ettore, uomo apparentemente freddo e schivo, che crea sogni per gli altri, incapace ormai di sognare per sé. Dove hai trovato l’ispirazione per un personaggio così particolare? C’è forse qualche elemento autobiografico all’interno?
Devo dire che inizialmente la sfumatura del SignorEttore come uomo schivo e burbero non c’era, è venuta in seguito. È servita soprattutto a dare tridimensionalità al personaggio, perché a mano a mano che andavo avanti con la storia mi rendevo conto che il protagonista stava letteralmente prendendo vita. Questo personaggio stava crescendo e tutto il libro era un po’ una crescita interiore, un processo di riscoperta della leggerezza e dell’importanza del sognare. Qualche elemento autobiografico c’è, ma nella misura in cui io cerco, come Ettore, pur non avendo chiaramente il suo potere di creare sogni, di dare alle persone che incontro e che magari stanno vivendo un momento difficile, un sorriso di speranza. Il mio cerca sempre di essere un sorriso autentico, non di semplice circostanza, ma vuole esprimere positività. Nel libro il protagonista fa un percorso particolare: in gioventù sapeva sognare, possedeva questa gioia di vivere e ne era preso, coinvolto, ma ad un certo punto crede che tutto questo lo stia portando fuori strada, che lo allontani dalla realtà e dalle incombenze materiali e lavorative. Perciò fa l’errore di perdere di vista tutto quello che aveva prima, perché gli sembra di essere uno stupido che possiede questa capacità di sognare, salvo poi accorgersi, quando ormai è tardi, che proprio questa capacità è ciò che gli mancherà di più.
- L’elemento chiave che percorre e che tiene in piedi tutto il romanzo è l’Amore, in tutte le sue sfaccettature: l’amore amicale, l’amore per la famiglia, l’amore tra uomo e donna. Ti chiedo quindi: quanto è importante per te l’Amore e quanto condiziona le tue scelte di vita?
Io credo principalmente che l’Amore vero non ha bisogno di scelte, né da fare né da richiedere, così come non ha dubbi. Chi ama veramente non chiede all’altra persona di scegliere, perché la persona che scegliamo di avere accanto è quella che ci deve supportare e che ci sta accanto tanto nei momenti belli quanto in quelli brutti. Bisogna considerare l’altro come il più importante, e se questo lo si fa reciprocamente allora si trova il vero e sano equilibrio di coppia, perché ci si prende cura l’uno dell’altro. Nel libro poi emerge anche la componente dell’affetto, quello che si può provare anche per uno sconosciuto in un certo momento della vita. Anche Davina nel libro, che di certo non ha una valenza positiva, in realtà rivela un barlume di affetto per Catello, perché si mette nei suoi panni, sa cosa sta passando perché hanno vissuto la stessa storia, le stesse esperienze. C’è in questo libro un desiderio di aprirsi al mondo e di non rimanere chiusi in se stessi, quindi di aprirsi anche alla vita, all’amore, all’affetto. Anche Ettore riesce a dimostrare affetto a Catello, ma solo alla fine, quando entrambi abbassano le loro difese e assistiamo ad una vera e propria esplosione di affetto con quel “Famiglia! Famiglia! Famiglia!”. Questo romanzo nasconde diverse chiavi allegoriche, perché cela un vero percorso di crescita del protagonista e non solo.
- Parli di sogni nel romanzo, ma nella prima parte del libro il termine “sogni” viene sostituito quasi a quello di “illusioni”: sono la stessa cosa, quindi, sogni e illusioni?
No, chiaramente non sono la stessa cosa. Il termine “illusione” che utilizzo all’inizio del libro ha una valenza diversa da quello che definisco “sogno” a mano a mano che si procede con la lettura. “Illusione” lo uso quando il percorso alla scoperta dell’importanza dei sogni non è ancora compiuto. Se visto in maniera critica il sognatore è una specie di fanfarone, una persona inconcludente e poco pratica, mentre se visto in modo positivo il sognatore è colui che guarda al mondo con positività. Questa è la sottile differenza, tra chi sogni con i piedi per terra e chi invece ha perso il contatto con al realtà. Per chi attraversa momenti difficili il sogno può essere visto inizialmente come un qualcosa che ci fa perdere tempo, ma se invece riusciamo a vedere il sogno come uno stimolo, allora non è più illusione ma speranza.
- Nel libro scrivi: “A volte i ricordi restano sepolti in alcuni campi lontani, nella mente. Ma sono sempre lì, pronti a tornare magari dopo anni, per influenzare le nostre scelte, le nostre vite”. Che rapporto hai con i ricordi e con il passato?
Sono molto legato ai ricordi, perché i ricordi belli li tengo in un cassetto e quando ci ripenso mi regalano rinnovati momenti di gioia, mentre quelli brutti sono utili anche per non incappare negli stessi errori, per cercare quantomeno di non ripeterli. Da amante della storia quale sono, credo che il passato serva per comprendere il presente e per capire il futuro, tentando di non commettere i medesimi sbagli, ovviamente.
- L’elemento del circo all’interno del romanzo assume una valenza negativa, perché è il punto focale attorno a cui ruotano il divertimento e la bellezza a buon mercato, quella che ci attrae ma che poi nasconde un lato oscuro, l’altra faccia della medaglia. Si può considerare, per questo, una metafora della società in cui viviamo?
In parte è sicuramente così, sì. È chiaro il ruolo di una società che ci divora, una società dell’apparenza, dell’immagine, che porta con sé in realtà delle sfaccettature che inizialmente non si vedono, ma che paradossalmente vanno proprio ad annullare la personalità, ad omologare e ad appiattire. Ci sono fin troppe sovrastrutture che portano il singolo alla chiusura: il fatto di avere una chiave di lettura imposta per tutto quello che c’è nella società è un fattor estremamente negativo. Infatti alla fine del libro c’è proprio una liberazione rispetto a questa chiave di lettura, una liberazione dalla dominazione dell’omologazione. Alla fine si riesce a riscoprire l’essenza vera del gioco, del divertimento e si riesce a viverlo in modo semplice, come fanno i bambini. Faccio il paragone con Il piccolo principe, un romanzo che consiglio e a cui sono molto legato, proprio perché è un libro in cui come protagonista abbiamo un bambino che riesce a far ritrovare, soprattutto ai grandi, i concetti essenzialmente semplicissimi e puri della vita. Con naturalezza.
- E per quanto riguarda i nomi? Sono tutti molto originali, da dove hai tratto ispirazione?
Beh, alcuni nomi hanno un esplicito rimando alla mitologia classica, come ad esempio quello del protagonista, Ettore, o proprio il nome di Pindaro, che si svela alla fine del romanzo e che richiama proprio i classici “voli pindarici”, associabili proprio all’idea del sogno. Volevo dei nomi che non avessero niente a che fare con la realtà di tutti i giorni, che non rimandassero a nulla dei luoghi, delle zone, o dei periodi storici che conosciamo. Avevo bisogno di nomi che si adeguassero al tipo di racconto, sospeso nel tempo, come qualcosa di favolesco. Difatti il romanzo potrebbe essere considerato proprio una favola per adulti. Il nome di Melissa, invece, mi è venuto nei giorni in cui mi trovavo a Brindisi, durante l’episodio dell’attentato alla scuola, in cui è stata colpita a morte proprio una ragazza di nome Melissa. Questa vicenda mi aveva colpito molto e ho voluto scegliere questo nome per il mio personaggio, che doveva rappresentare una ragazza molto dolce che si trovava a vivere un momento di grande difficoltà, per rendere omaggio a questa ragazza, per cui ho provato una grande pietà.
- Il Creasogni è uscito il 25 marzo in libreria e sabato 18 aprile ci sarà la prima presentazione a Napoli del tuo libro. Hai in mente qualche altro progetto, qualche altra storia da raccontare?
Sicuramente tornerò a scrivere, visto anche che la scrittura in generale è parte integrante della mia vita. Mi piacerebbe poter mettere per iscritto le storie di cui mi occupo quotidianamente e che meriterebbero di essere portate nero su bianco, anche se devo ammettere che questa chiave favolistica mi piace molto e sono già affezionatissimo al personaggio di Ettore. Probabilmente quando arriverà il momento giusto tornerò certamente a raccontare una storia, non so ancora se in compagnia degli stessi personaggi de Il Creasogni o con altri, nuovi.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Una favola per adulti che aiuta a crescere: Simone Toscano parla de “Il Creasogni”
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