Una pedina sulla scacchiera
- Autore: Irene Némirovsky
- Casa editrice: Adelphi
- Anno di pubblicazione: 2013
In quel crepuscolo ottobrino Christophe Bohun “come sempre, era stato il primo a correre fuori dall’ufficio, quasi fuggisse da una casa in fiamme”. Il quarantaduenne “alto, di corporatura asciutta e giovanile”, assetato di buio e di silenzio, aveva mormorato sottovoce tra sé “per oggi è finita”. Christophe mentre aspirava con avidità il fumo della sigaretta aveva in testa un solo pensiero:
“una giornata archiviata... una giornata in meno da vivere... grazie al cielo...”
L’uomo in quella sera di un autunno parigino guardava sciamare “il grigio stuolo di impiegati, con i loro cappelli frusti e i lori ombrelli neri” da quell’edificio austero stile “vecchia Francia” voluto dal vecchio Bohun padre, novello Attila (“dove passa lui crescono solo rovina e guerra”). Da otto anni l’azienda di rilevanza internazionale creata dal finanziere dell’acciaio di origine greca James Bohun si trovava nelle mani dell’avido Beryl, quell’oscuro agente “che aveva rastrellato commesse per conto del suo capo trafficando con il petrolio e l’acciaio”. Christophe Bohun, mancato erede della fortuna di famiglia, dopo il crac paterno del 1925 lavorava come semplice impiegato alle dipendenze di quella canaglia, il quale il giorno prima dopo essere stato insignito di un’onorificenza, durante il discorso di ringraziamento aveva detto:
“Signori, ho consacrato la mia vita a un ideale: la gloria della Francia sulla scena internazionale, ottenuta con mezzi pacifici”.
Le auto scorrevano lente verso l’Opéra e Christophe una volta salito sulla propria macchina come ogni sera si era fermato in un piccolo bar ancora buio e deserto. L’uomo si era seduto su di uno sgabello, aveva ordinato un bicchiere di champagne mentre distrattamente sfogliava i giornali dai titoli poco rassicuranti: Caduta del dollaro... Disoccupazione... Crisi... Deficit in bilancio... Marcia della fame su Londra. Nel locale attorno a Christophe uomini come lui che uscivano dalla loro piccola galera quotidiana, l’ufficio, la banca, che andavano lì per bere e per stare in pace “in vista dello sforzo supremo che rimaneva da affrontare prima della notte misericordiosa: la cena in famiglia”. Quella famiglia che era un fascio di esistenze diverse legate solo dalla necessità. Nell’appartamento situato in un alto edificio d’angolo che dominava la Senna in avenue Marceau, che conservava qualche traccia del passato splendore, vivevano oltre a Christophe, l’anziano Bohun, sua nuora Geneviève Courtenay di estrazione borghese, il figlio diciottenne di Christophe e Geneviève, Philippe e Murielle de Pena, una nipote del vecchio Bohun. Christophe costretto tra l’indifferenza e l’avversione per sua moglie il cui viso, dimenticato, si confondeva con i mobili e le stanze silenziose e la mai spenta passione per Murielle che lo aveva sempre amato, aveva da tempo intuito che l’unico rimedio alla fatica era di inabissarsi “nel sonno più profondo, più nero e più privo di sogni che si potesse immaginare”. Chiuso nella sua camera il finanziere, che aveva da tempo abbandonato la scena del mondo, rivangava la sua vita passata, la sua infanzia in Grecia e i suoi momenti di gloria. Bohun avrebbe concluso presto un’esistenza lunga e difficile, “piena di vani trionfi e di oscuri disastri” e l’unica eredità che avrebbe lasciato a suo figlio (che apparteneva a quella generazione che aveva elevato la pigrizia a rango di religione) consisteva in una busta sigillata che conteneva documenti preziosi. Date, cifre e nomi di parlamentari, di giornalisti e di finanzieri compromessi che erano stati sul libro paga di Bohun. “La mia eredità, Kit”. L’imbelle Christophe si sarebbe servito di quelle carte che valevano una fortuna? “Non dare troppo affetto a tuo figlio Kit...”.
“Una pedina sulla scacchiera” (titolo originale del volume: “Le pion sur L’échiquier”) fu redatto dall’autrice tra la fine del 1932 e l’inizio del 1933 e pubblicato nella primavera del 1934, alcuni mesi dopo il suicidio del finanziere francese Serge Stavisky che aveva coinvolto nei suoi affari privi di scrupoli una buona parte della classe politica e imprenditoriale del suo paese. Anche Christophe come i suoi coetanei è un figlio perduto del capitalismo e fa parte di quella generazione della crisi, debole, pigra, pusillanime i cui padri “hanno mangiato l’uva acerba, e i denti dei figli si sono allegati” (La Sacra Bibbia- Ez. 18).
Se nel 1939 John Steinbeck in Furore (The Graphes of Wrath 1939), romanzo simbolo della Grande Depressione americana degli Anni Trenta, avrebbe raccontato ciò che accadeva oltre l’Oceano Atlantico, Irène Némirovsky cinque anni prima già aveva narrato i cupi anni europei seguiti al crollo di Wall Street del ’29. Uomini e donne per i quali l’amore e il piacere erano così poca cosa.
“Perché si continua a vivere?”.
“Per abitudine, suppongo”.
Individui come Christophe: pedine in una scacchiera, che non era gioco ma la vita.
“Tutti gli esseri viventi vanno in cerca di gioia, per lui non ce ne sarebbe più stata”.
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