Una vita di Italo Svevo viene definito un libro dedicato all’inettitudine, secondo quanto intendeva l’autore, il quale non alludeva alla mancanza di valore dei personaggi. Questi ultimi non sono i "vinti" di Giovanni Verga, i poveri che subiscono ingiustizie e pur lottando si ritrovano sempre in coda. Gli "inetti" di Svevo sono di un’altra natura: rappresentano la risposta, la resistenza passiva alla mancanza di senso di una società meramente mercantile, utilitaristica, basata sull’apparenza del perbenismo borghese. L’uomo sensibile, inserito in un tale contesto, diventa un disadattato. La sua diversità è quasi un segno distintivo di qualità.
Svevo scrive il romanzo davvero per tenersi in vita, per sopravvivere come artista. È l’occhio critico sulla società a lui contemporanea, e prototipo di ogni società nei suoi aspetti soffocanti e repressivi.
Le ragioni dell’insuccesso
Lo scrittore pubblicò il libro nel 1892 a sue spese, con l’editore Vram, riscontrando il più assordante silenzio in campo letterario. Ciò per almeno tre ragioni: la prima riguarda l’isolamento artistico dell’autore; la seconda sta nella novità stilistica, nell’abbandono di canoni espressivi stereotipati, privilegiando la spontaneità del "flusso di coscienza" (James Joyce ne comprese subito l’ottima qualità); la terza è che nessun gruppo ama essere guardato così a fondo come sotto una lente d’ingrandimento e nessuno ama scoprire in sé tratti psicologici sgradevoli o ritenuti tali, insufficienza decisionale, carenza di responsabilità, tentennamento, insicurezza, paura. L’analisi e l’autoanalisi di Svevo sono continue e minuziose; per noi oggi rappresentano il fascino e la bellezza del testo e la bellezza è sorella della verità.
La trama di Una vita
Molto in sintesi la trama: il giovane Alfonso Nitti, colto e di belle speranze, giunto da un paesino a Trieste come impiegato di banca, mal si adatta alla vita della città e ai ritmi di un’esistenza monotona priva di sogno. Sognatore nato, calato nel mondo interiore per indole, rappresenta ciò che Freud ha definito "disagio della civiltà", lo scollamento tra istinto e ragione. Svevo è lapidario al riguardo:
"L’uomo dovrebbe poter vivere due vite: una per sé e l’altra per gli altri.”
Il dramma rappresenta pure il conflitto tra campagna, vita più spontanea e genuina, e città. Montale scrive che il caso Alfonso Nitti è un "disastroso caso di inurbamento”.
Nel descrivere Trieste, che è bellissima, in un momento “no”, pieno di brume, Svevo-Alfonso commenta:
“Era grigia e triste. […] Era là dentro, in quell’alveare, che la gente si affannava per l’oro…”
Sembra di sentire l’eco biblico di Nabucodonosor (Libro di Daniele), quando il monarca fa costruire una statua d’oro da adorare. È l’alienazione antica e sempre nuova nelle cose, esistenza ferma all’avere, l’oro appunto, dimentica dell’essere, tanto dolorosamente avvertita dall’artista.
Alfonso, invitato con altri impiegati a un incontro mondano e letterario nella bella casa del principale, il banchiere Maller, si innamora della di lui figlia, Annetta, ricambiato. Non riuscirà ad accettare il dono di un amore appassionato per paura delle sue stesse emozioni. La ragazza invece si abbandona totalmente all’esperienza amorosa, e la vorrebbe totale, assoluta:
"La vita era quella che le dava lui quando la baciava; il resto non valeva niente. […] Annetta ripeté la sua dichiarazione parecchie volte durante la notte mutandone la forma: - Sposare quel ragionatore ch’è mio cugino Macario perché è ricco!”
Non intende farlo… ma lo farà. Nitti di fronte alla responsabilità del matrimonio fugge. La scusa plausibile è il suo ritorno al paese per assistere la madre malata, che muore. Al suo rientro a Trieste tutto è mutato, Annetta offesa nel sentimento si è promessa sposa a Macario, collega di Alfonso, che viene anche demansionato in ufficio.
L’uomo vorrebbe spiegarsi con la ragazza, ma al loro appuntamento giunge il fratello di lei e lo sfida a duello. Nitti non teme la morte ma non la vuole per mano di Federico, sarebbe disonorevole. Prima del duello preferisce suicidarsi.
Recensione del libro
Una vita
di Italo Svevo
Il complesso edipico
Nella storia appare in controluce il complesso edipico non superato del protagonista; in modo criptico è questo il "leit motiv" di tutta la vicenda. Il primo capitolo si apre con la corrispondenza tra Alfonso e sua madre, nella quale si nota un trasporto davvero eccessivo, assorbente. Essi si dichiarano capaci di leggere una nell’altro con una possessività che non lascia spazio a terzi. Un legame tanto forte comporta dipendenza, il cordone ombelicale psichico non è stato mai tagliato tra madre e figlio. È una simbiosi così indissolubile che neppure l’amore di una donna riesce a spezzare. Solo quando tutto è perduto, quando Annetta prova disprezzo per l’ex innamorato, quest’ultimo comprende che l’avrebbe amata. Si ritiene inadatto alla vita e di lui non resterà che un intenso odore di carbone nella stanza in cui viveva in affitto. Suicidandosi, riacquista onorabilità ai suoi stessi occhi; pensa inoltre che il gesto potrà rivelare il suo amore veritiero:
"Non lo conosceva; in tanto tempo in cui egli l’aveva amata, ella non aveva saputo comprendere quanto schietto e onesto fosse il suo carattere. Questo era il doloroso, non che Federico probabilmente lo avrebbe ammazzato! […] Non voleva vivere dovendo continuare ad apparirle quale un nemico spregevole sospettato di voler danneggiarla…”
Pensa di scrivere ad Annetta, poi vi rinuncia, immagina il “disturbo e il pericolo che poteva essere per lei una tal lettera”. Non era concepibile, nella mentalità di allora, che una donna avesse amato un altro prima del promesso sposo.
Se "libertà va cercando", scrive Dante riguardo a Catone uticense, che nel secondo secolo a.C. si suicida per motivi politici, Alfonso Nitti nella morte cerca la dignità perduta e un balsamo al dolore atroce per non riuscire più a sentirsi parte di una vita mutilata.
Svevo aveva letto Schopenhauer, conosceva la filosofia della “nolontà”, la rinuncia alle passioni. Nel libro si sente l’eco di questo pensiero, ma il filosofo non si suicidò, e neppure Svevo. La grande letteratura e la cultura sublimano, simbolizzano quanto è eccessivo, facendo superare, nella finzione, anche la realtà più insopportabile.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Una vita: trama e analisi del romanzo di Italo Svevo
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