Ripenso il tuo sorriso, ed è per me un’acqua limpida fu scritta da Montale nel 1923, a soli ventisette anni. Tutte le poesie giovanili di Eugenio Montale a ben vedere sono poesie di memoria, il tema ritorna come un tarlo, sembra aprire uno squarcio nella poetica dell’autore favorendone, a posteriori, un’analisi.
Il passato che ritorna, sotto forma di ricordo, insinuandosi nel presente, talvolta in maniera irrispettosa o non richiesta, oppure evocato e quasi celebrato, rappresenta uno dei leitmotiv dell’intera opera montaliana. La memoria è qualcosa che torna indietro, mentre il tempo irrevocabilmente si allontana come la marea che lascia detriti sulla riva: questo duplice movimento (tra l’altro fluido, acquoreo) accompagna come un’ombra l’evoluzione poetica di Montale da Ossi di seppia (1925) a Le occasioni, raccolta del 1939 in cui il tema del tempo diventa centrale e nella quale troviamo le poesie più celebri dedicate alla dimenticanza e all’abisso dell’oblio, come La casa dei doganieri in cui la casa sulla scogliera si fa cronotopo e correlativo oggettivo della memoria e Non recidere forbice quel volto, in cui i silenziosi circuiti del ricordo si fanno metafora.
Interessante notare anche il legame con l’acqua, elemento denotativo del paesaggio ligure, che sembra intessere come un filo invisibile la poesia di Montale: dall’equorea creatura, Esterina in Falsetto, a Cigola la carrucola del pozzo sino a Ripenso il tuo sorriso ed è per me un’acqua limpida, il ricordo sembra sempre sorgere da uno specchio d’acqua, quasi fosse necessaria una sorgente liquida per farlo apparire e manifestarsi. Anche in questa poesia, Ripenso il tuo sorriso, il legame con l’acqua è immediato: lo instaura il poeta attraverso una similitudine di matrice quasi petrarchesca (si avverte l’eco di Chiare, fresche et dolci acque). Il sorriso è come l’acqua limpida; attraverso questo paragone Eugenio Montale ci stava donando, forse inconsapevolmente, una delle immagini più intense e rasserenanti della poesia italiana, unita a quel verbo iniziale “ripenso” che subito impone il cortocircuito del ricordo, donando ai versi un tono dolcemente malinconico.
Ripenso il tuo sorriso è contenuta nella prima raccolta di Montale Ossi di seppia, edita da Piero Gobetti, l’“Editore ideale” che è stato uno dei più strenui esponenti dell’antifascismo, nel 1925.
A differenza di quanto si potrebbe immaginare il componimento non è dedicato a una donna, ma il sorriso cui fa riferimento Montale è un sorriso amicale, quello del ballerino e pedagogo russo Boris Kniaseff.
Vediamone più approfonditamente testo, parafrasi e analisi.
“Ripenso il tuo sorriso” di Eugenio Montale: testo
Ripenso il tuo sorriso, ed è per me un’acqua limpida
scorta per avventura tra le petraie d’un greto,
esiguo specchio in cui guardi un’ellera i suoi corimbi;
e su tutto l’abbraccio d’un bianco cielo quieto.Codesto è il mio ricordo; non saprei dire, o lontano,
se dal tuo volto s’esprime libera un’anima ingenua,
o vero tu sei dei raminghi che il male del mondo estenua
e recano il loro soffrire con sé come un talismano.Ma questo posso dirti, che la tua pensata effigie
sommerge i crucci estrosi in un’ondata di calma,
e che il tuo aspetto s’insinua nella mia memoria grigia
schietto come la cima d’una giovinetta palma...
“Ripenso il tuo sorriso” di Eugenio Montale: parafrasi
Ripenso al tuo sorriso ed è per me come un’acqua pura e limpida scorta all’improvviso sgorgare tra le pietre del fondo del fiume.
È come lo specchio d’acqua in cui guardi l’edera con le sue fioriture a grappolo, e l’abbraccio di un intero cielo bianco e calmo.
Questo è il mio ricordo, non saprei dire ora, o caro lontano, se dal tuo volto si sprigiona adesso uno spirito libero e ingenuo, oppure se sei tra gli esuli che il male del mondo tormenta e portano con sé la loro sofferenza come un talismano.
Ma posso dirti che ora il tuo ricordo sommerge le mie collere e le mie afflizioni in una ritrovata calma. Il tuo aspetto si insinua nella nebbia grigia della mia memoria autentico e spontaneo come la cima di una giovane palma.
“Ripenso il tuo sorriso” di Eugenio Montale: chi è il dedicatario?
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Questo componimento fu pubblicato nelle varie edizioni di Ossi di seppia con una dedica precisa ed enigmatica: “A K.”. Quel nome puntato, apparentemente indecifrabile (forse una Katherine? avranno pensato i più maliziosi) stava in realtà a indicare Boris Kniaseff, il ballerino russo da cui Montale era rimasto abbagliato vedendolo danzare sul palcoscenico del Teatro Verdi di Genova.
Tempo dopo il poeta avrebbe avuto l’opportunità di conoscerlo di persona nello studio di un amico comune, lo scultore Francesco Messina. Il riferimento maschile al dedicatario della poesia si evince già nella seconda strofa dove è scritta precisamente l’allocuzione al dedicatario, ovvero: “O lontano”.
In questi versi Montale non si riferisce dunque alla donna amata, ma a un amico. Questo particolare è stato spesso equivocato perché nelle più recenti versioni della poesia, soprattutto nelle edizioni scolastiche, è stato tolto il riferimento al dedicatario e anche la dedica: caso che provocò parecchio sconcerto nel corso degli Esami di Stato nel 2008 dove una traccia rischiò di essere invalidata per un errore, dato che ai candidati veniva richiesto di commentare il “ruolo salvifico della figura femminile”.
Secondo la testimonianza del critico Silvio Ramat, Montale all’epoca non scrisse per intero il nome di Kniaseff per non essere tacciato di omosessualità, tema molto sensibile all’epoca.
Trent’anni dopo il poeta ligure sarebbe tornato a parlare di Boris Kniaseff, quando scriveva recensioni di spettacolo per il “Corriere di informazione” (in quel periodo dedicò anche una poesia a Carla Fracci). Il ballerino russo dal “sorriso come l’acqua limpida” a quel punto ne aveva fatta di strada, Montale lo avrebbe citato ricordando il suo ruolo come coreografo nella prima di La fiera di Soročincy di Musorgskij tenutasi al “Teatro La Scala” nel maggio del 1955.
“Ripenso il tuo sorriso” di Eugenio Montale: analisi e commento
Come accade spesso nelle poesie di Montale (pensiamo a Cigola la carrucola del pozzo: “l’acqua sale alla luce e vi si fonde, nel puro cerchio un’immagine ride”) la memoria risorge dall’acqua. Così il sorriso dell’amico perduto riaffiora nella memoria del poeta ed è come uno specchio di acqua limpida che si distende rasserenante nel mezzo del male di vivere: l’acqua zampilla, non a caso, sul fondo del greto del fiume, là dove stanno le rocce. Il primo verso è una metafora perfetta per descrivere il procedimento di cura e di ricucitura che continuamente opera la memoria, come un sortilegio incantatorio, nella mente umana.
Il ricordo di quel sorriso luminoso riporta calma tra i pensieri nebbiosi e cupi del poeta, lo distoglie, anche se solo per un momento, dall’amara pena del vivere. L’intero scenario naturale evocato nella prima strofa infonde un senso di benessere: Montale si sofferma sui fiori dell’edera che si riflettono nell’acqua, sul cielo si riflette sull’intero paesaggio, avvolgendolo come in un abbraccio. L’evocazione del paesaggio, anche in questo caso, rappresenta l’estensione di una metafora: con questa rappresentazione il poeta intende suscitare le stesse sensazioni di pace e distensione che il ricordo di quel sorriso ha provocato nella sua mente.
Nella seconda strofa torniamo bruscamente alla realtà, quando il poeta contrappone al “dolce e pio passato” il presente, con le sue rivoluzioni e le sue guerre. Ora Montale si chiede se l’amico abbia mantenuto la sua ingenua contentezza, oppure si trovi tra gli esuli, tra la gente in fuga tra le due guerre mondiali. Ritorna qui un elemento cruciale nella poetica montaliana: il talismano, lo stesso oggetto salvifico tenuto da Dora Markus nella raccolta Le occasioni (1939) sotto forma di amuleto.
In questa analogia le persone di Boris Kniaseff e Dora Markus sembrano, per un momento, equipararsi, sebbene le poesie siano state scritte a oltre un decennio di distanza. Entrambi sono accomunati da un oggetto salvifico, un talismano che si fa portatore della loro sofferenza e, in questo modo, la distacca da loro: è come se Ripenso il tuo sorriso anticipasse la poesia dedicata a Dora Markus:
ti salva un amuleto che tu tieni
vicino alla matita delle labbra,
al piumino, alla lima: un topo bianco,
d’avorio; e così esisti!
Il ricordo sta passando, ma ecco che il poeta cerca di trattenere ancora per un momento la forte emozione che esso gli ha suscitato. Ritorna un’altra immagine tipicamente montaliana: l’autore dà alla memoria un colore, la descrive come “memoria grigia”, simulandone l’opacità, l’inafferrabilità e forse anche l’inaffidabilità.
Ritroveremo questa immagine in “questa poca nebbia di memorie” de La casa sul mare:
Tu chiedi se così tutto svanisce
in questa poca nebbia di memorie;
se nell’ora che torpe o nel sospiro
del frangente si compie ogni destino.
Poesia in cui ancora curiosamente ritorna l’acqua che scende e che sale, come nella carrucola del pozzo e si fa allegoria dello scorrere del tempo.
Un giro: un salir d’acqua che rimbomba.
Un altro, altr’acqua, a tratti un cigolio.
Nella strofa finale il giovane Montale propende, però, per la conclusione mitica: il linguaggio si alza, diventa aulico. Alla maniera solenne dei poeti antichi l’autore dice: “la tua pensata effigie”. Nella similitudine conclusiva, “schietto come la cima d’una giovinetta palma”, Montale paragona Boris Kniaseff a una giovane palma. Non si tratta di un’immagine casuale, naturalmente, il poeta la sta importando dai versi dell’Odissea di Omero, quando Ulisse cerca di spiegare l’incomparabile bellezza di Nausicaa paragonandola a una “pianticella di palma”.
Con queste esatte parole infatti Ulisse si rivolge a Nausicaa quando la incontra nei boschi per la prima volta, nel “VI Libro” dell’Odissea:
Mai cosa simile ho veduto con gli occhi,
né uomo, né donna: e riverenza a guardarti mi vince.
In Delo una volta, così, presso l’ara d’Apollo,
vidi levarsi un fusto nuovo di palma:
sì, giunsi anche là. (...)
Così, ammirandolo, fui vinto dal fascino
a lungo, perché mai crebbe tale pianta da terra,
come te, donna, ammiro, e sono incantato.
Ecco dunque spiegata la curiosa similitudine di Eugenio Montale: la “giovinetta palma” di Ripenso il tuo sorriso altro non è che “un fusto nuovo di palma” di omerica memoria. Agli occhi del giovane poeta i movimenti sinuosi del ballerino russo dovettero ricordare quella stessa palma evocata dal grande poeta antico che, con quella metafora esotica, spiegava l’incanto e il fascino duraturo che un’altra persona è capace di esercitare sul nostro immaginario.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Ripenso il tuo sorriso, ed è per me un’acqua limpida”: la poesia di Eugenio Montale per il ballerino russo
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