Verismo e positivismo
- Autore: Vittorio Spinazzola
- Genere: Scuola
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Garzanti
Vittorio Spinazzola (1930-2020) è stato un docente di letteratura dell’università di Milano e un grande critico letterario, non noto al grande pubblico ma solo agli studiosi e agli appassionati di letteratura italiana.
Ha scritto sui più grandi autori e su quasi tutti gli ismi dell’Ottocento e del Novecento. È stato un autore molto prolifico. Si è occupato anche dei bestseller, della loro fenomenologia, della letteratura di consumo: insomma non ha mai fatto distinzioni nette e categoriche tra cultura alta e cultura bassa, ha scritto all’insegna della “democrazia letteraria” (tanto per citare una sua opera), si è occupato anche di Carlo Cassola quando il gruppo ’63 lo criticava a 360 gradi e perfino di autori "leggeri" come Paolo Villaggio. Quindi si è occupato di tutto senza snobbare niente e nessuno; ha studiato ciò che piaceva al raffinato intellettuale e ciò che piaceva alle masse.
In questo saggio corposo dal titolo Verismo e positivismo (Garzanti, 1977) studia il Verismo e il suo rapporto con la cultura dell’epoca con grande rigore filologico e grande acume critico.
Inizia con l’atteggiamento anti-umanista verista, con il debito del Verismo nei confronti del positivismo scientifico e del naturalismo zoliano.
Come i positivisti erano per il fatto in sé, i veristi studiano il fatto sociale, più esattamente il comportamento sociale. Poi viene esaminato l’atteggiamento ambivalente e ambiguo dei veristi nei confronti del Manzoni e dei suoi capolavori, tacciati di essere pervasi da “misticismo religioso” ma da cui devono per forza fare riferimento. Così come vengono analizzati il rapporto tra Verismo e Scapigliatura (seppur in modo sintetico), il sentimento patriottico dei veristi, la loro incessante ricerca del vero, i personaggi umili dei loro romanzi, molti facenti parte della civiltà contadina, ma anche artieri e pescatori siciliani.
Secondo Spinazzola i veristi non sono semplici osservatori, ma testimoni obiettivi della realtà del loro tempo. In questo libro viene studiato soprattutto Verga, a partire da Nedda, che per il critico è un vero punto di svolta della narrativa del grande scrittore. C’è un ampio capitolo sulla legge dell’onore e sulla legge del lavoro nei Malavoglia, in cui viene trattato questo capolavoro da un’angolatura originale, mai proposta prima. Altrettanto interessante è il capitolo su Mastro Don Gesualdo.
È un libro comprensibile a tutti perché vengono prima riassunte in modo scrupoloso le opere verghiane (quindi va bene anche per chi non ne ha mai lette), che poi vengono studiate e commentate doviziosamente.
Viene messo in evidenza come, nonostante la ricerca dell’oggettività e dell’impersonalità, nel Verismo restava un quid inalterabile di soggettività, ovvero la scelta tematica, l’immaginazione, la partecipazione umana nei confronti degli umili, per cui gli autori non potevano non simpatizzare.
Ciò nonostante non viene mai messa in dubbio la verosimiglianza oggettiva dei veristi.
Leggendo quest’opera viene da ripensare che tanti problemi letterari di oggi sull’impersonalità abbiano radici antichissime.
Così come viene da pensare che oggettività e soggettività non siano dicotomiche e qualitative, ma debbano essere considerate lungo un continuum di cui sono i poli estremi e su cui si colloca ogni opera letteraria (ma nessuna opera è totalmente oggettiva o soggettiva e perciò i due estremi non vengono mai raggiunti).
Questo libro è costituito da 300 pagine scritte in modo magistrale, senza cadute di tono né di stile. È un libro che si legge bene, non ci sono parti noiose, digressioni troppo lunghe, intellettualismi incomprensibili. È un’opera imprescindibile per chi vuole sapere qualcosa sul Verismo; questo saggio e il suo autore perciò non dovrebbero cadere nell’oblio.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Verismo e positivismo
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