Fabrizio De André era un poeta? Lo stesso Mario Luzi, dopo aver ascoltato tutte le sue canzoni, ebbe a dire che De André era effettivamente un poeta. Dirò di più: era un poeta che prendeva dalla migliore letteratura francese. Si vedano a proposito i riferimenti a Brassens ma anche a Rimbaud (La guerra di Piero e Il pescatore non riecheggiano forse Il dormiente nella valle del più noto poeta maledetto di tutti i tempi?).
Analizziamo e commentiamo la sua canzone Via del Campo (1967).
Via del Campo di De André: testo della canzone e rime
Via del Campo c’è una graziosa (A)
gli occhi grandi color di foglia (B)
tutta notte sta sulla soglia (B)
vende a tutti la stessa rosa. (A)
Via del Campo c’è una bambina (C)
con le labbra color rugiada (D)
gli occhi grigi come la strada (D)
nascon fiori dove cammina. (C)
Via del Campo c’è una puttana (E)
gli occhi grandi color di foglia (B)
se di amarla ti vien la voglia (B)
basta prenderla per la mano (F)
e ti sembra di andar lontano (F)
lei ti guarda con un sorriso (G)
non credevi che il paradiso (G)
fosse solo lì al primo piano. (H)
Via del Campo ci va un illuso (I)
a pregarla di maritare (L)
a vederla salir le scale (M)
fino a quando il balcone ha chiuso. (I)
Ama e ridi se amor risponde (N)
piangi forte se non ti sente (O)
dai diamanti non nasce niente (O)
dal letame nascono i fior (P)
dai diamanti non nasce niente (O)
dal letame nascono i fior. (P)
Analisi e significato della canzone Via del Campo
In questo testo molto poetico gli occhi sono color di foglia, le labbra sono color rugiada. Tutto rimanda alla natura, perché l’amore anche quello mercenario o più mercificato è sempre naturale. De André vuole già dirci che non c’è niente che va contro natura nell’amore.
La soglia è un termine borghese con cui il poeta descrive la condizione di attesa della prostituta. La rosa simboleggia il sesso femminile. La rosa è essa stessa sia un simbolo borghese che un simbolo poetico universale. Il sesso femminile viene qui elevato metaforicamente in modo pregevole, al contrario di molti che in termini volgari descrivono una bella donna con una sineddoche, prendendo il sesso femminile per la totalità della sua persona.
La musica, scritta da Dario Fo e Jannacci, è bella nella sua semplicità ma costituita da pochi accordi. Anche il testo è una poesia in musica, pur utilizzando parole, figure retoriche, rime per niente ricercate né complesse. Il testo infatti necessita più di un commento che di un’effettiva parafrasi, perché è comprensibile a tutti. La canzone, arrangiata da Reverberi, dura circa 2 minuti e mezzo. Ma nella sua brevità è concentrato tutto un mondo poetico.
La canzone è del 1967, quando De André era ancora giovane. Da notare che le prime strofe sono tutte rimate. Nelle prime due quartine la rima è incrociata e questo rende tutto più musicale, anche dal punto di vista verbale, proprio come in un sonetto. Solo quando finisce la descrizione delle prostitute o della prostituta (vista e concepita in tre modi diversi, dato che in fondo in ogni donna c’è una bambina, come del resto in ogni uomo un bambino) e quando entrano in scena per l’appunto un dato contingente, attinente alla realtà (il primo piano), e l’illuso (forse lo stesso De André) ecco allora che finiscono le rime per poi riprenderle in modo più semplice nella celebre clausola finale.
Nella descrizione delle tre prostitute (ammesso e non concesso che siano tre, ma può anche darsi sia la stessa donna raffigurata in tre modi diversi) la prima parola senza rima è proprio puttana. Quando De André la pronuncia, lo fa con enfasi. Probabilmente ciò dipende dalla discrepanza tra il termine dispregiativo con cui i buon borghesi etichettano chi esercita l’antico mestiere e la sensibilità con cui il poeta descrive la grazia della donna o delle donne, attribuendo una connotazione positiva alla loro figura. Il poeta vuole dirci che le prostitute hanno una precisa funzione sociale, che spesso fanno da assistenti sociali o da psicologhe, che con la loro attività rompono la solitudine di molti uomini. De André ci comunica tutto questo senza ipocrisia né falsità.
Dal punto di vista metrico abbiamo diversi endecasillabi e ipometri (ha ragione chi sostiene che le più belle canzoni d’autore rasentano l’endecasillabo, verso per eccellenza della tradizione poetica italiana), ma anche qui abbiamo una variazione netta nei due versi che descrivono la delusione sentimentale, lo scacco esistenziale ("a pregarla di maritare/ a vederla salir le scale", che per l’appunto non rimano tra loro, ma sono legati da un’assonanza).
Il giovane De André in questo testo fa una scelta di campo: sceglie il maledettismo degli artisti rispetto alla morale convenzionale e perbenista dei borghesi. De André in questo testo unisce armoniosamente le due immagini archetipiche della donna fin dall’antica Grecia (la donna angelicata e la donna prostituta), insomma quello che lui in Bocca di rosa già definiva l’amore sacro e l’amor profano, che per lui sempre amore sono. Così come definire la prostituta una bambina può significare, realisticamente parlando, il grande degrado morale di quel contesto che porta a prostituirsi fin dalla fanciullezza, ma può voler descrivere anche, simbolicamente parlando, l’innocenza di molte prostitute, il loro candore e la loro spiritualità, quasi mai intaccate dal fare la cosiddetta vita di strada.
Negli ultimi versi i diamanti sono simboli improduttivi borghesi, mentre il letame dei cosiddetti bassifondi, degli emarginati è fertile e creativo. In questa immagine paradossale e veritiera ci sono racchiuse tutta la filosofia di vita ma anche la poesia del cantautore genovese. Gli ultimi versi rimandano anche alla bambina da cui nascono fiori dove cammina.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Via del Campo di De André: analisi e significato della canzone
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