L’11 gennaio 1999 Fabrizio De André moriva all’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, dove era ricoverato per l’aggravarsi della malattia che lo aveva colpito pochi mesi prima.
“Non doveva andarsene, non doveva. È stato il più grande poeta che abbiamo mai avuto”, disse in suo ricordo al funerale l’amica Fernanda Pivano, traduttrice e scrittrice, che con lui aveva curato il disco tratto dall’Antologia di Spoon River, dal titolo Non al denaro né all’amore né al cielo.
Fabrizio De André, un moderno suonatore Jones
Fabrizio De André tuttavia non è stato solo un poeta. Era anche un nostalgico, un rivoluzionario, un anarchico, un filosofo, un ateo che predicava il Vangelo e la spiritualità, una voce fuori dal coro sempre “in direzione ostinata e contraria”. Nelle sue canzoni ritroviamo una cultura smisurata unita a un senso critico innato capace di dare valore e spessore al testo.
De André era un moderno trovatore medievale che cantava della gente e per la gente, che trasformava in musica il suo sentire e la sua visione del mondo servendosi di una solida cultura letteraria e del supporto di una chitarra ben accordata.
Proprio come quel suonatore Jones che suona per tutta la vita cantando la libertà e ha piacere a lasciarsi ascoltare.
L’ispirazione letteraria di Fabrizio De André
Non è difficile rintracciare nei testi del cantautore genovese una forte valenza poetica: De André sembra cantare il “male di vivere” di Montale, la goliardia di Cecco Angiolieri, la quotidianità profonda e densa di inquietudine di Umberto Saba, la malinconia di Georges Brassens. Molte delle sue canzoni si ispirano tra l’altro apertamente ai testi del poeta francese, come Le passanti e Il gorilla.
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Nella vasta produzione musicale di De André non manca neppure l’ispirazione offerta dalle laudi trecentesche italiane: il cantautore infatti attinge a piene mani anche dal repertorio medievale, riprendendo in Ottocento i versi del mistico religioso Iacopone da Todi e della sua celebre lauda Donna de Paradiso, un testo che gli studenti di Lettere non possono non conoscere.
Ma l’album più letterario di Fabrizio De André è stato senza dubbio Non al denaro né all’amore né al cielo (1971), ispirato alla raccolta poetica dello scrittore americano Edgar Lee Masters, l’Antologia di Spoon River (1916).
De André riuscì nel miracoloso intento di trasporre un’opera poetica in musica, facendo del testo musicato un’opera se possibile ancor più meravigliosa dell’originale.
Fabrizio De André ed Edgar Lee Masters
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Fabrizio De André lesse l’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters a soli diciotto anni. Si trattava di una raccolta poetica peculiare composta da una serie di epitaffi in cui i personaggi dell’immaginaria cittadina di Spoon River riassumono il senso della propria vita, come se parlassero dalla propria tomba.
Fu un testo importante per la formazione di De André, che sedimenterà nel profondo della sua coscienza accompagnandolo anche nella vita adulta.
Di quel libro dirà successivamente:
Mi era piaciuto, forse perché in quei personaggi trovavo qualcosa di me.
Nel 1971, all’età di trent’anni, De André decise di trasporre in musica quel libro da lui tanto amato. Contattò quindi Fernanda Pivano, che aveva tradotto il libro nel 1943 per Einaudi, proponendogli una collaborazione. Pivano curiosamente aveva scoperto il libro giovanissima su consiglio di Cesare Pavese, suo professore, che tramite quel testo intendeva mostrare all’allieva la differenza tra la letteratura inglese e quella americana.
L’incontro tra Fernanda Pivano e Fabrizio De André sarà l’inizio di un’amicizia destinata a durare una vita intera.
Il cantautore genovese iniziò così a riscrivere le poesie di Masters per adattarle a canzoni. De André nella sua rielaborazione dell’opera di Masters si concentrò maggiormente sui vizi dei personaggi piuttosto che sui loro pregi.
Come dichiarò successivamente in un’intervista:
Nel disco si parla di vizi e virtù: è chiaro che la virtù mi interessa di meno, perché non va migliorata. Invece il vizio lo si può migliorare: solo così un discorso può essere produttivo.
Nel suo personale adattamento dell’opera di Edgar Lee Masters, De André estrapolò otto epitaffi (sui 243 componimenti contenuti nel libro originale Ndr) e l’introduzione The Hill, La collina, trasformandoli in quello che sarebbe diventato il quinto concept album della sua produzione musicale, Non al denaro non all’amore né al cielo (1971) .
Il disco inizia significativamente con un brano introduttivo, Dormono sulla collina, cui seguono le storie dei vari personaggi che ricalcano quasi alla lettera le poesie composte a inizio Novecento da Edgar Lee Masters.
In totale otto canzoni che riflettono quindi otto liriche: Frank Drummer (Un matto), il nano Selah Lively (Un giudice), Wendell P. Bloyd (Un blasfemo), Francis Turner (Un malato di cuore), Siegfried Iseman (Un medico), Trainor il farmacista (Un chimico), Dippold (Un ottico) e infine il violinista Jones (Il suonatore Jones) che sembra rappresentare, in chiusura, il perfetto alter-ego di De André stesso.
Il suonatore Jones è una delle canzoni più rappresentative dell’intero album, che riletta oggi appare quasi come il testamento spirituale di Fabrizio De André. Scopriamone il significato.
Il suonatore Jones di Fabrizio De André: testo
In un vortice di polvere
Gli altri vedevan siccitàA me ricordava
La gonna di Jenny
In un ballo di tanti anni faSentivo la mia terra
Vibrare di suoni, era il mio cuore
E allora perché coltivarla ancora
Come pensarla miglioreLibertà l’ho vista dormire
Nei campi coltivati
A cielo e denaro
A cielo ed amore
Protetta da un filo spinatoLibertà l’ho vista svegliarsi
Ogni volta che ho suonato
Per un fruscio di ragazze
A un ballo
Per un compagno ubriacoE poi se la gente sa
E la gente lo sa che sai suonare
Suonare ti tocca
Per tutta la vita
E ti piace lasciarti ascoltareFinii con i campi alle ortiche
Finii con un flauto spezzato
E un ridere rauco
E ricordi tanti
E nemmeno un rimpianto.
Il suonatore Jones di Fabrizio De André: analisi e commento
La canzone di De André ricalca l’omonima poesia di Edgar Lee Masters, aggiungendo al testo un’insolita sfumatura autobiografica.
Il suonatore Jones è infatti l’unico personaggio del disco Non al denaro né all’amore né al cielo che, curiosamente, viene chiamato per nome. Tutti gli altri personaggi sono menzionati sulla base di una caratteristica preponderante fisica o mentale: come è nel caso de Il matto o di Un malato di cuore. Il suonatore invece viene chiamato per nome e chiude l’album.
La canzone inizia con un arpeggio cupo e malinconico che sembra alludere allo scorrere inesorabile degli anni. De André canta di se stesso e, al contempo, riporta in vita un fantasma.
Nella strofa iniziale il violinista Jones si chiede come potrà dedicarsi alla coltivazione della terra se per lui tutto diventa fonte di ispirazione, sembra tramutarsi in altro, divenire musica. Viene quindi introdotto un “diverso sentire”, con il quale ancora una volta De André sembra ribadire il suo schierarsi dalla parte degli ultimi, degli esclusi, da ciò che la società relega ai margini.
Il suonatore Jones è infatti un personaggio che si contraddistingue per la sua acuta sensibilità che lo avvicina profondamente al cuore delle cose e, allo stesso tempo, sembra allontanarlo dalla vita comune di un normale agricoltore e cittadino basata su una praticità concreta e non su principi astratti. Per lui il canto degli uccelli, le pale dei mulini a vento diventano metafore di un sentire più profondo, proprio come i vortici di polvere gli riportano alla memoria la gonna danzante di una donna di nome Jenny a un ballo di tanto tempo prima.
Nella parte centrale della canzone De André fa quindi riferimento alla “Libertà”, parola da lui molto amata, che si risveglia proprio attraverso la musica. Ad accompagnare questi versi c’è significativamente la melodia vivace di un flauto - un intermezzo sereno e piacevole.
Il suonatore Jones rivendica la propria scelta di vita, a tratti faticosa perché diversa da quella della massa, ma da affrontare senza rimpianti. L’indole spirituale e libera del musicista non si sottomette dunque a nessun idolo umano o divino: né all’amore, né al Dio denaro, né al cielo, rivendica con dignità il suo andare controcorrente.
De André sembra descrivere il proprio talento musicale come una vocazione a volte difficile, a volte dolorosa, perché porta ad avere uno sguardo diverso, una sensibilità particolare per la sofferenza altrui, a condurre un’esistenza spesso nomade e vagabonda. Fabrizio De André, attraverso la voce del suonatore Jones, afferma tuttavia di voler affrontare con coraggio e passione la strada che ha scelto, senza tirarsi indietro.
La parte finale della canzone richiama letteralmente la strofa originale di Edgar Lee Masters:
E se la gente sa che sai suonare
suonare ti tocca, per tutta la vita.
Gli ultimi versi, però, quelli di chiusura che affermano “e nemmeno un rimpianto” sono stati scritti da Fabrizio De André. Il cantautore della libertà, degli ultimi, degli emarginati che aveva vissuto la propria vita in un ridere rauco come il suonatore Jones.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Fabrizio De André: il testamento letterario del suonatore Jones
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