

Za l’immortale
- Autore: Silvana Cirillo
- Genere: Arte, Teatro e Spettacolo
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2013
Centodieci anni di Cesare Zavattini
“Da ragazzo seguivo quello che faceva: libri, giornali, film. Mi piaceva quel signore delle mie parti che era andato a Milano riuscendo a campare delle sue idee. Ne ha vendute molte, me ne ha regalate di più”.
Così Enzo Biagi ricordava Cesare Zavattini (Luzzara (RE) 1902 – Roma 1989) scrittore surrealista e sceneggiatore, padre con Vittorio De Sica del neorealismo cinematografico, giornalista, direttore e editor, pittore, organizzatore culturale
“fra i più poliedrici artisti e fecondi intellettuali che il nostro ’900 abbia avuto”.
Silvana Cirillo, docente di Letteratura italiana contemporanea, fra le massime esperte di Zavattini con il quale da giovane laureata ha trascorso anni di lavoro comune e su cui ha scritto libri, saggi e articoli, a centodieci anni dalla nascita di Za (per gli amici), ricostruisce la vicenda umana e professionale di un uomo dotato di un fiuto eccezionale. “Un artista, uno straordinario artigiano” che insegnò a Biagi una parola ora desueta: “la laboriosità”.
La monografia pubblicata dalla casa editrice romana che prende il nome dal famoso ponte sul Tevere che collega Trastevere al rione Regola è composta di tre capitoli (Scrittore, Giornalista e editore, Pittore) più l’interessante appendice A proposito di Zavattini (Cosa dicono di lui. Dagli esordi ad oggi, Vita, opere e miracoli di Cesare. 1902 – 1989, Za, l’immortale). Scritti, convegni, eventi 1989 – 2012 a cura di Paolo Massari).
Il volume è inoltre corredato da un’esauriente bibliografia di un maitre à penser “maestro riconosciuto per generazioni di artisti” che amava ripetere
“il mondo è piccolo se lo vediamo piccolo”.
Il versatile Zavattini che definiva i suoi film neorealisti “favole moderne” possedeva la capacità di scovare le tendenze al nuovo e al cambiamento quando erano ancora in embrione e nascoste ai più, non solo, l’artista aveva intuito la potenzialità dei moderni mezzi di comunicazione e dei loro linguaggi. Per questo l’autrice scrive che il fil rouge che legò e percorse sempre le varie attività di Za, “il quid che caratterizza la sua personalità artistica” fu la modernità. Pertanto “capire, e capire subito”, le dirette televisive erano il pallino di Zavattini fin dagli anni Sessanta.
Il diario di un giorno della gente qualunque, che Za auspicava fin dagli anni Cinquanta, è stata la base di tanti film (basti pensare a Una giornata particolare - 1977 - di Ettore Scola) e di tanti programmi televisivi di oggi, “con l’unica, enorme, differenza che oggi la gente è pagata per fingere una quotidianità inventata”. Allora “esprimersi ed esprimersi subito!” senza pregiudizi e senza tabù, “veni foras omo!” per tirare fu
ori il meglio e il peggio da chiunque. Zavattini amava il rapporto diretto con il pubblico attraverso l’attività giornalistica, letteraria, il lavoro alla radio e in televisione, come soggettista e sceneggiatore per il cinema, perché rappresentava per lui un modo diretto e strategico di comunicare e coinvolgere il prossimo.
L’affermazione di Za era categorica:
“il cinema per me è come un libro”
e lo dimostra Miracolo a Milano (1950), per la cui realizzazione De Sica prese spunto da un libro di Zavattini, Totò il buono, nato come soggetto per un film con Totò protagonista, mai venuto alla luce.
“Un’idea vecchia quanto il mondo” quella di rappresentare la lotta tra piccoli eroi, barboni e straccioni dal cuore grande contro i ricchi finanzieri. La scena finale è famosissima: i piccoli eroi volano a cavallo di una scopa sul Duomo di Milano diretti verso
“un regno inesistente, ma utopisticamente evocato, dove alle parole corrispondono, sinceri, i pensieri, dove, cioè, Buongiorno vuol dire veramente Buongiorno!”.
In fondo la forza dell’arte zavattiniana era semplice quanto geniale:
“penetrare nei meandri dell’uomo qualunque, nelle sue debolezze, nelle sue ansie, nei suoi giochi mentali, nei suoi desideri riposti”.
Un uomo che Zavattini sentì fin da subito uguale a se stesso. La monografia, arricchita da una galleria di belle fotografie, è un ritratto a tutto tondo di un artista testimone e protagonista della sua epoca, distintosi per essere sempre stato all’avanguardia, che volle
“portare la macchina da presa ovunque, perché ovunque c’era qualcosa di meraviglioso da conoscere”.

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