Festeggiamo il 71esimo compleanno di uno dei maggiori cantautori italiani Francesco De Gregori, nato a Roma il 4 aprile 1951, ricordando una delle sue canzoni più note, Alice.
Alice fu scritta nel 1973 ed è parte del secondo album di De Gregori dal titolo Alice non lo sa, uscito nello stesso anno.
Si tratta di una canzone poetica ed enigmatica, che si apre a diverse letture e da tempo fa discutere gli ascoltatori su una sua possibile interpretazione. Una poesia in musica che culla con una melodia ripetitiva e tenera come una ninnananna, ma al contempo racconta una storia polifonica degna di un grande romanzo.
Il nome di uno scrittore citato nella canzone di Francesco de Gregori
“Chi è Alice?” chiese, quand’era ancora un bambino, Cristiano De André, il figlio di Fabrizio De André, a De Gregori. Il cantautore rispose alla sua domanda con un’altra canzone Oceano, che pone una sfilza infinita di interrogativi dimostrando all’ascoltatore che la vera poesia non si può spiegare.
Il mistero di Alice dunque non è mai stato svelato; tuttavia un altro dei personaggi citati nel celebre brano è realmente esistito, il famoso “Cesare perduto nella pioggia” che appare nella terza strofa è infatti lo scrittore italiano Cesare Pavese.
La canzone dunque non solo ha la forma di un romanzo in versi, ma contiene anche un imprescindibile riferimento letterario.
Scopriamo testo e analisi di Alice di Francesco De Gregori e il perché di quel riferimento a Cesare Pavese.
Alice di Francesco De Gregori: testo
Alice guarda i gatti e i gatti guardano nel sole
Mentre il mondo sta girando senza fretta
Irene al quarto piano è lì tranquilla
E si guarda nello specchio e accende un’altra sigaretta
E Lili Marlene, bella più che mai
Sorride e non ti dice la sua età
Ma tutto questo Alice non lo sa"Ma io non ci sto più", gridò lo sposo e poi
Tutti pensarono dietro ai cappelli
"Lo sposo è impazzito oppure ha bevuto"
Ma la sposa aspetta un figlio e lui lo sa
Non è così che se ne andràAlice guarda i gatti e i gatti muoiono nel sole
Mentre il sole a poco a poco si avvicina
E Cesare perduto nella pioggia
Sta aspettando da sei ore il suo amore ballerina
E rimane lì a bagnarsi ancora un po’
E il tram di mezzanotte se ne va
Ma tutto questo Alice non lo sa"Ma io non ci sto più", e i pazzi siete voi
Tutti pensarono dietro ai cappelli
"Lo sposo è impazzito oppure ha bevuto"
Ma la sposa aspetta un figlio e lui lo sa
Non è così che se ne andràAlice guarda i gatti e i gatti girano nel sole
Mentre il sole fa l’amore con la luna
Il mendicante arabo ha qualcosa nel cappello
Ma è convinto che sia un portafortuna
Non ti chiede mai pane o carità
E un posto per dormire non ce l’ha
Ma tutto questo Alice non lo sa"Ma io non ci sto più", gridò lo sposo e poi
Tutti pensarono dietro ai cappelli
"Lo sposo è impazzito oppure ha bevuto"
Ma la sposa aspetta un figlio e lui lo sa
Non è così che se ne andrà.
Alice di Francesco De Gregori: analisi
Il testo è suddiviso in tre strofe alternate da un ritornello, e appare come uno spettacolo in tre atti in cui ogni chiusura di sipario apre a un nuovo scenario.
Il brano dura tre minuti. In appena tre minuti De Gregori è capace di dare vita a un intero mondo. I personaggi che si alternano nelle tre strofe sono infatti numerosi e ciascuno racconta una storia sé stante, l’unico filo conduttore sembra essere Alice - questo personaggio misterioso e inafferrabile - sotto il cui sguardo inconsapevole sfilano le vicende narrate.
Tutto accade attorno a lei, eppure Alice non sa nulla, semplicemente esiste.
La prima strofa si apre narrandoci le vicende di tre personaggi: Alice, Irene e Lili Marlene. Alice guarda i gatti, e l’ascoltatore è portato a credere che sia una bambina che gioca tranquilla e spensierata in un cortile. Al quarto piano di un condominio Irene invece è intenta a scrutarsi nello specchio e a fumare, nervosa, coltiva oscuri pensieri ed è tormentata da qualcosa, che nell’interpretazione data da De Gregori è il pensiero del suicidio.
Infine appare la star Lili Marlene (il nome è tratto dalla celebre canzone tedesca di Marlene Dietrich, Ndr), emblema del fascino e del mistero, che abbaglia il mondo con la sua bellezza e non rivela la sua età anagrafica: forse perché vive il trascorrere del tempo e la vecchiaia incipiente come una minaccia.
Ma tutto questo, ovviamente, Alice non lo sa perché il suo sguardo innocente è limitato al mondo che osserva e, dunque, ai gatti che guardano nel sole nel lento declinare del mattino. Non sa nulla del dramma psicologico di Irene, né delle rughe che si nascondono sotto il trucco impeccabile di Lili Marlene.
Nel ritornello viene poi introdotto il personaggio dello sposo, che abbandona la sposa all’altare compiendo un gesto scandaloso per l’epoca. Il matrimonio appare come un dovere: l’uomo deve sposare la donna perché lei è incinta, non perché innamorato di lei e si rifiuta clamorosamente. Il “no” dello sposo, il suo scappare via, appare come uno schiaffo alla società borghese benpensante. Lo sposo in realtà vuole sposarsi per amore, e per sottostare alle regole del buoncostume.
Secondo alcune interpretazioni Alice sarebbe la bambina che la donna abbandonata all’altare porta in grembo. Infatti la storia dello sposo si ripete tre volte, facendo da ritornello al brano e da sfondo all’intero dramma, come un flash-back che eternamente ritorna.
Nelle ultime strofe appaiono altri due personaggi maschili: Cesare, un giovane innamorato respinto che rimane ore smarrito sotto la pioggia nell’attesa inconcludente della donna amata, e il mendicante arabo, povero e malato che non ha soldi per curarsi ma si rifiuta di chiedere l’elemosina per dignità.
Nel testo originale il mendicante arabo non ha “qualcosa” nel cappello, ma ha “un cancro”: tuttavia il termine fu in seguito censurato, perché all’epoca era ritenuto troppo offensivo nominare una malattia mortale. De Gregori tuttavia nei suoi concerti live continua a cantare la versione originale dove il riferimento alla morte - di cui la giovane Alice è ignara - è più stringente.
Alice non sa nulla di quel che accade e non conosce il dolore di tutta questa folta e folle schiera umana che la circonda, continua a osservare il movimento indifferente dei gatti che sembra scandire la fine del giorno.
Anche i gatti svolgono una funzione determinante nel cadenzare l’andamento cronologico del brano. Al termine della seconda strofa il sole sembra illuminarli a picco, segnale che si trova al centro del cielo, mentre nell’ultima appare la luna che si fonde con il sole come una sposa con l’amato sul talamo nuziale.
Non vi è una sola parola lasciata al caso in questo brano, dove il confine tra canzone e poesia appare davvero labile.
L’indeterminatezza di Alice è voluta e - dopo un’attenta analisi - ci appare persino necessaria. Di lei sappiamo solo il nome ed è giusto che sia così. Perché in fondo Alice è tutti noi, che del dolore degli altri sappiamo (e vediamo) solo la metà se non proprio il nulla, in un’assenza di comunicazione interpersonale assordante.
Il riferimento a Cesare Pavese nella canzone di De Gregori
Nella seconda strofa di Alice viene introdotto un personaggio maschile singolare:
E Cesare perduto nella pioggia
Sta aspettando da sei ore il suo amore ballerina
E rimane lì a bagnarsi ancora un po’
E il tram di mezzanotte se ne va
Ma tutto questo Alice non lo sa
L’uomo, forse ragazzo data l’ingenuità, ci appare come un innamorato non corrisposto che aspetta per ore sotto la pioggia il suo amore: una ballerina che però tradirà la parola data, mancando all’appuntamento. La storia è rappresentativa della fiducia tradita: la delusione è talmente cocente da apparire palpabile come la pioggia scrosciante che scorre sugli abiti del giovane. Il tram di mezzanotte è partito ormai, e il ragazzo dovrà tornare a casa a piedi con l’unica compagnia della propria solitudine.
De Gregori avrebbe poi rivelato che il Cesare citato nel brano sarebbe proprio Cesare Pavese che in gioventù si innamorò perdutamente di una cantante-ballerina conosciuta al caffè-concerto La Meridiana nella galleria Natta di Torino. Si trattava della ballerina Pucci, cui il poeta dedicò anche la poesia O ballerina ballerina bruna (1925).
Pavese le diede appuntamento fuori dal caffè, ma la ballerina dopo aver accettato lo tradì uscendo da un ingresso secondario. Lui non si diede per vinto e rimase per ore ad aspettarla, anche quando il cielo si adombrò e cadde una pioggia scrosciante. Senza ombrello Pavese rimase lì, fermo in un’attesa tragica e disperata, infradiciandosi d’acqua. Tornò a casa dopo mezzanotte, solo e sconfitto.
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L’intera vicenda è raccontata da Davide Lajolo ne Il vizio assurdo (minimum fax, 2020), considerato il libro più autentico e intenso che sia mai stato scritto sulla vita di Pavese.
Con l’urgenza di raccontare e l’affetto proprio di un amico Lajolo, a sua volta scrittore e giornalista, ci consegna un ritratto compiuto dell’autore che ci ha narrato Il mestiere di vivere, forse il libro fu un tentativo di porre rimedio, un “atto riparatore” per rendere meno amara la tragedia che avrebbe concluso fatalmente l’esistenza di Cesare Pavese.
Secondo quanto racconta Lajolo, Pavese a causa di quella nottata trascorsa sotto la pioggia si prese una grave forma di pleurite che lo bloccò in casa per mesi, rischiando di fargli perdere l’anno scolastico. Agli amici disse di aver perso, insieme alle forze fisiche, anche ogni fiducia in sé stesso. Sarebbe stata, purtroppo, solo la prima di una serie di sfortunate e cocenti delusioni che l’avrebbero infine condotto al gesto più disperato.
La canzone di De Gregori, tuttavia, forse per pietà si ferma a un passo dal dramma e ci racconta un Cesare Pavese giovane, inesperto, ma disposto a tutto per amore. Lo stesso Pavese vitale e disperato, che a sua volta della vita diceva “Non ci capisco niente”, di cui oggi ritroviamo traccia nelle sue più appassionate poesie d’amore.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Alice” di Francesco De Gregori: chi è lo scrittore nascosto nel testo?
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