Il 12 marzo 1863 nasceva a Pescara il poeta vate Gabriele D’Annunzio, lo celebriamo con una sua poesia che è un inno alla vita: si intitola Canta la gioia, fu pubblicata nel 1896 e inserita nella sua seconda raccolta poetica Canto novo. In questa lirica si intrecciano tutti i temi fondamentali della poesia dannunziana: l’esaltazione della volontà del superuomo, il panismo (la simbiosi con la natura) e l’estetismo, ovvero il tentativo supremo di vivere la propria vita come se fosse un’opera d’arte.
D’Annunzio era un uomo contento di essere nato che visse con grande intensità; ebbe una tumultuosa vita sentimentale, fu in prima linea sul fronte durante la Prima guerra mondiale sostenendo la campagna interventista e aderì in tutto e per tutto alla missione di “grandezza” che si era dato. Era un conquistatore nato, in ogni campo, da quello militare a quello sentimentale, un uomo sempre pronto a prendere la vita a morsi come se si tagliasse una bella, abbondante fetta di torta, un piacere che gli spettava di diritto - e se non gli spettava, comunque se lo prendeva. Queste caratteristiche rendono interessante e di per sé straordinaria la figura di Gabriele D’Annunzio e lo pongono in antitesi con altri poeti del suo tempo, come ad esempio Giovanni Pascoli, anche lui appartenente alla corrente del Decadentismo eppure portatore di tutt’altro genere di valori: la natura ostile, a tratti misteriosa e oscura del sentire del “fanciullino” non ha nulla a che vedere con la concezione vitalistica dannunziana in cui l’uomo trae energia dalla natura, dalla sua linfa, sino a fondersi completamente con essa come avviene ne La pioggia del pineto. La percezione dolente del male di vivere è assente nel lirismo di D’Annunzio che è una continua festa del bello, dell’amore, del lusso, che non può essere svincolata dall’edonismo, ovvero dalla continua ricerca del piacere inteso come “sommo bene.”
Canta la gioia si fa portavoce della concezione poetica dannunziana: è una celebrazione autentica della vita e dell’amore, trionfale come una marcia di Wagner, musicista che il poeta amava. D’Annunzio riteneva la musica “esaltatrice dell’atto di vita” e ammirava il grande compositore tedesco che definiva il “profeta dell’avvenire”. La poesia di Gabriele D’Annunzio è sonora e ritmica, ha una forte impronta musicale rimarcata spesso dall’uso di allitterazioni, onomatopee e richiami sonori.
D’Annunzio voleva essere il “Wagner delle parole”, e in parte ci è riuscito. Questo spiega perché Canta la gioia appare come un rifacimento lirico dell’opera wagneriana, che era a sua volta una sorta di sontuosa architettura in musica dotata di impetuosità, solennità e anche di una propria forza narrativa.
Il poeta vate scrisse questa lirica in gioventù ma la pubblicò nel 1896, a trentatré anni, inserendola in aggiunta alla sua seconda raccolta poetica.
Era dedicata alla sua prima amante e musa: Elda Zucconi, detta “Lalla”, è lei la donna cui fanno riferimento questi versi.
Scopriamone testo e analisi.
“Canta la gioia” di Gabriele D’Annunzio: testo
Canta la gioia! Io voglio cingerti
di tutti i fiori perché tu celebri
la gioia la gioia la gioia,
questa magnifica donatrice!Canta l’immensa gioia di vivere,
d’esser forte, d’essere giovine,
di mordere i frutti terrestri
con saldi e bianchi denti voraci,
Canta la gioia! Io voglio cingerti
di tutti i fiori perché tu celebri
la gioia la gioia la gioia,
questa magnifica donatrice!Canta l’immensa gioia di vivere,
d’esser forte, d’essere giovine,
di mordere i frutti terrestri
con saldi e bianchi denti voraci,di por le mani audaci e cupide
su ogni dolce cosa tangibile,
di tendere l’arco su ogni
preda novella che il desìo miri,e di ascoltare tutte le musiche,
e di guardare con occhi fiammei
il volto divino del mondo
come l’amante guarda l’amata,e di adorare ogni fuggevole
forma, ogni segno vago, ogni immagine
vanente, ogni grazia caduca,
ogni apparenza ne l’ora breve.
Canta la gioia! Lungi da l’anima
nostra il dolore, veste cinerea.
“Canta la gioia” di Gabriele D’Annunzio: analisi e commento
Canta la gioia è un inno alla vita, alla forza della giovinezza, al piacere; ogni parola sembra elevarsi come una nota portata alla massima tensione di un acuto.
Si percepisce il superuomo d’annunziano in tutta la sua volontà di potenza, di sopraffazione, di dominio, nel costante invito a prendersi il piacere che sembra fare eco alla celebre ode latina Vivamus atque amemus di Catullo. Anche in questa poesia l’autore invita la sua donna ad amare e gioire, ma non è presente la stridente nota catulliana che ripropone la contrapposizione tra eros e thanatos. D’Annunzio canta solo la gioia vitalistica, l’appagamento dei sensi, non contempla la vecchiezza né il dolore, anzi, lo allontana con disprezzo come se non appartenesse al suo destino né a quello dell’amata: “Lungi da l’anima nostra il dolore”, conclude come se celebrasse un rito apotropaico. Se in Catullo era presente comunque un monito alla fuggevolezza del tempo e allo svanire della gioventù, in D’Annunzio l’effimero, il fuggevole, l’attimo fugace e momentaneo viene esaltato nella sua massima potenza:
e di adorare ogni fuggevole
forma, ogni segno vago, ogni immagine
vanente, ogni grazia caduca,
ogni apparenza ne l’ora breve.
Il poeta non si vuole soffermare sulle “cose gravi”, poiché in quella riflessione il piacere scompare: la felicità è nella gioia dell’attimo, nella pienezza del presente, non è riposta né nel passato né nel futuro. E Gabriele D’Annunzio di questa concezione di pienezza vitale era il maestro assoluto; non rimuginava, non cercava di guardare troppo indietro né troppo avanti, aveva capito che il segreto per vivere bene era abbracciare l’esistenza nella sua pienezza, nel suo costante fluire.
In Canta la gioia l’autore ripropone la stessa sublimazione della coppia di amanti in comunione panica con la natura narrata ne La pioggia del pineto.
Tutto sembra essere avvolto da un fuoco di fiamma e le stesse anime dei due amanti sono ardenti: gli occhi sono lucenti, le mani “audaci e cupide”, il desiderio sembra attraversare ogni cosa vorticoso come una corrente. La gioia intesa come “magnifica donatrice” viene a identificarsi con la donna amata che è colei che, di fatto, contribuisce al piacere del poeta. Costei viene trasfigurata in una sorta di musa portatrice di primavera: “Io voglio cingerti di tutti i fiori”, le dice, ed ecco che di nuovo torna il tema della metamorfosi panica con la natura. Non v’è dubbio che questa poesia sia un’ode all’eros, inteso come principio dell’arte d’annunziana.
Chi era la prima musa di D’Annunzio: Elda Zucconi
La donna che ispirò al poeta vate la poesia Canta la gioia era Elda Zucconi, e possiamo definirla come la prima musa di D’Annunzio. Elda, il cui vero nome era Giselda, era la figlia di un suo insegnante di lingue al Collegio Cicognini di Prato e il poeta se ne innamorò al primo istante. La conobbe nella villa Zucconi, a Firenze, dove fu invitato dallo stesso professore. Le fece subito una corte appassionata, rendendola la musa vivente della sua poesia giovanile: la definiva “la strana bimba da li occhioni erranti, misteriosi e fondi come il mare”.
Il loro rapporto è oggi testimoniato da un carteggio appassionato di oltre 300 lettere che contengono intense dichiarazioni d’amore e promesse d’eterna fedeltà, tipiche di chi sta vivendo, con l’animo infiammato, il primo amore. Parole infervorate, romantiche, a loro modo sincere che sarebbero state trasfuse nel Canto alla gioia, a testimonianza dell’amore per Elda e anche della prima scoperta di sé.
In una lettera alla ragazza, che chiamava affettuosamente “Lalla”, D’Annunzio scrive:
bevo avido l’aria vasta e la fulgida luce, prodigo, scialacquatore, temerario, generoso, affettuoso, innamorato di te, triste, gaio, da un’ora all’altra, indomabile e indomato
C’era già tutta la grandezza futura di Gabriele D’Annunzio in questi versi, l’origine del superuomo dannunziano: il binomio inscindibile tra l’uomo inquieto e il poeta vate che sarebbe diventato. L’amore per Elda fu rapido e divorante come una fiamma, si spense nell’arco di un anno e mezzo. Molti anni dopo sarebbe stata la donna, ormai quarantenne, a chiedere al poeta di pubblicare il carteggio riconoscendovi già il valore della sua migliore prosa. Aveva bisogno di soldi, dicono i biografi, e quelle lettere valevano parecchi quattrini. Tuttavia in quel carteggio Elda Zucconi rivedeva anche un’altra cosa, vi si rifletteva come uno specchio scorgendovi il volto di sé stessa giovane. Era stata lei, del resto, la musa ispiratrice di Canta la gioia e lo ricordava con una punta di invincibile orgoglio. In quelle parole lei risorgeva forte, audace, splendente nella giovinezza eterna che le conferiva il sortilegio della letteratura. Quelle lettere erano una scintilla di gioia che non si poteva spegnere e restavano a testimoniare la forza inestinguibile del primo amore.
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Canta la gioia”: l’inno alla vita in poesia di Gabriele D’Annunzio
Naviga per parole chiave
Approfondimenti su libri... e non solo Poesia Storia della letteratura Gabriele D’Annunzio
Lascia il tuo commento