Il 17 gennaio si festeggia la Giornata Internazionale del dialetto e delle lingue locali. Una ricorrenza che si propone di celebrare la diversità linguistica e culturale come matrice identitaria di un Paese.
In Italia, in particolare, i dialetti hanno svolto un ruolo fondamentale nella diversificazione delle varie aree geografiche della Penisola. Ricordiamo che fino a cinquant’anni fa il dialetto era ritenuto la lingua madre per la maggior parte degli italiani, mentre “l’italiano” era considerato la lingua delle Lettere che si imparava a scuola, da scrivere in bella grafia sui quaderni.
Il dialettologo tedesco Gerhard Rohlfs in un intervento del 1964 osservava che l’Italia:
Fra le nazioni europee gode il privilegio di essere, certamente, il paese più frazionato nei suoi dialetti. La varietà dialettale esiste ancor oggi come fenomeno sociale e come fenomeno linguistico.
Nel corso degli anni il dialetto è diventato meno diffuso a favore dell’italofonia - promossa e valorizzata dall’istruzione scolastica - tuttavia l’uso del dialetto si è conservato in molte regioni come simbolo, culturale e identitario, in grado di offrire una sfumatura espressiva aggiuntiva alla lingua.
In occasione del 17 gennaio ricordiamo i maggiori poeti dialettali italiani, i testi e il significato delle loro poesie.
Il dialetto nella poesia italiana del Novecento
L’espressività della lingua dialettale è stata valorizzata in particolar modo tra Ottocento e Novecento, quando illustri esponenti della società letteraria si servirono del dialetto per dare vita alle proprie composizioni.
Il dialetto quindi non è stata solo la lingua parlata dal popolo, ma anche lingua della scrittura.
La musicalità, la polifonia, la ricchezza di significati e la varietà di sfumature del dialetto sono state esaltate in particolare dai poeti che hanno trovato in esso la materia perfetta per plasmare le proprie liriche.
Scopriamo i maggiori componimenti dialettali dei poeti italiani.
La poesia dialettale di Carlo Porta
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Carlo Porta (Milano, 15 giugno 1775 – 5 gennaio 1821) è considerato il maggior poeta dialettale milanese. La sua prima raccolta, pubblicata nel 1792 reca il titolo El lavapiatt del meneghin che l’è mort.
Durante la sua vita Porta ha composto una ricca produzione di componimenti brevi, che coniugano la satira contro i potenti all’intonazione divertita e popolaresca della poesia popolare.
Nel 1812 il poeta raggiunse il successo con la raccolta più celebre Desgrazzi de Giovannin Bongee in cui narra le avventure di un poveretto al quale capitano una serie di disgrazie. A questa figura pare si sia ispirato l’illustre Alessandro Manzoni per creare il personaggio di Renzo Tramaglino.
Di seguito riportiamo l’incipit di Desgrazzi de Giovannin Bongee:
Deggià, Lustrissem, che semm sul descors
de quij prepotentoni de Frances,
ch’el senta on poo mò adess cossa m’è occors
jer sira in tra i noeuv e mezza e i des,
giust in quell’ora che vegneva via
sloffi e stracch come on asen de bottia.
La poesia dialettale di Trilussa
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>Il giornalista e scrittore Trilussa (Roma, 26 ottobre 1871 – 21 dicembre 1950) è stato il maggior esponente della poesia in dialetto romanesco.
Tra le sue raccolte più famose Le Stelle de Roma. Versi romaneschi (1889) e Er Mago de Bborgo. Lunario pe’ ’r 1890 (1890), Quaranta sonetti romaneschi (1894).
Nella sua poetica Trilussa combinò la satira politica-sociale all’umorismo delle cronache di vita quotidiana.
Di seguito riportiamo un estratto della sua poesia forse più celebre La ninna nanna della guerra:
Ninna nanna, tu nun senti
li sospiri e li lamenti
de la gente che se scanna
per un matto che commanna;
che se scanna e che s’ammazza
a vantaggio de la razza
o a vantaggio d’una fede
per un Dio che nun se vede,
ma che serve da riparo
ar Sovrano macellaro.
La poesia dialettale di Delio Tessa
Lo scrittore Delio Tessa (Milano, 18 novembre 1886 – 21 settembre 1939) è considerato uno dei maggiori poeti dialettali del Novecento.
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Le sue poesie, composte in dialetto milanese, si contraddistinguono per la peculiare musicalità e sonorità dei versi. Temi ricorrenti nella poesia di Tessa sono la Prima guerra mondiale, gli ultimi e gli emarginati e, infine, il tema della Morte che riveste un’importanza fondamentale.
Nel 1932 la sua raccolta L’è el dì di mort, alégher! fu pubblicata da Mondadori, ma non riscosse un grande successo. Tutte le sue poesie saranno pubblicate postume rivelando purtroppo troppo tardi al pubblico la statura di un grande autore.
Riportiamo di seguito un estratto di L’è el dì di mort, alégher!, suo componimento più famoso che viene spesso citato in occasione della ricorrenza del 2 novembre:
Torni da vial Certosa,
torni di Cimiteri
in mezz a on someneri
de cioccatee che vosa,
de baracchee che canta
e che giubbiana in santa
pas con de brasc la tosa.
L’è el dì di Mort, alegher!
La poesia dialettale di Giacomo Noventa
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Il poeta e saggista Giacomo Noventa (Noventa di Piave, 31 marzo 1898 – Milano, 4 luglio 1960) è ricordato in particolare per i suoi componimenti poetici in dialetto veneziano.
Scrisse versi prevalentemente in veneziano, quella da lui chiamata “lengua mia”, sotto lo pseudonimo di Emilio Sarpi. La sua poesia appare come un omaggio al romanticismo europeo.
Noventa si serve del dialetto per infrangere codici linguistici, animare affetti generali, promuovere una sorta di egualitarismo in grado di abbassare l’intellettuale e innalzare il popolare.
Riportiamo di seguito un estratto di A mo’ de premessa, che appare come una dichiarazione d’intenti e di poetica:
Mi me son fato ‘na lengua mia
Del venezian, de l’italian:
Gà sti diritti la poesia,
Che vien dai lioghi che regna Pan.
La poesia dialettale di Franco Loi
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Infine ricordiamo il compianto Franco Loi (Genova, 21 gennaio 1930 – Milano, 4 gennaio 2021) genovese d’origine, ma milanese d’adozione, autore di numerose raccolte poetiche in cui ha saputo fondere una poesia di ampio respiro narrativo e improvvisi slanci lirici.
Nei suoi testi Franco Loi si serve del dialetto milanese per creare un impasto linguistico dalla forte originalità espressiva. La sua poesia è un elogio all’umanità, alla naturalità dello stare al mondo, al concetto stesso di esistenza.
Riportiamo un estratto della poesia Isman (Einaudi, 2002):
Cume me pias el mund! L’aria, el so fiâ!
j àrbur, l’èrba, el sû, quj câ, i bèj strâd,
la lüna che se sfalsa, l’èrga tra i câ,
me pias el sals del mar, i matt cinâd,
i càlis tra i amís, i abièss nel vent,
e tücc i ròbb de Diu, anca i munâd,
i spall che van de pressia cuj öcc bass,
la dònna che te svisa i sentiment:
l’è lí el mund, e par squasi spettàss
che tí te ‘l vàrdet, te ghe dét atrâ,
che lü ‘l gh’è sempre, ma facil smemuriàss.
tràss föra ind i pernser, vèss durmentâ…
Nei versi iniziali di questa poesia Loi componeva un elogio al mondo pieno di meraviglia: “Come mi piace il mondo! L’aria, il suo fiato!” restituendoci, attraverso la saggia musicalità del linguaggio poetico dialettale, una luce capace di illuminare il buio.
La sua ultima raccolta Nel scûr è stata edita nel 2013 da Quaderni di Orfeo, arricchita con sette incisioni originali dell’artista Bruno Biffi.
Oggi possiamo ricordare Franco Loi, come uno degli ultimi grandi poeti dialettali del nostro tempo.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il dialetto come lingua della poesia: da Carlo Porta a Franco Loi
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